Non ho per niente reso giustizia, al Messico, quando ci sono stata. Ci ho passato tutto giugno, e non ne ho quasi mai scritto per il semplice fatto che, la maggior parte del tempo, ero a spasso a godermi il Messico. 




Quando non ero in giro a godermi quella figata di paese che è il Messico, era perché ero ammalata. Ciò è successo ad Oaxaca, e ad Oaxaca ci sono stata proprio mentre a Istanbul Erdogan e compagnia bella hanno iniziato a menare la gente per le strade: ho passato due giorni a guardare video e a leggere reportage, inorridendo alquanto, e quindi estraniandomi da quel che avevo attorno (cioè la stanza di albergo di Oaxaca. Io, a Oaxaca, è come se non ci fossi stata, ho avuto due giorni di febbre su due giorni e mezzo lì!)

Insomma, dopo aver letto un libercolo (Antes, se vi interessa, testo in spagnolo) di un'autrice messicana, Carmen Boullosa, sto ripensando alle mie settimane messicane. 

Il Messico è uno di quei paesi che i miei genitori hanno visitato quando ero nana, lasciandomi a casa, e tornando pieni di storie e fotografie e suggestioni che mi incuriosirono, all'epoca. Poi, crescendo, è iniziata quella che io chiamo la scimmia asiatica, alimentata dal mio mitico prof di geografia che mi ha dato un libro di Terzani quando ero sbarbatissima, e del Messico mi sono proprio dimenticata. 

Questo fino a quando ho letto La Polvere Del Messico, del bravo e preparato Pino Cacucci: letto a Vienna, in un'estate inusualmente torrida passata a lavorare a una traduzione in biblioteca, circondata da adolescenti ceceni che facevano i compiti. Libro bellissimo, ve lo consiglio: se vi piace la letteratura di viaggio, è magnifico, davvero. Ha decisamente riacceso la mia curiosità.

Il Messico non era neanche parte del piano della nostra gita: ma siccome è un ponte che unisce le due Americhe, e noi dovevamo andare in Nordamerica per andare in Cina, ci siamo detti, vabbè, se ci fanno comunque prendere più voli del necessario, tanto vale fermarsi per un po', o no?

E meno male che l'abbiamo fatto! Mi sono piaciute un sacco di cose, del Messico. Cerco di fare una lista schematica. Le ragioni non sono in ordine di importanza, ma solo in ordine di come le partorisce la mia mente. Scusate se mi dilungo. Se non avete tempo, leggete la lista e non le motivazioni!

