Allora, comincio subito dicendo: questo post è basato sui sentito dire, perché sono arrivata a Vienna già zitomunita. Anzi, sono arrivata a Vienna in quanto munita di zito asburgico necessitante una pausa dal girovagare. Questo post è anche, certamente, il risultato dell'aver guardato Sex and the City in maniera assidua durante tutta la mia adolescenza, talvolta in compagnia del padre citato qualche giorno fa, che di fronte alla TV mi spiegava quali erano, secondo lui, i madornali errori di valutazione delle quattro protagoniste. Anche lui adorava Sex and the City, è uno dei motivi per cui era cool. Quello, e lo sfogliare impunemente Donna Moderna perché voleva sapere cosa c'era in un giornale femminile, e se davvero ci interessano così tanto le tecniche di depilazione. Quindi io rifletto sulle tecniche di seduzione e ora scrivo davanti alla finestra col Mac. Che sfigata. 

Ma torniamo a noi.

Oggi i Diversamente Competenti mi hanno liberato inaspettatamente la mattinata, motivo per cui ho deciso di incontrare la mia amica C., italiana trapiantata qui da anni, mamma di due figli e una decina di anni più di me, anzi pure meno, credo. Bene. Allora, chiacchieravamo di com'è cercare un compagno qui, e lei ha riassunto tutto con una faccia che diceva: arduo. Misciòn Impòssibòl. E in effetti, in effetti io dico: a me qui non mi approccia mai nessuno. 
Non che la cosa mi manchi, ad esempio in Turchia mi approcciavano così costantemente che lasciata Istanbul odiavo il genere maschile in toto, ero arrivata a una sorta di sciopero della relazione di qualsiasi genere, perché spesso, donna singola straniera, finivo con l'essere il giocattolo sessuale pre-matrimoniale del turco di turno. Che anche no. E no, non sto esagerando: le altre mie amiche straniere avevano lo stesso problema.

Qui, però, siamo all'altro estremo: non ti guarda nessuno. Nessuno! E se ti guardano, sono stranieri di latitudini più basse, o più a est. Il concetto del Gioco di Sguardi anche così per farlo, anche se sei in metro e chi ti rivede ma sei belloccio dunque va bene, qua ciccia. A Istanbul non era il caso perché veniva frainteso, qui passi per una psicopatica che fissa la gente. Non è mai facile conoscere qualcuno dopo gli anni dell'università, anzi più lavori e più diventa difficile, ne sono certa - ma qua mi sa che è estremamente difficile. In effetti, se penso alle coppie autoctone che si sono formate tra gente che conosco, era tutta gente che si conosceva da tanto. La prossima volta che vedo la mia amica austriaca A., che è simpatica e autoironica, le sottoporrò la questione. Stay tuned, vi aggiornerò sulla mia indagine: che fare, se sei singola a Vienna e vuoi conoscere un uomo senza l'aiuto di internèt? 

Adesso fatemi lavorare, però, invece che scrivere vaccate. 


C'è una domanda che mi si è annidata nella testa tornando da una lezione. Casa mia è nei pressi del gürtel,  che in italiano significa cintura, un vialone a sei corsie più spartitraffico e fossa della metro (o metro sopraelevata, dipende da dove sei) che è praticamente la circonvallazione della 90, per coloro tra voi che conoscono Milano. Per gli altri, che so, tipo i viali di Bologna, ma non grande come il GRA di Roma. Un posto piuttosto offensivo per gli occhi, ecco. Ed è un posto che solo i turisti da ostello vedono veramente, quelli che stanno negli hotel sono tutti dentro al gürtel e non ne escono mai. I turisti qui è già dire tanto se escono dal ring, sinceramente.

Quindi, come Lucarelli fa i misteri d'Italia, io vi parlo dei misteri di Vienna. 

Ecco che aspetto ha questo luogo non-luogo, dal tetto della mia adorata biblioteca centrale:
photo by Silja Tillner
In alcune parti del gürtel, ci sono dei giardinetti che hanno lo scopo di isolare il pedone dalle macchine, e lungo questi giardinetti ci sono delle panchine. La fauna naturale di queste panchine, solitamente, è prevedibilmente composta di persone tipo: 

  • lavoratori illegali che non hanno trovato lavoro
  • lavoratori illegali dell'est Europa che non hanno trovato lavoro e sono ubriachi fradici alle ore 12
  • gente con i cani che almeno lì se fanno la cacca è così brutto che non importa
  • famigliole anatoliche con i bambini
  • adolescenti tamarri con le creste il gel e gli occhiali da sole pure a dicembre col buio
Insomma, una delizia, no, la crème della crème, e lo so che sono stronzetta, però se anche voi doveste camminare su questo vialone tot volte a settimana la pensereste come me - salvo solo i bambinetti turchi che non ci vanno per scelta, praticamente ;) Infatti io prendo la parallela, così non divento acida.

Però di queste categorie ne capisco solo una: cioè i lavoratori ubriachi. Nel loro caso, sono ubriachi, e quindi che gli frega se sono in luogo orrido. Ma... Gli altri? 
Cioè, se sei una mamma, non ti viene in mente che portare il figlio ai giardinetti in circonvalla magari non è sanissimo?
Se sei un tamarro, perché non vai a un parchetto con meno casino dove senti meglio la musica tamarra che senti col tuo cellulare senza cuffiette?
Se hai il cane, perché non portarlo dove né tu né lui rischiate un cancro ai polmoni se lo fai per tutti i dodici anni di vita del povero quadrupede?
Se sei lavoratore illegale e in crisi perché nessuno ti ha portato in cantiere, e non hai intenzione di bere per dimenticare, perché almeno non fai una passeggiata e almeno vai dove puoi guardare i pedoni, che le macchine sono veloci e non puoi neanche analizzare la cilindrata?

