Un paio di settimane fa sono andata a Istanbul, che come ormai sapranno alcuni, è un po' casa mia.

Ci sono andata con Effe, che a Istanbul non c'era mai stata, e che della Turchia ha l'idea che ti puoi fare abitando a Vienna: un posto popolato di gente con le palandrane, il velo in testa e in ciabatte anche in inverno. Che è un'idea accurata, se vai che so, a Erzurum, da cui veniva il mio coinquilino curdo. A Istanbul, è tutta un'altra camminata (io sostengo sempre che dovrebbero diventare come Singapore, una città-stato. Se la caverebbero pure.)

In ogni caso, volevo dare i miei consigli a chi va a farci una gita, un weekend lungo, per esempio. Però visto da me, che non vi faccio stare solo a Sultanahmet, che sarebbe un peccato.

Giorno 1: centro storico (Sultanahmet). Questo è il quartiere della turisteria. C'è storia, certo, ma ci sono anche un sacco di irritanti venditori di tappeti. In ogni caso, voi andateci e non perdetevi la Moschea Blu, che a me piace più di Santa Sofia, la quale comunque è da vedere. Andate anche al Gran Bazaar, che merita per la struttura architettonica, ma non fermatevici troppo. Se avete bambini, portateli: distrarranno i venditori che sono comunque turchi cuore de papà, e vi renderanno la vita più semplice nel bazaar. Se non fa troppo caldo, vi consiglio anche di andare a uno dei due hammam storici: Çemberlitaş o Cağaloğlu (che si dicono ciemberlitasc e gialolu, se ve lo state chiedendo.) Ah, e la Cisterna, anche la Cisterna vale una visita. Topkapi naturalmente è bellissimo, bellissimissimo, ma se avete solo pochi giorni, sappiate che vi prende praticamente un giorno intero, se lo fate come si deve. Anche una bella passeggiatina al parco di Gülhane vale la pena, a me piace molto. Era il parco del sultano. Se volete, anche Eminönü, dove trovate il Bazaar delle Spezie, che a me piace assai più del Gran Bazaar, la moschea di Solimano, enorme, la Yeni Camii, anch'essa bella, e un sacco di venditori di argento. 

cooltownstudios.com/
Giorno 2: Beyoğlu, al di là del ponte di Galata. Casa mia, e dove vivono i turchi. Qui, andate a farvi una passeggiata intorno alla torre di Galata, come prima cosa. Che è stata messa lì dai genovesi. E chiedete anche dov'è la moschea di Karaköy, che è un gioiellino. Poi andate a farvi un tè in cima a un palazzo, nella pasticceria Konak. Da cui vedete la città vecchia, e il Bosforo. Bellissimo. 
Continuate a salire su per la collina, e arrivate all'imbocco di Istiklal Caddesi, passeggiate un po' da quelle parti, ascoltate e guardate i musicisti di strada. Andate dentro i pasaj, i cortili interni. Il mio preferito, di cui ovviamente non ricordo il nome, è poco dopo il centro commerciale Odaküle, sulla sinistra, tenendovi Tünel alle spalle. Potete bere il té, comprare orecchini fatti a mano, o prendere un po' d'ombra. Da non perdere a Beyoğlu: Cihangir, tutta la parte intorno alla moschea di Firuzağa, Çukurcuma e i negozietti d'antiquariato. Istanbul Modern, il museo giù al mare. Tophane, l'ex fabbrica di polvere da sparo ottomana, ora centro culturale: da lì poi con pochi minuti a piedi potete andare a Fındıklı (c'è una fermata del tram da Sultanahmet per intenderci) a bere tè in riva al mare, a guardare il Bosforo, le coppiette e i gabbiani. 
A Beyoğlu si cammina e si assorbe l'atmosfera, più che altro. Armatevi anche di tanto fiato, che è tutto un saliscendi (infatti io ero molto più in forma abitando a Istanbul che a Vienna!) E tenete gli occhi aperti per eventuali scorci di mare e minareti lontani. Bel. Lis. Si. Mo. 



Giorno 3. Secondo me, anche basta le zone turistiche pure. Spingetevi lontano dal centro. Potete fare due cose:
*una gita lunga sul Bosforo, su fino al Mar Nero. Prende tutta la giornata e vi mostra tante delle facce marittime, tranquille, verdi e adorabili di Istanbul. Mangiate il pesce a Rumeli Hisari, salite fino alla fortezza e salutate il Mar Nero. Le vedete Odessa e Sebastopoli, in lontananza? Un po' sì, dai, immaginazione, bambini.
*prendete il vapur, il traghetto sul Bosforo e andate a Üsküdar o Kadiköy. La prima ha più cose da visitare, più moschee, se amate l'architettura. E' più conservatrice, più islamica, interessante, comunque. La seconda, Kadiköy, è una delle mie zone istanbuliote preferite.