  1. Il ciboTortillas, fajitas, pico de gallo, quesadillas, funghi huitlacoche, chorizo, e un milione di altri piatti di cui ho dimenticato il nome. Tutto bono, bono, bono!! E anche salutare, perché nonostante abbia mangiato come una fogna, in Messico sono dimagrita. Oh yes. E considerato il mio metabolismo-lumaca, non è roba da poco. 
  2. La storia. Come il Perù, se vi piacciono le rovine, le cose che cadono a pezzi, le cose che vi fanno sentire il peso della storia sulle spalle, il Messico fa per voi. Ci sono rovine sparse per tutto il paese, almeno a sud di Città del Messico. Quelle più celebri e antiche sono quelle maya, ma ci sono ovviamente tracce di altre civiltà, quella azteca, più recente, o zapotec. Nei miei primi dieci giorni di Messico, ho visitato qualcosa come sette siti archeologici. Il mio consiglio personale sono le rovine di Coba: non sono molto famose, né strapiene di venditori. C'è molta giungla intorno, è tranquillo, ti permette di sederti e immaginare queste persone, la cui civiltà è stata distrutta dagli spagnoli. Delle rovine famose, la mia favorita è Uxmal: quando ci sono andata io, era abbastanza tranquilla, e la nostra guida era preparata, e parlava la lingua maya. Non lo sapevo, ma in Messico la varietà linguistica è ancora vivace.
  3. Città del Messico. Ormai avrete intuito che sono una donna di città. Mi affascinano le metropoli, e quindi ero curiosa di vedere CdM. Non mi ha deluso: è molto meno conservatrice di quanto credessi, tanto per cominciare. Le coppie gay si coccolano e si abbracciano per strada abbastanza liberamente, nelle zone centrali, ad esempio. Il metrò è affollato, ma utile. La figata di CdM, come di Istanbul o Buenos Aires, di tutte queste città giganti, è che ogni quartiere ha un'identità sua, e che ci sono due quartieri (Coyoacán e San Angél, soprattutto quest'ultimo) dove potrebbe sembrarti di essere finito per errore in un'altra epoca. Splendida architettura coloniale spagnola,  antica, e conservata da dio. C'è buon cibo in ogni fascia di prezzo, ci sono posti per fare festa se lo vuoi, una quantità di musei paralizzante, quando arrivi, cultura, cultura, tanta cultura e tanta subcultura. I chilangos sono fieri della produzione culturale della loro città, e se ne prendono cura.
  4. Il Chiapas, e gli zapatisti. Non sono certo una di quei ragazzetti che vanno alle feste dell'Unità con le magliette dell'EZLN (il fronte per la liberazione zapatista), anzi, quei ragazzetti in media mi stavano abbastanza sulle palle, quando abitavo in Italia. Però: il Chiapas è davvero un posto interessante, e gli zapatisti sono un movimento di guerriglia diverso da tanti altri, tra gli altri motivi appunto perché hanno ufficialmente abbandonato la lotta armata. Al contrario di tanti altri, si preoccupano di avere anche donne tra le loro fila, e uno dei loro obiettivi è l'incoraggiare la parità tra i sessi. San Cristóbal de las Casas, la capitale del Chiapas, è un'intrigante cittadina di montagna, non alta per fortuna. L'architettura è ben conservata, e la città richiama fricchettoni assortiti, che da una parte spiegano la densità di scuole di yoga, e dall'altra nutrono una vita culturale molto vivace, per un posto così piccolo.
    San Cristóbal ho incontrato Marco, un romano che ci vive da dieci anni, e che la ama molto, e non credo se ne andrà presto. Da quel che ho visto, ci sono molte persone comuni che supportano l'EZLN, e in generale il movimento dei campesinos messicani, per l'autonomia. A Oaxaca si ha una sensazione simile, ma a San Cristóbal è molto piú forte.
  5. L'artigianato e i prodotti tessili. Io purtroppo in questo viaggio non posso comprare molto, ma ancora più che il Perú o la Bolivia, il Messico produce cose molto, molto carine, e al contrario che quelle peruviane o boliviane, sono cose che si possono indossare anche in Europa, senza sembrare fricchettoni completi. Cotone leggero, e borse ricamate con fantasie floreali deliziose. Ho fatto molta fatica a non comprare nulla, devo ammetterlo.