Non capisco. E mi rendo conto che son domande diffiicili, queste. Io il gürtel lo evito come la peste, allungo pure la strada pur di risparmiarmelo, lo faccio solo quando sono di fretta. 
Mah.

*post steso alle ore 11 di mattina circa. Perché i Diversamente Competenti ieri sera alle 22 hanno cancellato i miei esami d'inglese. Va menzionato, giusto per farvi capire che anche voi ve la prendereste, suvvìa.
No, infatti. Siamo oltre quello. Siamo alla furia fredda che rimane di fondo, mentre ti dici beh ma se io sono l'unica cojona che tenta di essere professionale allora lascio stare, perché da sola come faccio?

Dopo la vacanza andalusa ho iniziato a insegnare in un'altra sede della scuola per cui lavoro la mattina. Bene. Questa sede è infestata di coloro che il Lemure Combattente definisce diversamente competenti. Ecco, è piena. Settimana scorsa, mi hanno detto in un sms alle ore 22 di lunedì dove insegnavo martedì mattina, e non contenti, mi hanno pure spedito nell'aula sbagliata e non mi hanno dato nessuna informazione su livelli, quantità di studenti, su niente. 

Questa settimana, invece, lunedì e martedì mi hanno fatto svegliare alle ore 6.50, per poi non sapere dove mandarmi una volta che ero a scuola. Attenzione, non una, ma due (2) volte di fila. Dopo un'ora di attesa ogni volta, me ne sono tornata a casa dicendogli che se devo perdere il mio tempo così allora che si tengano i soldi che vado a schiacciare un pisolino sul divano e almeno non m'incazzo. 
Ora, il problema è che gli studenti furiosi non è che si arrabbiano con la schiera di pirla che infesta quello che loro chiamano il bèc òffis, è con noi poveri insegnanti sfigati che se mettono a strillare, e noi ne sappiamo quanto loro. 

Una situazione così demmerda non l'avevo mai vissuta prima. Né in Italia, né in Turchia, quindi alle ortiche le vaccate sul fatto che i germanici sono sempre efficienti. Sono, appunto, vaccate. 

Madonna del Carmelo, come dice il mio amico C. Dioc**e, come dice il mio amico G. E porcaminchia, come dico io. 

La fatica del vivere. Meno male che riesco a chiudere tutto in una scatola e dimenticarmene dopo le ore 13, e che non ho dato disponibilità per il venerdì. Meno. Male. 

In tutto ciò, domani sono sola a fare i test d'inglese con la celeberrima Giulietta. Ispirandomi a Javier Marias, che a sua volta si era ispirato a Shakespeare nel Riccardo III, chiudo, vado a lezione, ma dico a ognuno di voi: domani nella battaglia pensa a me. 
mi piacerebbe comunque, forse, a occhio, a pelle, nonostante la cucina, nonostante gli appartamenti gelidi, abitare a Siviglia un giorno? 



Questo è il cielo che hanno a febbraio.
E le case sono colorate, le persone hanno abiti colorati, il Nordafrica è lì dietro, ovunque era colore, movimento, chiacchiera, cani, argini di fiume affollato - e questo è il loro inverno. 


E io invece da quasi tre anni abito in un posto che molto, molto spesso ha questo cielo,



per almeno tre-quattro mesi l'anno, e no, prima che me lo chiediate, l'esser cresciuti a Milano non aiuta, perché almeno là si rimane intorno allo zero, di norma, qui fa freddo, e viene buio prima. La neve quest'inverno ci ha lasciati tranquilli, ma il primo inverno che ero qui me la sono beccata da novembre a marzo. E io, la neve, la odio. Non so sciare e odio i vestiti pesanti. 

Vienna ha tanti, tanti pregi. Ma una delle cose che detesto è che, appena si esce dal centro, e lo nota chiunque viene a trovarmi, è una tavolozza di grigi. Palazzi grigi, architettura socialista anni sessanta, gli intonaci colorati anche no, uniformità architettonica, o è Biedermeier e allora è colorato, o è grigio, grigio, grigio, le strade grigie, il cielo grigio, le persone col grugno, infreddolite.

Per fortuna che quando arriva la primavera invece è bellissima, e la lòvvo molto. E diventa così: 


Quello che vedete è il Votivpark, intitolato a Sigmund Freud. Se ci andate tra maggio e settembre, tra l'una e le due e mezza, può essere che troviate Natalia che mangia il sushi e legge un libro nella sua pausa pranzo silenziosa, sulla sedia a sdraio del comune (che nessuno ruba.)
Mi è sempre piaciuto il titolo di questo film. Non l'ho neanche mai visto, so solo che è ispirato alla Coscienza di Zeno, e che c'è Chiara Mastroianni. Ma mi fa sempre pensare a mio padre, che di parole ne partoriva un sacco. Era un chiacchierone, come me. 

Comunque.

