Nelle ultime puntate di Vediamo, Dai: recap di un anno vissuto pericolosamente / 1

Ecco, sì.

Eccomi qua, a spazzare la polvere dal blog.

E' che ho avuto un po' da fare, nel frattempo. 

Prima, ho dovuto imparare a smettere di essere triste. Che è un po' una cosa che va fatta in maniera razionale, secondo me. Se ti succede una cosa brutta, devi decidere a un certo punto che ti sei rotto le palle di stare male. Da solo, se no, non ti passa. 
Ci devi lavorare.
Io l'ho fatto con lo yoga, la meditazione, lo studio, il qi gong e l'amicizia. Ore, ore, ore ed ore ed ore di queste cose. Arrivi a conoscerti bene, nel silenzio. Guardi in faccia i mostri, gli chiedi da dove arrivano, cosa vogliono e anche se possono andarsene. Loro, prima o poi, leveranno le tende. Quando, è da vedere, ma già dargli il foglio di via è un buon inizio. 

Photo: Angela Lacombe

Secondo, ho dovuto reimparare a viaggiare. 
Da sola. A tanti di voi, magari sembrerà una cazzata. Ma: non è così, non per me. Qui è dove mi avevate lasciato voi. Da sola, in procinto di partire per il Giappone.
Stavo abbastanza bene quando avevo scritto questo post. Andare in Giappone è stato un terremoto emotivo, abbastanza duro, ma come molte cose dure, un terremoto che ha trasformato, cambiato, scosso e ripulito. 

Yanaka, Tokyo. Foto mia.

A giorni alterni stavo bene, in pace con me come lo stavo diventando a Bangkok, altri giorni, cuore pesante e lucciconi. Per fortuna a Tokyo vive una mia amica giapponese incontrata qui, che un giorno ha avuto un'idea geniale. Siamo andate al museo di Miyazaki, e dopo il museo, al parco di Kichijōji, ha visto che ero triste, di fondo. 
Mi ha detto, perché? Perché viaggiare senza di lui è una cosa nuova, dopo sette anni che si è viaggiato insieme. La sua risposta è stata geniale, nella sua semplicità. Mi ha detto, prendiamoci un caffè lì dentro. E poi, nel caffè, è andata così.

Lei: quanti anni siete stati insieme?
Io: sette e qualcosa.
Lei: in quanti paesi avete vissuto insieme?
Io: tre. 
Lei: OK. E quanti ne avete visitati, insieme?
Io: neanche mi ricordo. Dovrei contare. 
Lei: OK, però ora facciamo tutta la lista delle vacanze che avete fatto insieme. Quelle te le ricordi, no? Dove e quanto lunghe. Te lo ricordi, no?
Io: sì. 
Lei: prende il telefono e mi ascolta facendo le somme.

Ora, non ricordo la cifra esatta perché non mi interessa, ma mi ricordo che, sommando l'anno sabbatico e i vari viaggi, eravamo arrivati ben oltre i 25 mesi passati insieme zaino in spalla. E 24 mesi sono due anni. Due cazzo di anni, capito? Quindi è ovvio, che la prima volta che sono andata via da Bangkok, un paio di mesi dopo il fattaccio, mi sono isolata dagli altri e ho chiamato in lacrime la mia amica sudafricana. Come ha detto Y., è praticamente matematico stare male, basta guardare ai numeri. Stai serena, passerà. 
Aveva ragione. 
Adesso viaggio da sola impunemente e faccio pure campagna perché partano anche le altre donne, qui. Fortifica, fa benissimo. Lo facevo prima di M., e ho ricominciato a farlo, perché non c'è ragione di lasciarsi distruggere da un'altra persona... E spero di non dimenticarlo di nuovo, a costo di diventare un po' più dura. 

Però: ce l'ho fatta. L'inizio della vacanza è stato più duro della seconda metà. Ho conosciuto persone. Ho conosciuto un espatriato spagnolo che è tutto l'opposto dell'uomo medio a Bangkok, l'opposto dell'uomo che tanti uomini altrimenti sani sembrano diventare in questa città dove la vita è, per un uomo pieno di soldi, evidentemente troppo facile. R., il ragazzo valenciano, era l'opposto: Tokyo non è facile per lui, studia, lavora come un pazzo, tutto perché ha un progetto di vita e di impresa che fa sì che gli serva parlare e scrivere il giapponese a livelli eccellenti... E quindi, lo fa. E' stato anche il primo da cui non mi sono ritratta dicendo, ripassa dopo perché non ce la posso fare, anche se non mi sono goduta la sua presenza quanto avrei potuto... Perché stavo ancora male.

La poesia che mi è uscita quando ho pescato nel mucchio alla Meiji shrine, Tokyo. 

Sono tornata a Bangkok, dicendomi anche questa è fatta, la prima volta di qualunque cosa è sempre la più dura. Se qualcosa non lo fai per anni, come viaggiare sola, quando ricominci, è dura quasi come la prima volta che lo fai, tranne che per il fatto che sei più adulta, e sicura di te. Che è anche il motivo per cui hai più lividi.
Maggio, l'ultimo mese di scuola, è volato. 
A giugno, sono andata in Indonesia.  
Bellissimo viaggio, con la mia migliore amica qui, la famosa sudafricana. 