izafet.com
Kadiköy è più moderna, più aperta, ha un bel mercato colorato, tavolini (che servono anche alcol) fuori da ogni locale. E' più moderna anche nel modo in cui gli uomini, tutto sommato, anche se sei bionda e chiaramente straniera, non ti guardano molto, si fanno i fatti loro. Donne velate, meno che altrove. Tanti negozi e oleandri, si sente il mare, a Kadiköy. Seguite i cartelli o chiedete come arrivare a Moda: da lì potete vedere il mare aperto, le isole dei Principi, Caddebostan e la costa asiatica che s'allunga. E' anche sede del Fenerbahçe, se vi piace il calcio. Io ci passavo sempre tanto tempo, e se voi siete in gita vale la pena, Kadiköy: perché vedrete una zona residenziale della città, ma carina. Perché lì si sente tantissimo la presenza del mare, del Mediterraneo, perché è rilassata e meno inquinata, insomma, vi dà una botta di relax dopo due giorni nel puttanaio del centro. Prendetevi un tè nel posto che vedete qui sopra, è a Moda. Buon relax, buona fine di gita, spero vi sia piaciuta Istanbul. E' una delle mie città del cuore.

San Ignacio, Larry Winckles
Bene, allora, quelli lì a Curaçao che sono un poco fighetti vogliono esser sicuri che noi non si stia lì in panciolle a non far nulla, a fare gli immigrati illegali. 
Quindi non ti fanno entrare, se tu non gli mostri un biglietto che dice sìsì tranquilli, Natalia riparte, non sta qua a inquinare la vostra aria fighetta. Niet, dicono.
Quindi, l'Asburgico ed io da tre settimane circa cercavamo di capire dove andare dopo Curaçao, che non è facile. Non è proprio un hub che offre millemila possibilità. 

Dopo varie opzioni e varie elucubrazioni, alla fine abbiamo deciso di andare in un paese piccolo, che attira l'attenzione di pochi, che secondo molti è più sicuro delle altre opzioni che avevamo, e – cosa geniale per noi – la cui capitale pullula di couchsurfer che ospitano, e non vanno semplicemente alle feste. E' anche "vicino" alle cascate di Iguaçu, ed è in una buona posizione per andare a Buenos Aires, con il ritmo da bradipo nostro.

http://backofthenet.wikia.com/
Il Paraguay. Dite la verità, che anche voi, e neanche tanto se avete meno di trent'anni, del Paraguay conoscete solo il celeberrimo portiere Chilavert. Quello sborone che amava tirare le punizioni e i rigori qualche anno fa... Anche io ero messa così, fino a circa una settimana fa. 
Insomma, iamunì! S'è deciso, e ora si pensa a fare scatoloni, ecco. 
Come potete vedere, oggi a Vienna ha fatto tempo così così. C'è il monsone, sembra Kuala Lumpur, caldo, umido, e piovoso. Ho avuto tempo per fare cose per il blogghe.
Quindi, ho fatto qualche ricerchina e ho scovato un nuovo templèit: bello fresco, con le farfalline e tutte quelle robe lì, adatto al blog di una che fra un po' va a farsi una gita. Mi aveva scocciato un po' il vecchio aspetto del sito, troppo grigio... Spero che vi piaccia. E se non vi piace, io lo tengo comunque così eh. Quindi fatevelo piacere, per favore. Grazie eh. 

Si vede che è domenica sera – comincio già a essere in fase ommioddìonodomanilavoro.
blogdolci.com
Ohibò. Da brava crétina quale sono, il mio blog ha compiuto un anno cinque giorni fa, e io non me ne sono neanche accorta. 

Che fico.

C'ho anche ben ventisette (27) lettori fissi, e i miei deliri sono effettivamente letti da qualcuno. Pochi ma buoni, come si dice.

Tenendo conto che la mia motivazione principale era, come detto varie volte, qualcosa di carino da fare al chiuso, ogni volta che l'estate a Vienna va in sciopero, o in inverno quando ci sono -17C fuori dalla porta, non è male. Yuppi! Buon compleanno a me, direi. E' il primo dei miei blog che riesce a sopravvivere per più di tre mesi! 

Sto proprio invecchiando. 

Io comunque non lo tolgo, dall'hèder, che il blog ha i minuti contati. Se pensate che sto vivendo il mio ultimo mese e mezzo in questo appartamento, in questa città (perché andrò in Italia per due settimane a fine mese), forse la mia costanza evaporerà come si conviene. Mi piacerebbe continuare a tenere il blog mentre sono in fase nomadica, vediamo, dai (appunto, da qui il nome), ci tento e vediamo che succede. 
Ho appena espresso la mia perplessità sul bloggare mentre siamo a spasso all'Asburgico, che col suo solito spirito pratico e il suo humour nero viennese mi ha detto beh, se consideri che in Sudamerica ci stanno consigliando tutti di uscire poco la sera, avrai molto tempo per scrivere.
Ecco.
Quindi non preoccupatevi. 