Ieri era il compleanno di mio padre, che si chiamava Stefano. Possiamo dirlo, tanto a lui non fa male di certo. Era un tipo alto, scuro di pelle, scuro di occhi, scuro di capelli. Lo divertiva dire che quando andava in Marocco nessuno pensava che fosse straniero, perché con quella faccia lì, chi avrebbe dovuto? Chiaramente quando si portava in giro me, quando ero piccola, la gente ci guardava e diceva: ma questi due? Perché io ero biondissima, con gli occhi azzurri, la pelle chiara, tutta mia madre, insomma. Di lui, diceva, avevo il carattere, la romanità genetica e i decibel quando parlavo. Di mia madre, i colori, e il piacere dello stare sola a disegnare o a leggere. 

Romano. Ha lasciato Roma a 16 anni ma non ha mai perso il suo accento, anche se la parte romana della tribù poi gli diceva parli come un milanese! Era una persona allegra, amava ridere e far ridere, avrebbe voluto fare l'attore di teatro, se non avesse dovuto preoccuparsi di mantenere mamma e fratello, diceva. Aveva 16 anni nel 1968, ed era un uomo di destra. Diceva che a 16 anni più che per politica era entrato nell'MSI perché tutti gli altri non lo facevano. Quel che posso dire è che, di destra o meno, mi ha lasciato sempre libera di esprimere le mie idee, di fare ciò che volevo, di prendere 'sta direzione da fricchettona, diceva ridacchiando. Per un sacco di cose, a dire il vero, era molto più aperto di molti dei genitori di sinistra che ho incontrato - quel che contava, per lui, era il dibattito, anche acceso, anche quando sfociava nelle risse verbali, con mia madre, poveretta, a fare da arbitro involontario e esasperato. Avete mai letto questo libro? Il personaggio di Accio mi ricorda tantissimo mio padre, è stato un po' doloroso leggerlo, per questo. Mio padre ha sempre difeso la mia libertà di fare ciò che voglio, anche quando per alcuni nella famiglia era strano: soprattutto quando era strano. Per lui se qualcosa era fuori dagli schemi, una delle sue espressioni predilette, allora andava bene, e andava incoraggiato. Come farmi imparare l'inglese fin dall'infanzia, nell'Italia degli anni 80 che delle lingue se ne fregava. 

Naturalmente non era perfetto - era incazzoso, poteva essere attaccabrighe, era polemico, poteva essere pesante e ossessivo per quanto riguardava la politica. Come tutti, aveva lati negativi. Però, oh, era mio padre, e io gli volevo bene, anche quando ci scannavamo. 

Ho dovuto guardarlo spegnersi lentamente per una leucemia, per più di un anno, che per me è stato difficilissimo, dato che all'epoca il mio ragazzo di allora con tempismo geniale ha avuto grossi problemi psicologici proprio in quel momento. Ma non è di lui che voglio parlare. 

Mio padre è morto che avevo compiuto ventiquattro anni da un mese e due giorni. Il giorno del mio ultimo compleanno con lui non ho potuto abbracciarlo, perché io avevo il raffreddore, lui il sistema immunitario a zero, ed era troppo pericoloso. Mi si fa un nodo alla pancia solo a scriverlo.
Io questa cosa, ragazzi, mica l'ho ancora superata del tutto. Mi vengono i lucciconi e il mal di pancia dal niente, in questi giorni, non dormo, e sono passati quasi sei anni. Boh.

Il fatto è che se n'è andato proprio quando stavo diventando grande davvero. Mi sarebbe piaciuto poter avere con lui il rapporto che ho con mia madre, e cioè un rapporto tra pari, certo, sarò sempre la figlia di mia madre, ma da quando sono uscita da casa è cambiato molto, è come se fossi diventata grande, come se mi prenda più sul serio. Ecco, non lo avrò mai, questo con lui. L'ho guardato spegnersi piano, un uomo alto e grosso, energico, che amava uscire, ballare, bere, gridare e ridere e perché no, prendersi una sbronza tra amici qua e là, costretto in un ospedale, coi tubicini e la morfina e le maschere per ossigeno. Alla fine mi sembrava una conchiglia vuota. Per questo gli ultimi giorni non mi sembrava ci fosse già più. L'ultima cosa che mi ha detto è stata "mi dispiace." Mi ha guardato con questi occhi neri, enormi, nella sua faccia smagrita, e ha detto, lui a me, mi dispiace, che era stanco. E io gli ho detto che lo capivo, capivo come uno vitale come lui ne aveva le palle piene di stare lì dentro. 

Quello è il motivo principale per cui sono scappata a Istanbul, che mi ha curato. Milano era piena di ricordi, perché io con lui ho sempre fatto mille cose. In Galleria mi ci portava perché amava farsi l'aperitivo la domenica mattina. Lui col Corriere, e io coi fumetti della Pimpa su cui mi insegnò a leggere che avevo tre anni. Il cameriere mi portava sempre l'acqua con l'ombrellino rosa colorato, di quelli che si usano per i cocktail, perché era in tinta con la mia giacca e ci conoscevano. Ai giardinetti mi portava a giocare a calcio, che mica non puoi giocare a calcio solo perché sei una bambina, se ti piace. Tutti i cinema di Milano, quelli che resistono - abbiamo visto millemila film d'essai insieme. 

Mi manca. Mi piacerebbe sapere che ne penserebbe lui di me ora, della vita che faccio, di M., che è diverso da lui e per tante cose è anche terribilmente simile. Lo so che non mi riprenderò mai - però in giorni come ieri è più difficile che in altri.