  6. Il mare e la spiaggia di Tulum. La cittadina non è granché, ma il mare e la spiaggia sono magnifici. Specie se riuscite ad andarci col bel tempo, cosa che a me è capitata solo una volta, ahimè!
  7. La cultura messicana. Con questo termine ombrellone, indico varie cose. La cultura visuale, coloratissima, ad esempio, con i teschi felici della festa dei morti che sono ovunque, Santa Muerte; la pittura dei muralisti; l'onnipresente Frida Kahlo; gli scrittori come Carlos Fuentes, o Octavio Paz; l'architettura coloniale spagnola, che è vecchia vecchia, e bella assai; i libri che vedi in libreria, dove i messicani si fanno domande su se stessi, sul loro essere messicani, su come questo si definisca giocoforza anche per i contrasti con il loro vicino gigante a nord; la malinconia messicana, che è lí di sottofondo durante la festa, come in Argentina o Turchia, e che conquista il mio cuore più delle feste parrandere in Colombia o Venezuela (da quel che mi raccontano.)
  8. musei, che meritano di essere un punto a parte, soprattutto quelli di CdM: sono enormi, ben finanziati, e ben 'spiegati' anche per i profani. Spesso sono anche a buon mercato. I messicani sono fieri della loro storia e della loro cultura, ma al contrario di altri paesi che ho visitato, raramente cadono nel nazionalismo sbandieratore. Cioè, di certo ci cadranno ogni tanto, come tutti, ma non anche per venderti una penna, come in Colombia o Ecuador. Dimostrano il loro amore proteggendo la loro cultura, ma hanno anche uno sguardo disincantato sul loro paese. Questo mi piace.
  9. Le piazze. Stare in una piazza messicana, seduti a far niente, è come andare al cinema. Questo è vero in molta America Latina (Cile, Argentina, Perù), ma i palazzi che ti attorniano, in Messico, sono antichi, colorati, a volte un po' cadenti, ma belli. Le piazze messicane sono tra le più belle viste in nove mesi di Latinoamerica, e i messicani adorano uscire a prendere il fresco la sera, e a fare lo struscio. Io sembravo una barbona, con tutte quelle bambine vestite come bambole, e tutte quelle donne eleganti, o vamp, ma ho passato ore sulle panchine, a guardare le famiglie a spasso, e i cani randagi, amichevoli pure loro.
  10. messicani. Purtroppo, con loro ho interagito meno che con argentini, cileni, uruguayani, paraguayani o peruviani, ma: sono gentili, nel quotidiano, intendo. Sono cortesi. Rispetto ad altri, ti lasciano tranquillo, sono meno invadenti e rumorosi dei peruviani, meno sboroni e cazzari degli argentini, meno alcolici dei cileni. Mi piacciono. Non avevo preconcetti, sui messicani, ma devo dire che mi sono piaciuti. Avrei voluto conoscerne di più e meglio, ma non mi andava di forzare le cose. Sono piuttosto certa che tornerò in Messico, magari la prossima volta avrò più fortuna.
  11. Il cacao e tutti i suoi derivati. Se amate il cacao, il cioccolato, la cioccolata calda, la cioccolata da bere col ghiaccio, se amate il cioccolato in genere, il Messico fa per voi. Ho fatto un cioccolato amaro 100% in uno degli workshop più interssanti della mia vita. Nel sud, almeno, quella del cacao è una vera cultura, di cui vanno fieri tutti. 
  12. colori. So che sembra una banalità, ma i colori delle vecchie case coloniali in Messico sono stupendi, una cromoterapia automatica. Per quanto mi riguarda, si dovrebbe prendere un gruppo di imbianchini messicani, e sguinzagliarli in un territorio che va piú o meno dalla Germania orientale a Vladivostok. Si risolverebbero molto in fretta i problemi di alcolismo che affliggono l'Europa orientale, ve lo dico io. 
Le mie osservazioni casuali si basano su un viaggio di un mese, che ha toccato Tulum, Valladolid, Campeche, Palenque, San Cristobal de las Casas, Oaxaca e Città del Messico: purtroppo non ho avuto tempo per andare a nord della capitale, niente Guadalajara, ad esempio. Mi è dispiaciuto molto: se non avessi avuto il volo per la Cina, magari mi ci sarei fermata per più tempo. Quel che è certo è che ci tornerò! 



