Che orrore.

O anche, quelle horreur, che in francese nella mia testa suona ancora più schifato, che è quello che sono ora, cioè, nei limiti dello schifo che una può sentire mentre è sbracata sul divano, nella vita non ha grossi problemi a parte il mal di gola costante e l'INPS infame che non paga la pensione dovuta alla genitrice che deo gratias per ora se la cava anche senza (ripeto: infami), ed è pure dotata di uno zito asburgico che oltre che essere uscito volontariamente per fare la spesa con i 34C che ci sono, ora sta anche preparando il pranzo di là.

Quindi, intuirete, forse non proprio schifata. Solo un po', da quanto è acida e invidiosa la gente. Di nuovo mi trovo a leggere questo blog del Corriere, quello sui ggiovani trentenni. Ho letto questo post di questa tizia cioè molto sàxèsful, anche lei italiana con zainetto, che riflette a voce alta sul blog dicendo, c'ho trent'anni, cosa faccio, cresco o no, torno in Italia o no, le varie domande che magari spesso mi faccio pure io, che ho la sua stessa età. Sono anche molto più cazzona e non lavoro nelle HR di niente, non me ne frega una cippa di fare carriera perché implicherebbe immischiarsi in gerarchie che mi stanno sulle palle a prescindere. Però trovo il suo post interessante, comunque.

I commenti, i commenti sono la cosa barbara. Ma avete visto? Io abito lontana. Come modo di mantenere il polso del paese ho il parlare con le persone che conosco quando ci vado, e leggere cosa dicono le persone nella "blogosfera", diciamo.

Ecco, l'ho già detto: sento solo cose negative. Gente incazzata, ingrugnita, e frustrata, spesso invidiosa, gente che le dice beh ma a 30 anni si smette di sognare, si comincia a camminare con i piedi per terra. A me sa tanto di tarpamento ali collettivo, quello che leggo. Cioè: è vero, in Italia la situazione è disastrosa, ma coloro che cercano di mostrare ottimismo o iniziativa spesso vengono vessati e fustigati, e questo non è un bene, perché se la gente ti fustiga quando ti metti a riflettere un po' e cerchi di pensare sul da farsi, finisce che nessuno poi fa una mazza (come infatti succede.) Di certo, nessuno aprirà in Italia il prossimo Google o Facebook, o anche solo lancerà il prossimo marchio globale come Armani o D&G.

C'è sempre questa sorta di atteggiamento del dire, ma ringrazia che hai un lavoro, cosa ti lamenti a fare?? Quando magari uno non è che si sta lamentando. Sta analizzando la situazione, perché vuole decidere qual è il prossimo passo da fare. Forse è questo il problema, in molti sentono di avere la possibilità chiusa al concetto di un "prossimo passo", si sentono invischiati, e se la prendono invece con chi riflette perché sente di voler cambiare qualcosa, e pensa addirittura di poterlo fare.

Non lo so. Come ho già detto altre volte, dell'Italia mi mancano alcune cose: il cinema (quello buono), la cultura, poter andare a sentire gli scrittori in libreria in piazza Piemonte, il mare, il poter andare in città splendide in poche ore di treno, oltre che le altre cose che sappiamo (famiglia e amici, almeno quelli rimasti.) 

Però: il mondo del lavoro, no. L'atteggiamento che si ha verso il lavoro, no. Forse sarà un risultato della perenne crisi economica italiana, anzi, ne sono abbastanza certa. Però che cazzo. Veramente, io mi deprimo quando sento parlare del binomio lavoro&Italia. Mi deprimo, e come sempre mi trovo a pensare: col cazzo che torno. Ma quando mai. Solo se diventa necessario, e per questo dovrebbero succedere brutte robe. 

Se anche mio cugino, tipo totalmente diverso da me, amante del suo paese e anche un poco nazional-campanilista, quando mi invita a cena mi dice, bella mia, stai dove sei e non tornare, e poi mi dice magari ce ne andiamo anche io e la coniuge, io mi sento male. 

Argh. Madre mia. 

1 comment:

  1. FIgurati, mi è appena arrivata una email dall'ambasciata che se potessi cambiare cittadinanza lo farei adesso. Arroganti, maleducati bastardi pagati oro per fare niente...!

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