Che palle. Posso tornare a essere la cojona solita che scrive osservazioni da sociologa nel cassetto sul paese dove vive? Che fatica. Uffa. 
Uffa. E' da questo che vedo che siamo intorno a robe relative a mio padre. Leggo cose legate l'una all'altra, e non dormo. Dovevo essere a un workshop ora, ma ho scritto un sms all'insegnante alle 5 del mattino, sveglia già da più di un'ora. Non avrei capito niente, è in tedesco, figurati. Il compleanno di mio padre che incombe e il lavoro che mi fa smadonnare tutte le mattine sono una pessima combinazione. 

M è fuori a fare altro, E. non ha tempo per me, P. è a sciare, O. non risponde e D. è preso con la bimba sua. V l'ho vista ieri e ha un sacco da fare. E' uno di quei giorni sfigati dove non si riesce a improvvisare nulla. Ergo, cerchiamo di essere positivi e come al solito, attività fisica per farsi del bene. Vado in palestra. Musica di qualità per non sentire l'Orrida Dance della palestra: c'è. Vestiti: ci sono. Sole per passeggiata dopo la palestra: c'è. 

Sono pronta. Vado. Uff. Che stanchezza, ma muovermi mi farà bene, lo so. 

Oddìo. Che bellezza. Mi sa che per diventare come lei ho a) molta strada da fare b) troppo poco tempo per farla e ad essere onesti c) i geni sbagliati, proprio ;) 

Una studentessa che ama anche lei lo yoga mi ha fatto vedere questo video ieri, e dato che ho fatto la pesantona tra una riflessione e l'altra ho pensato di condividerlo qui. Mi incanta vedere cosa le persone sono capaci di fare col loro corpo. Ora esco, però, eh. Che la mia amica V m'aspetta. 
Ieri sera sono arrivata a casa tardissimo, tipo dopo le dieci. E' stata una di quelle che io chiamo le giornate del campione, dove esco di casa alle sette e mezza, se sono fortunata passo a casa minuti 30 per a) mangiare e b) prendere i libri per le lezioni del pomeriggio, così non devo girare tutto il giorno con uno zaino che, fossi stata ancora all'università, avrebbe fatto esclamare al mio amico L.: Natalia, ma che parti per l'Erasmus oggi? Eh sì. Ho sempre avuto la tendenza ad avere zaini enormi, in quel periodo perché stavo con uno che abitava dall'altra parte di Milano e dormivo da lui 3-4 notti a settimana, ma mi ostinavo a non lasciare assolutamente vestiti e cose varie da lui (e facevo bene.) 

Ecco quindi insomma, ieri sono tornata a casa alle dieci, dopo otto ore di aula, due ore circa sui mezzi e un'ora e mezza di yoga, che ci sta perché mi fa sentire che almeno mi prendo un po' cura di me. Ho ordinato del sushi - così per rimanere in tema asiatico e non mangiare rumenta totale - e mentre aspettavo non avevo testa per leggere un libro. Insomma, naviga qui, naviga là, sono finita sul blog di Annika, giornalista svedese mia coetanea. Una volta il suo era un fashion blog, e ora è il diario di come una ragazza di ventotto anni stia cercando di riprendersi dal cancro, cancro che le è venuto dopo un anno e passa di depressione causata anche dal fatto che lei stessa aveva appena perso la sua migliore amica per la stessa malattia. 

Stica. Però ho continuato a leggere, e ovviamente mi ha dato tanto da pensare, anche perché come potete vedere dal riquadro qui a destra, l'ultimo libro che ho finito è Negative Space di Zoe Strachan, un'autrice scozzese, che è stato una faticaccia da leggere e mi è piaciuto mediamente. Ma il tema è come la protagonista cerca di riprendersi dall'improvvisa morte del fratello ventiquattrenne. 

Insomma, continuano a ricorrere queste cose relative al lutto, all'elaborare un lutto, a come riprendersi. Aggiungeteci che il 19 marzo è la festa del papà. Aggiungeteci anche che il 25 marzo, questo 25 marzo, mio padre avrebbe compiuto 60 anni, perché mi aveva avuto quando aveva l'età che ho io ora, che avrò a ottobre, cioè i fatidici 30. Il risultato di tutte queste addizioni, chiaramente, è che il mio cervello sta lavorando, e tanto.

Oggi è un venerdì dove per una serie di triangolazioni cosmiche non ho i due corsi che ho di solito, il che significa che sono libera! Quindi per ora esco, almeno vado a pensare al sole. E' che le cose scritte da Annika, insieme al libro, ecco, mi stanno dando molto su cui riflettere. Magari elaboro qua, se non vi scoccia che faccio la pesante, ma scrivere mi ha sempre aiutato a pensare, prima lo facevo sul diario di carta, e ora qui.  
Cari visitatori d'oltreoceano e asiatici, che siate arrivati qui per caso o che siate arrivati perché cercavate informazioni su Budapest o l'Andalusia - che potrebbe benissimo essere - benvenuti. Welcome

Mi esalto come una mocciosa a vedere il planisfero tutto colorato.
Hehe. 
Chiamiamola così. Lei c'ha un altro nome, ma non mi va di usare una iniziale ogni volta. Quindi, chiamamola Giulietta. La Gì è una mia collega, ha l'età di mia madre circa, con un taglio di capelli discutibile, ma contenta lei. Insegna inglese, ma lo parla 'nzomma, secondo i colleghi madrelingua, il tedesco pure peggio. Non ci sarebbe niente di male in tutto ciò, se non fosse che quando parla inglese, invece che parlare come una persona normale, prende queste aree da cugina della regina e parla come un incrocio tra Elisabetta e Vittoria. Con gli errori di grammatica nel mezzo, e le parole desuete che neanche mia nonna, se mia nonna parlasse inglese. Non ci sarebbe nulla di male neanche in questo, se non fosse terribilmente arrogante.
Ho lo sventurato destino di doverla sopportare una volta o due al mese durante gli esami di inglese, esami durante i quali abbiamo 4,5 ore per testare tra le 30 e le 70 persone. Chiaro che quando ce ne sono 70, magari se ti dai una mossa a fare le interview orali io riesco a uscire in orario per la lezione dopo. 