Oramai è quasi un anno che sono via da Nonna Europa (perché quando vai in Sudamerica ed Asia, credo pure in Africa, ti rendi conto che l'Europa è un continente di vecchi, pieno di bellissima architettura vetusta, e varie rovine, fascinose e cadenti), e per la prima volta ho una televisione, in camera.

Questa televisione ha due canali interessanti: TV5monde, francese, e Deutsche Welle, tedesca. Entrambe producono informazione di qualità e bei documentari, quindi quando vengo in camera per mettermi al riparo dalle piogge del monsone cambogiano, o dalla caldazza di mezzogiorno pre-monsone, a volte guardo la tele. E così, mi sono resa conto che è un po' che sono via, e che l'Europa ci ha quasi un fascino esotico, che sa di vecchiume di bell'aspetto, ma fa anche paura per i livelli di ansia per il futuro mostruosi. Ovunque. Anche, che ne so, in Svezia, tutti che parlano della crisi e dei soldi che non ci sono e di quanto fa tutto caghèr rispetto a prima.

Quindi, mi sono trovata a chiedermi, cioè a chiedere a chi di voi passa da queste parti: che aria tira, in Europa, dove siete voi? Quanto devo preoccuparmi? Perché per quanto abbia voglia di tornare, per vedere la mamma e la famigghia e gli amici, non è che stia proprio morendo dalla voglia di rimanerci. Inizio a meditare di comprarmi un volo per l'India e stare via fino ad aprile, almeno tornerei a fare la disoccupata in primavera, che kadzo.



Non perché non mi piaccia l'Europa, attenzione: io sono una grande fan dell'Europa, della diversità culturale, della lingua che cambia ogni poche ore, del fatto che le cose, in misura diversa da un paese o l'altro, bene o male funzionino, che l'autobus non deve essere pieno per partire, che non si fermi ogni settecento metri perché per questo abbiamo le fermate, santamadonna, e tante altre cose che non sto ad elencare. Ogni volta che l'Asburgico avanza l'ipotesi di vivere in un altro continente, a seconda di dove propone, io lo guardo con aria dubbiosa, e dico non so

Sarà perché sto invecchiando, ma l'idea di poter lavorare legalmente mi alletta abbastanza, ad esempio; il fatto che non devi evitare gli ospedali perché ti fanno stare peggio invece che curarti (come in Cambogia) mi sembra un'ottima cosa. Chiaro che non è lo stesso ovunque, però boh. Qua ti rimettono insieme un polso rotto facendoti pagare una fortuna, e poi vai in Thailandia e ti dicono, ossignore torna in Europa, che ti conviene. Per esempio.

Comunque, insomma, il tema "futuro" ovviamente si fa strada nella mia mente, perché la fine è vicina! Grazie al mio essere pessima a deludere la mamma, andrò a casa per Natale (ma appena prima, eh) e poi dovrò riadattarmi ad una vita normale. Fortuna che mi piaceva la mia vita prima di partire.
Il problema principale sarà riabituarsi alla sveglia a orari che dovrebbero essere proibiti da un organismo internazionale. E anche riottenere progetti. E anche riottenere quei pochi amici che ci ho. 
Oddio.
Aiuto.
Sarà terribile?
Forse.
Om. Om. Om.

E poi, ho un'altra domanda vagamente correlata, o meglio, un ragionamento da sottoporvi:

Ma se in Spagna ci hanno il millemila percento di disoccupazione
Se i giovani sono senza futuro senza soldi senza una sega
Se tutti vivono con la mamma fino a 37 anni perché non hanno soldi per uscire di casa

Allora, mi chiedo e mi domando: 
Come strakadzo è possibile che dal Vietnam in poi, dopo gli onnipresenti francesi, tedeschi e olandesi in diverse misure, il gruppo più grande di vacanzieri siano gli spagnoli? 

Gli italiani di cui parlai in Vietnam, dopo agosto, sono tutti spariti, come è tradizione (le masse di italiani in Messico erano tutte persone che vivevano in Messico, come nel Cono Sur.)

Non capisco. Sono tutti come me, che vivono via dalla Spagna da mo' e per questo motivo hanno i soldi per viaggiare? Perché a parte due cilene, visto come parlano, quelli lì so' tutti spagnoli. Che hanno, la mamma che gli paga le vacanze per averli fuori dai maroni almeno per due settimane?

So che alcuni di voi vivono, o hanno vissuto, in Spagna. Ci illuminate? Perché M ed io non ci spieghiamo sta cosa. Se poi leggi El País, ha qualcosa di sovrannaturale. Fa quasi pensare che allora vado davvero a stare a Barcellona, che tanto sarò squattrinata sia lì che a Vienna, e allora viva l'essere squattrinati al caldo.

Si nota che inizio ad essere in sbattimento?
Sono in Thailandia, ora, su un'isola. Un'isola bella, con le palme e i thailandesi gentili, almeno con me. Si sentono un sacco di cose negative sui thai nel sud, ma io mi ci trovo bene quasi come nel nord. Tranne che per il cibo, che sull'isola non è quella figata che è in altre parti della Thailandia.