L'amicizia vera la vedi nei momenti difficili. Che però se si può andare a passarli sul mare di Lombok, i momentacci, meglio. 
Relax, mare, cultura, cibo, insomma, mi è piaciuto tutto. 
Mi sono presa una cotta estemporanea per un sudafricano, per poi scoprire che era messo esattamente come me, e che quell'ombra malinconica che si vedeva passare ogni tanto dietro i suoi occhi veniva dallo stesso posto della mia, e lui aveva anche dovuto ricorrere agli avvocati. Almeno io non ho dovuto. 
Solo che io non ero malinconica, ero, nel frattempo, diventata una furia. Medea. E per fortuna che non avevamo bambini, perché ero veramente incazzata. E' lì che ho capito che stavo arrivando al limite di quello che si può fare da soli, quando si esce da una relazione che alla fine è stata nociva, tossica, dolorosa in modi nei quali solo l'amore rancido può esserlo. 
Io ho fatto ore ed ore di yoga, di qi gong, di meditazione, di studio, di workshop, di miglioramento di me. Ma c'è un limite a quello che puoi fare da sola, se non stai bene, e io avevo iniziato a pensare di averlo raggiunto in Giappone, ma non era così. In Indonesia, ci sono arrivata, e l'ho capito quando una notte alle due, la mia amica mi guardava con i lucciconi mentre le parlavo senza riuscire a dire più nulla. E' stato lì che ho capito che ero troppo furiosa per uscirne da sola, e che mi serviva aiuto se non volevo che quella furia nera mi consumasse da dentro e si allargasse al resto di me, che di norma invece sono una persona allegra. E uso il termine allegra perché l'allegria non è uno stato d'animo, ma una tendenza caratteriale. Non volevo che questa rabbia uccidesse la mia allegria. 


Prambanan, Yogyakarta, Jakarta 

Sono tornata dall'Indonesia, e dopo qualche giorno a Bangkok, avevo un volo per Milano.

La seconda parte dell'estate e l'autunno ve li racconto un'altra volta, perché c'è di mezzo una città chiamata Istanbul, e devo uscire tra meno di mezz'ora. 

A chi mi sta leggendo ancora... Grazie di avermi aspettato. 

A volte perdersi fa bene. A Yogya, mi sono persa e ho trovato un tempio bellissimo. 

12 comments:

  1. Bentornata Natalia, non ci conosciamo ma sappi che ti aspettavo fiduciosa :D un grosso abbraccio.
    Ferida

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  2. Hai dovuto smettere di essere triste, sembra facile ma ci vuole tempo e una forza incredibile. Ce l'hai fatta, sono felice di sentirti più serena. Le tue amiche ti sono state vicino ed è un grande dono avere persone nella propria vita che ci supportano. A presto.

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    1. E' proprio vero, e sono grata a tutti loro, vicini e lontani, donne e uomini, che ci sono stati. Sono importantissimi. Soprattutto è stato importante avere accanto anche amici uomini, per evitare di demonizzare il genere intero... Cosa che può capitare quando si sta male. Gli uomini a Bangkok sono animali strani ancora più che altrove, ma detto questo, come per tutti alla fine dipende da con che individui hai a che fare :)

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  3. Scrivi già come una sopravvissuta, quindi immagini che ora vada meglio, magari non tutto meglio, ma almeno un po' meglio.
    un abbraccio

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    1. Molto meglio!
      Alla fine, come scrivevo anche poco dopo la cosa, una rottura è solo quella. Una rottura. Il problema vero è gestire la cascata di questioni che vengono dopo, gestire il che fare, appunto. La vera sfida è quella.
      Grazie dell'abbraccio.

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  4. Bentornata Natalia, era ora di dare una spolverata da queste parti... felice che sia successo! :)
    Un abbraccio!

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  5. "...non c'è ragione di lasciarsi distruggere da un'altra persona". Ecco, bisogna che mi tatui questa frase da qualche parte e me la ripeta come un mantra. Anche se io e D. siamo stati insieme di meno, abbiamo comunque condiviso tante cose e bei ricordi, tra cui vacanze e camminate da disperati in mezzo alle Highlands scozzesi. Io ho una paura boia di viaggiare da sola per paura di quei mostri di cui parlavi. Per ora ho prenotato vacanze in cui mi piace vincere facile dove, anche se vado da sola, saro' in un gruppo di persone. Perche' da sola non ce la posso fare. Ma per il mio compleanno voglio regalarmi un viaggio in solitaria, perche' a quel punto sara' passato abbastanza tempo e voglio che sia un'esperienza catartica. Attendo di leggere il seguito delle tue avventure, mi sei d'ispirazione.

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    1. No, non c'è proprio ragione, e ti dirò anche una cosa che avevo scritto in un altro post, e cioè che da una tazza vuota non si versa niente.
      Le persone che svuotano gli altri per stare, o tentare di stare bene, non smettono mai, fino al momento in cui quella persona che usano come fonte di... Energia? Conforto? Stima di se stessi? Tutte queste cose? Prima o poi rimarrà svuotata, fino a che non gli passerà la voglia di farlo. E allora queste persone passeranno a risucchiare la prossima persona, esattamente come con quella prima di te. Il problema è loro, non renderlo tuo, anche se è difficile se sei in coppia.
      Quando se n'era andato, a lato della tristezza per la situazione c'era anche questa sensazione di essere alle terme, perché improvvisamente dovevo occuparmi solo di ME, e del MIO benessere, di quello che serve a me, dopo anni di compromessi e sbattimenti pazzeschi. Che dire. Le relazioni così danno tanto, ma prendono anche molto. Non mi manca molto.

      Da sola ce la puoi fare eccome, fare si fa tutto se si decide che si fa. Coi mostri ci devi parlare, uno per uno, e poi tagliargli la testa, come San Giorgio col famoso drago. Ce la farai :)

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  6. Grazie di essere tornata. In tutti i sensi.

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