Ma no.
No. 
Lei chiede vita morte e miracoli anche a coloro che chiaramente hanno problemi e li prosciuga. 
Tratta male quelli che hanno la colpa irreparabile di aver lasciato la scuola a quindici anni. Tratta chi non parla inglese come un sommo deficiente. 
E in tutto questo, è lenta.
E quando io le faccio notare le cose, siccome sono una bella gnocca bionda sotto i trent'anni, è chiaro che quello che dico non ha valore. Figurati: sono giovane, e pure bionda, che ti pare che adesso io possa avere idee sensate, no? E quindi cosa fa?

Mi risponde con aria saccente, concludendo le frasi con "young lady". Manco fossi la nipote presa con le dita nel barattolo di Nutella. Mentre io sto cercando di rendere tutto più rapido ed efficiente, e lei coi suoi tempi paleolitici non me lo lascia fare. E dato che altri due colleghi si sono trovati a smadonnare, sono certa di non essere io il problema. 

Diciamo che oggi il mio umore si esprime col titolo di questo libro

Ora: radunare libri per le lezioni del pomeriggio. Radunare vestiti per yoga. Darsi una calmata. Uscire e godersi le lezioni con gli adorabili studenti del pomeriggio. 

GGGGGGGGGGHHHHHHH. 
Allora, Malaga. Mi è abbastanza piaciuta, Malaga, carina, minuscola, e con la pressione sanguigna molto bassa. Non so se ci vivrei, perché è così piccolina, ma mi ha dato l'idea di un luogo piuttosto vivibile, ci sono stata bene e sono andata in delirio a rivedere il Mediterraneo dopo non so quanto tempo. Seduta sul frangiflutti ho avuto un flashback istanbuliota. La cosa che mi ha entusiasmato di Malaga è stata proprio la presenza del mare, ma la pressione è così bassa che so che non potrei abitarci, anche se i ritmi lenti mi sono piaciuti. 
Va bene che rompo sempre perché dico oddìo oddìo quanto corro nella vita, ma la realtà è che un pochino a me correre piace. E se corri Malaga la attraversi in troppo poco tempo, e quindi, no, non ci potrei abitare. E dei posti che abbiamo visitato è stato quello col cibo meno vario di tutti. 

Granada, invece, l'ho trovata più affascinante, con l'università era piena di studenti e di cultura, e col fatto che abbiamo scelto di stare su in collina, nell'Albayzin, con relativa scarpinata in salita ogni volta per tornare a casa, penso di avere avuto una bella esperienza, lì. Questa cosa di abitare in un quartiere senz'auto e raggiungere tutto in venti minuti a piedi mi ha affascinato molto, e lì era molto forte anche l'impronta araba - nell'architettura, ma anche nella popolazione, c'erano molti arabi. Per certi versi Granada mi ha ricordato alcune parti di Istanbul, con le strade strette e questo palazzo che incombe su tutto il resto. Anche lì, non ci abiterei, ma molto, molto affascinante, con le montagne innevate alle spalle... Bella e tenebrosa, direi. Molto fascinosa.