Non è del tutto colpa dell'isola, se sono delusa dal cibo. È che dopo Melaka, in Malesia, sono andata George Town, isola di Penang (Malesia) dove ogni pasto, inclusa la colazione, è una festa per gli occhi e per le papille, davvero. La mia amica P. mi aveva avvisato, mi aveva detto che George Town è fantastica, che lei non se ne voleva più andare... E aveva ragione. Io me ne sono andata solo perché volevo essere certa di avere abbastanza tempo per la Cambogia, dopo l'isola. 



Di George Town, mi sono innamorata abbastanza immediatamente, e tanto, come non mi capitava da un po'. Sono innamorata di questa città come lo sono di Colonia in Uruguay, o di San Cristobal de las Casas, in Chiapas. Sono queste città non troppo grandi, piene di architettura un po' decrepita, cittadine dal carattere forte, scenografiche. Anche Cuzco (Perú) ha questo tipo di bellezza. Ma fa troppo freddo per i miei gusti, hehehe...

George Town, comunque, batte tutte quelle citate qui sopra, che mi piacciono assai, per due motivi: il meticciato culturale, e il cibo che ne risulta. Yeoh, il proprietario della nostra pensione a George Town, ci ha raccontato che la composizione della popolazione lì è diversa che nel resto della Malesia: il 60% della popolazione è cinese, e ci sono anche molti indiani, oltre che i malesiani. In città c'è un grande tempio induista, come anche varie moschee e templi agli antenati di varie regioni cinesi. 


La moschea principale della città è aperta a tutti, e offre visite guidate con un imam, al quale puoi chiedere tutto quello che hai sempre voluto sapere sull'Islam, e non hai mai osato chiedere. Hanno anche un poster che illustra le somiglianze tra Ebraismo, Cristianesimo e Islam, per quanto concerne profeti e storia antica delle tre religioni, insomma, per me è stata una visita interessante. Ah, a proposito di musulmani, la popolazione indiana di religione musulmana ha aperto un sacco di ristoranti detti nasi kandar, dove tu entri, ti fai un giro davanti a un buffet, e ti fai un piattone con quello che vuoi tu, aiutato dal ristoratore. Costa un po' di più di altri tipi di pasto, ma vale la differenza.


(Foto di OsakaJoan) A volte i nasi kandar hanno anche cose vegetariane, altre no, e quindi è così che ho mangiato un ottimo stufato di capra. Non so quanti anni erano che non mangiavo una capra.
Comunque.

Yeoh ci ha anche detto che, viste le politiche del governo malaysiano, forse la situazione di George Town cambierà con gli anni: le famiglie cinesi e quelle indiane, infatti, non hanno diritto all'istruzione gratuita, per i propri figli, al contrario delle famiglie malaysiane. Per questo, le famiglie cinesi e indiane, generalmente, hanno un solo figlio, e la loro popolazione si riduce. È una politica approvata di recente, perché il governo malaysiano non è contento di come, in fin dei conti, le persone di etnia malay sono spesso anche quelle che svolgono i lavori più umili, e col livello d istruzione più basso. 
Non ne so abbastanza per pronunciarmi in merito, però se questo cambiasse la Malesia che conosco, quella che mi piace così tanto che con la Thailandia è l'unico posto in Asia visitato due volte, a me dispiacerebbe assai. Perché questo pastone culturale è proprio la cosa che differenzia la Malesia dai suoi vicini. 

Tornando a George Town: se capitate in Malesia, mi raccomando, andateci. Ci sono artisti che dipingono graffiti, eccentrici assortiti, cibo di strada delizioso (nella foto, curry mee), architettura cinese, un quartiere indiano, un forte inglese, un parco nazionale a un'ora di autobus, una spiaggia a un'ora e mezza, tutto raggiungibile con l'autobus. No, dico, su misura per me, quest'isola di Penang.