foto di Natalia Pi
Cordoba, poveretta, è stata la cenerentola della mia gita. Povera Cordoba - c'è pochino, da vedere. Ci sono andata perché per ogni (anche minimo) amante dell'architettura non vedere la mezquita sarebbe stata una mossa piuttosto scema, e l'architetta brasiliana che ci ospitava a Siviglia ci ha detto massì dai, andateci in giornata, che vale la pena. Allora: sulla cattedrale-moschea siamo pienamente d'accordo. Ho avuto una crisi, lì dentro, era bellissima, ho fatto più o meno un centinaio di foto nel giro di un'ora, e non volevo più uscire. La parte più prettamente di chiesa cristiana c'entrava come i cavoli a merenda col resto, e come al solito io sono rimasta a fissare per ore gli elementi decorativi della parte islamica. Non so cos'è, ma a me l'architettura islamica di moschee e hammam piace tantissimo, forse perché dovendo evitare l'uso di figure umane finiscono col creare questi arabeschi meravigliosi, astratti, che sembrano merletti e che giocano con la luce in maniere squisite.  Tipo come si vede nella foto.
Però poi, una volta che si esce dalla mezquita, a Cordoba, beh, c'è pochino, ecco. Forse perché ci siamo andati in bassa stagione, ma mi ha anche dato l'impressione di essere una città più povera delle altre che ho visitato, le persone erano un po' più stramiciate, come avrebbe detto mio padre, i locali erano semivuoti, al contrario che altrove.
Sono stata contenta di tornare a Siviglia, a fine giornata. Ma di Siviglia parlo un'altra volta. 
http://www.allposters.com/
Oggi con M siamo andati a farci una passeggiata con pic-nic in collina, a Leopoldsberg. 
Scendendo, abbiamo incontrato la signora Helena, 75 anni circa, con cui abbiamo camminato per quaranta minuti buoni, scendendo verso il Danubio.
Ci si è affiancata e, bella bella, ha cominciato a raccontarci di come è cresciuta in quei boschi, da bambina e da ragazza. Aveva quattro fratelli, con i quali scorrazzava in giro nonostante la mamma glielo avesse proibito, perché lei era una ragazza. Andava anche in bicicletta e nuotava nel Danubio, anche questo a insaputa della mamma - e lì mi ha guardato, e mi ha detto: mica devono sapere tutto, le mamme. Se lo sapessero, si preoccuperebbero troppo. Devi fare le tue cose. E insomma, via, alè, ha chiacchierato un sacco. Ci ha parlato del suo amore per gli animali, del fatto che sì, i bambini le piacciono e lei stessa ha avuto due figli, ma i bambini fanno troppo casino, e per questo lei preferisce i cani; ci ha detto di come lei va spesso in giro per i sentieri in collina anche durante la settimana, ma che ha la sensazione che stia diventando un po' pericoloso farlo; ci ha raccontato dell'occupazione sovietica nella provincia intorno a Vienna e di quella volta che si è svegliata da un sonnellino circondata di soldati, ed è scappata via, anche se loro non sembrava volessero farle del male; ci ha raccontato di come la mamma li metteva a letto da piccoli e lasciava scegliere a loro che fiaba sentire quella sera. Ha anche parlato di come, secondo lei, i nuovi stranieri che arrivano (turchi, serbocroati) siano più difficili da conoscere di quelli che venivano prima (cioè ungheresi, polacchi e cecoslovacchi), ma che comunque secondo lei alla fine se c'è volontà di capirsi, la cosa funziona comunque, ma la volontà dev'esserci assolutamente, e poi ci ha parlato di un incontro, simile al nostro oggi, che ha avuto con un gruppetto di ragazzini turchi con cui si è trovata a bere spumante in un museo. Insomma, ci ha raccontato un sacco di cose.
A me piace un sacco stare a sentire gli anziani, quando raccontano i fatti loro, e infatti mi spiace che la mia nonnina sia così taciturna. Comunque tra quello, e il fatto che una signora di qua si sia aperta così rapidamente e così nel profondo, io sono felicissima! Non succede spesso, da queste parti. Quindi, evviva!
a una settimana dal ritorno a Vienna - e che presumibilmente mi mancheranno un giorno, se me ne andrò a vivere altrove.

Non potevo mica usarla come titolo questa frase, sarebbe stata degna di Lina Wertmüller no? Ma io mica lei sono. Sono Natalia e non ho gli occhiali fighi come quelli della Wertmüller.

Comunque, oggi pensavo a questo, perché ci sono effettivamente alcune cose che mi piacciono di qui e che non ci sono da dove vengo, e neanche in altri posti che ho visitato. Per una volta che sono totalmente presa bene da questa città, che c'è pure il sole, dichiariamolo, perdinci.
Come ad esempio:

  1. il pane integrale: scuro, scuretto, nero, fatto di cereali di cui non conosco il nome neanche in italiano, e quindi li so in tedesco ma non so bene che aspetto abbia la pianta effettivamente.
  2. il reparto di Robe Organiche nei supermercati, dove vendono robe come la quinoa mai mangiata prima di vivere qui, e un sacco di cereali, come sopra, dove uno si chiede: e che ci faccio? come li mangio? Non li so mica cucinare. Però mi piace sapere che ci sono, se un giorno vorrò variare la mia alimentazione. 
  3. il reparto di Robe dal Mondo sia come frutta e verdura, sia come conserve e quant'altro. Anche il supermercato Prosi, di proprietà di una famiglia indiana, enorme, variopinto e fornitissimo: hanno tutto. Anche la Marmite e le paste di peperoncino messicano assassino. La crème fraiche che costa 0,89 al barattolo e non 2 euro come a Milano, cosa che non mi sono mai spiegata.
  4. la cultura delle infusioni. Sarà che sono in un paese alpino, ma qui ci sono un sacco di infusioni buonissime, per tutti i gusti e tutti i bisogni. Aromatiche, con i fiori, con le erbe di montagna, con tutti e due, con lo zenzero, se hai la tosse, la bronchite, se non riesci a dormire, hai mal di pancia, hai mal di testa, qualsiasi cosa tu abbia, vai in un'erboristeria e illuminati davanti alla quantità e alla qualità delle infusioni che producono da queste parti. I miei spacciatori preferiti sono il signor Willi Dungl e la cricca di Sonnentor. Quando vado nei bar italiani, chiedo il tè, e mi portano un misero cestello di ceramica con quattro Twinings buttati dentro a caso, a me viene la tristezza. Ma è chiaro, dopo averi vissuto in Turchia e qui. In Italia da questo punto di vista siam messi male, forse perché la maggior parte della popolazione pensa: Un caffettino, e via. E delle infusioni, come dire, se ne frega assai. 
  5. Gente che quando gli parli di pesto e basilico, sanno quel che dici, e magari sanno pure come usarli. Supermercati che sono forniti sia di pesto (che vabbè, mica dev'esserci ovunque, ma se c'è, meglio) e soprattutto di basilico (in Spagna non c'era il basilico, al supermercato. In un paese mediterraneo, questo dettaglio mi lascia molto perplessa.)
  6. le Kaffeehaus dove stai seduto per tre ore comprando un caffè e una torta, e nessuno ti caccia via o ti chiede se vuoi altro. 
  7. i mezzi che funzionano e sono rapidi e attraversi la città in massimo 50 minuti ma proprio solo se devi andare, ad esempio, a Sucate. 
  8. la varietà di ristoranti a prezzo moderato e con qualità più che decente: vuoi il sushi, vuoi andare a mangiare l'ingera, vuoi una pizza accettabile, vuoi mangiarti una schnitzelona, vuoi mangiare le tortillas? C'è: c'è, in città, e non sarai derubato al momento di pagare. 
Mi fermo qua, che per questa settimana ho finito di lavorare, sto per uscire con un'amica a farmi un caffè al sole, e prima di farlo farò anche la trasgressiva cosa dove mi faccio una pennichella pomeridiana. Tiè. E poi vado a godermi questa città dotata di basilico anche se sta a nord delle Alpi. 

E lo so che praticamente tutto in questo post è relativo al cibo. Ma dev'essere perché il cibo spagnolo mi ha traumatizzato malamente, quanto a frittura, quanto a mancanza di alternative quando proprio non hai voglia di mangiare carne o pesce, cosa che a me succede spesso. Le tapas saranno anche un modo divertente di mangiare, ma sono sopravvalutate, malsane e sempre le stesse, in fin dei conti. Il cibo per me è una cosa troppo importante, e se non mi piace il cibo che ho intorno mi intristisco. Il cibo è uno dei motivi per cui amavo la Turchia.
Quindi, da questo punto di vista, sono contenta contentissima di essere tornata a Vienna!
Al volo in pausa ho dato un'occhiata alle traffic sources del blog, perché ero certa che facendolo mi sarei fatta anche quattro risate.
E come volevasi dimostrare: dopo l'intellettuale citato l'altro giorno, oggi un altro (presumo sia un uomo, ma magari sbaglio) è arrivato scrivendo questo: "video italiano come una donna si depila la patata"

Son cose che ti illuminano la giornata, no? Come usare Internet per edificarsi, proprio :D
Oggi ho avuto occasione di parlare un po' con alcuni degli sbarbati afghani (e un somalo) in classe. E' sempre interessante parlare con le persone che vengono da paesi come questi, un po' perché ti rendi conto di come, per certi versi, un'italiana abbia spesso più a che spartire con loro, per quanto riguarda per esempio i concetti di ospitalità e i modi di rapportarsi nel quotidiano, che con gli autoctoni di qua - anche se non per tante altre cose quali ad esempio il merdoso machismo imperante nelle loro menti.

In particolare oggi ho chiacchierato molto con O., che è di famiglia afghana, nato in Iran e arrivato qui da solo a sedici anni. Ovviamente non l'ho fatto, ma era da abbracciarlo, da quanto ti risveglia l'istinto materno/sorellonesco uno sbarbato del genere che ti racconta di come è arrivato per i fatti suoi e ha dormito per strada le prime settimane che era qua. In mezzo alla cazzaritudine dei suoi colleghi spicca perché tenta di studiare tanto, guarda le serie in inglese, fa un sacco di domande, ed è interessato; lui ed A. chiedono, approfittano del corso, si vede che vogliono imparare e che sanno perché. 
Io ho parlato con O. e poi ho pensato a com'ero io, sbarbata fortunata che a sedici anni abitavo con la mamma e il papà e insomma... Capisci quanto sei fortunato, e ammiri la forza altrui. Come ho detto, veniva voglia di coccolarselo un po', dato che il discorso è partito perché lui mi ha chiesto se ero stanca, e io gli ho detto che soffro di insonnia. Lui sa che sono italiana e a fine lezione viene da me e mi fa: non riesci a dormire perché pensi alla tua famiglia, magari ti mancano? Anche io non dormo quando mi succede, penso troppo. Magari devi pensare meno anche tu.

Ammazza quanto ha colto nel segno, il ragazzo, sul fatto che penso troppo. E poi me lo sono immaginato insonne che pensa a mamma e papà, e boh. Mi è venuto un nodo alla pancia. Non so se lo rivedrò perché era una sostituzione, ma spero con tutto tutto il mio cuore che le cose vadano bene per lui, nella sua vita, e che riesca a fare tutto quel che desidera.
è una delle combinazioni di parole che hanno condotto un brillantissimo internauta al mio blog, presumo in parte grazie al link al blog di Malika Sorel (francophones: j'aime bien Malika Sorel. Le titre de mon post est la citation d'un internaute, qui a trouvé mon blog en utilisant ces mots, grace au lien au site de Malika Sorel. Un intellectuel, comme vous voyez)

Son bei momenti, dopo una giornata passata a sostituire l'insegnante dispersa per 4,5h con la classe degli sbarbati afghani (quelli di Farzad, ricordate?) con 4h di sonno alle spalle in tutto, perché il mio cervello era esagitato all'idea di ricominciare a correre tutto il giorno.

Quindi, internauta che sei arrivato scrivendo questa roba qua: grazie. Insieme alla mia gita all'hammam con la mia amica F, il sushi e la passeggiata di mezz'ora verso casa nell'acquazzina, come la chiama il provocatore sinestetico, mi hai risollevato un po' la giornata. Mi hai anche un po' fatto dimenticare che una settimana fa ero al sole in giro in maglietta e ora ho la sciarpa di lana e una lingua che mi perplime intorno. Grazie!

Ora però vado a collassare da qualche parte, se no domani sono messa di nuovo male. Che c'ho di nuovo gli sbarbati afghani. Aiutatemi. 
Leggo su Machedavvero le evoluzioni della Wonderland, che da Roma si trasferisce a Londra, al seguito dell'uomo suo e con Polpetta al seguito. Sono contenta per lei, sembra che la cosa la entusiasmi, e buon per lei, dunque, spero che funzioni. E come spesso succede col blog di questa donna, mi fa riflettere e confrontare il suo vissuto col mio. 
Vedo le sue foto, questa casa phigherrima chissà dove, leggo della sua vita con la Porpi e il suo compagno,  insomma, sì, lei va a vivere a Londra, ma nonostante ciò, nonostante a lei probabilmente non sembri, visto da fuori, da me che non l'ho mai incontrata e so solo ciò che lei scrive, mi pare che lo stia facendo in modo piuttosto strutturato, dopotutto. Pronto a radicarsi là, intendo. 

Poi penso a me, a come sto messa io. Vivo in case carine ma che fanno sempre un certo effetto campeggio, perché non si sa mai quando riparto, e figurati se spendo soldi in robette decorative. Con quei soldi mi compro un biglietto per __________!  Ecco. Lo so che non ha alcun senso comparare la propria situazione con quella degli altri e che ognuno è quel che è. Però ogni tanto il dubbio mi viene. Rispetto a tanti altri che conosco sono superstabile e super efficiente e insomma, non è che sono qua a girarmi i pollici. Però mi sento sempre un pochino fluttuante, e la mia casa lo rispecchia. Non sono sposata e il tema mi interessa pochino, la questione mocciosi mi sconfonde e spaventa e incuriosisce tutto insieme, a tornare in Italia mi ci vedo sempre meno, ogni volta che ci torno, e insomma. Questa cosa dello star bene soprattutto quando sono in movimento - e non intendo quello del pendolarismo - è cominciata sette o otto anni fa, e non è mai finita. Finirà? Ma soprattutto, voglio che finisca? 

Sono perplessa. Sarà che sono tornata nel grigiore est europeo, oggi c'è il cielo color piombo, domani inizio a lavorare all'ora in cui in Andalusia si svegliano forse, e sono di nuovo fuori dal mio elemento. Quindi il commento generale non può che essere: mah. 
Mezquita - Cordoba

Allora, cominciamo a fare un elenco di punti su cui poi magari approfondirò - anche se c'è il rischio che io ricada nel vortice di quella che lavora, e non faccia più una cippa. Ma vabbè. Per stasera c'ho voglia di scrivere. 


Quindi, io in vacanza ho notato che:


  1. in Andalusia friggerebbero pure la loro mamma. Il cibo è il festival della carnazza e della frittura, oltre che del pesce che è meno un problema, per me, nonostante le tendenze vegetariche. La mia ospite vèneto-andalusa mi ha spiegato la sua teoria per la quale questo è dovuto alla mancanza dei forni nelle case di là. In altre parti della Spagna è diverso, per quel che ne sapete voi? 
  2. in Andalusia sono convinti di vivere ai Tropici. Quindi, anche se la sera magari fa pure piuttosto freddo, come a Granada ad esempio, dalla quale si vedono simpatiche montagne innevate, innevate pure nel nome, non si degnano di installare i riscaldamenti. Perché quella è roba da sfigati del nord, poi io facevo colazione in maglione, ma dettagli. 
  3. l'architettura moresca è bellerrima. 
  4. la luce è intensa anche in inverno, e si vedeva che stavamo 14 paralleli più giù col sole più a picco. Infatti c'ho il segno dei braccialetti sul braccio destro e un colore in faccia che qua dovrei aspettare fine maggio per.  
  5. il flamenco è bello anche quando ballato dagli uomini. Mi ricordo, riguardo a ciò, di Joaquin Cortés, che buttalo via. 
  6. le donne spagnole hanno spesso la voce roca, ma magari era una strana impressione mia. In generale, la popolazione strilla non poco quando parla. Mi trovo a sostenere la tesi di M, che gli spagnoli in coppia non fanno casino, è in gruppo che sono uditivamente letali (mentre a quanto pare gli italiani sono letali già da due in poi.)
  7. gli spagnoli, quelli che ho visto io almeno, sembra stiano affrontando la crisi e il macello in maniera costruttiva, o tentino di farlo.
  8. ci sono meno grugni in giro di quando vado a Milano, dove tre mesi fa mi ha un po' scioccato il livello di incazzatura generale.
  9. la lingua spagnola è piacevole da sentire intorno a sé. 
  10. a Malaga e Granada sentivo che il Nordafrica era vicinissimo. 
Ecco, per ora quello. Ho visitato Malaga, Granada, Cordoba e Sevilla. Ma delle città una per una magari scrivo più avanti.
Ero in Andalusia. A farmi una botta di sole, Mediterraneo, gelato e caldazza. 
Non l'ho scritto perché che ne so, magari se lo faccio poi viene qualcuno a svuotarmi l'appartamento, cosa che in una città sicura come Vienna accade inquietantemente spesso. Con tutti questi lettori, non si sa mai chi arriva, eh. 
Sono tornata, comunque, affezionatilettori. Sono certa di esservi mancata molto.
E sono tornati anche loro! Gli orecchini perduti. Finiti non si sa come, e riemersi allo stesso modo, da un borsettino guatemalteco che uso per tutto fuorché per gli orecchini. Ritrovati mentre rovistavo nel suddetto borsettino in una caverna a Granada. 
Comunque... Rieccoli! Ve li faccio pure vedere. Perché per questa gita dopo anni di foto fatte col telefono mi sono accattata una macchinètta digitale. 
Eccoli! Esultate con me, donne, esultate!