Sono molto curiosa di vedere cosa penserò di quella parte del mondo. Intanto cominciamo in modo soft coi Caraibi, poi vediamo il dà farsi. Il piano di viaggio cambia più o meno tre volte al giorno. Ad esempio l'Asburgico ha appena trovato un ottimo volo Porto Rico - Los Angeles - Fiji. Poi da lì Australia e da lì, che sorpresa, di nuovo Asia. Quindi magari non finirò in Perù ma in Australia. Boh. E' il bello di un anno sabbatico, no? Non sapere una sega di ciò che si vuol fare. Mi mancava, come sensazione.

Buon compleanno, blogghe!
Il venerdì è il mio giorno preferito. Di solito lo tengo piuttosto libero, e quando non sono in periodi di fame (cioè quasi mai, ultimamente, per fortuna), me lo godo proprio. Ora erano mesi che non me ne capitava uno così tranquillo, con una sola lezione, tra un'ora. 

Stamattina sono andata in ambasciata a ritirare il mio secondo passaporto. Andato tutto liscio come l'olio, perfetto. Fuori c'era il sole, l'estate è tornata con 29C (oggi) e ho passeggiato da brava flaneuse in giro per la città, cosa che non facevo con questa calma bradipa da almeno un paio di mesi. E ho detto beh, per una volta che ho tempo mi faccio un'insalata buona, con ingredienti comprati freschi freschi appena prima e il tempo di lasciarla lì a diventare bona prima di mangiarla. 

E quindi, l'insalata glocal si fa con: 

*i käferbohnen, fagioli marrone scuro, grandi, della Stiria, buonissimi (o con i fagioli che vi pare. Basta che siano grandi, e dal gusto deciso.)
*un avocado maturo – ma non maturo quanto il mio che lo era troppo. Mi sono fatta prendere la mano a tastare gli avocadi. Diciamo abbastanza maturo da esser cremoso ma non abbastanza perché sia marroncino.
*olio d'oliva, sale e succo di limone.

e poi per qualche carboidrato, che ci sta, o ci aggiungete la quinoa, se ce l'avete, o non aggiungete niente e la mangiate con un po' di pane. Pane integrale, se possibile (che qua in Austria sono dei maestri.) Io non avevo voglia né di pane né di quinoa, e allora l'ho mangiata con due fette di knekkebrød, che è una roba che a me piace un sacco perché s'abbina con tutto. 

Che. Bona. Non dico altro. E' gustosa e ti riempie pure. Mi piacciono un sacco le insalatone. 

Vado a preparare la lezione. 
Ho un collega al lavoro, un americano latino, che non c'ha la faccia da latino, ma il sangue, quello sì. Tanto per cominciare, ha l'età di mio padre, ma non sembra. Sembra molto più giovane. Non è cattivo eh, è solo che è singolo (oltre che neocon, cioè tipo il cugino di Ayn Rand, davvero) e c'ha ormoni. 
Quindi, a causa di questa combinazione, lui guarda le femmine.
Che è una cosa alla quale io, da femmina, non sono più abituata. 
Come ho già detto varie volte, gli autoctoni non ti cagano di pezza, qui, gli unici che ti guardano hanno la pelle più scura, e di solito sono turchi, iraniani, ex-jugoslavi, o proprio vengono da luoghi lontani. Tipo, appunto, il mio collega.

Bene, ieri, con la solita faccia da sonno e tolleranza per il mondo bassina – sempre, prima delle ore 9 – vado verso scuola. C'è un pezzo da fare a piedi prima di arrivare, e incontro lui. Con la musica nelle orecchie gli faccio ciao con la manina e sorriso sonnolento. Vedo che dice qualcosa. Tolgo le cuffiette, lui ripete e col suo solito accento ammericano (pensate a Dan Peterson. Sì. Quello del tè anni 80) mi fa 

you're looking good today. Con l'occhio nero ammiccante. 

Io tra me e me penso ma che te ammicchi? Che schifo, potresti essere mio padre! 

e a lui con la faccia di tolla, come dice mia madre, dico

why, I always look good. see you at school.

me ne vado, e continuo a camminare. 
Non so da dove m'è uscita, ma l'ha fatto ridacchiare, zittire, e smettere di ammiccare.
Io, da parte mia, penso che mi trasferirò a Modesto, California. 


vilainecrevette per it.123rf.com/
Mi lascia perplessa, questa donna. La spugna di mare – di nuovo lei. Stavolta non è esplosa, non è successo niente, ma come sanno i miei colleghi che leggono qui, quando insegni le lingue, finisce che sai molte cose delle persone a cui insegni. Questo vale per quasi tutti, anche per i timidi.
Ma non per la SdM. 

E' veramente una donna senza qualità. E' un concetto, quello del Senza Qualità - in tedesco si dice Eigenschaften, che non ha connotazioni negative ma è molto neutro, quindi assai migliore per parlare di qualcuno che è insipido come il pane toscano – inventato in Austria, da Robert Musil. Ecco, lei è così. 

Non fa niente: non mangia mai nulla, non mangia dolci, non beve vino, non legge libri, non guarda la TV, non esce la sera e neanche di giorno. Non lavora. Non esce con gli amici. Non ha preferenze. Non ha cose che detesta. Sta lì. Io me l'immagino nel suo tempo libero che sta lì seduta e fissa il vuoto nel suo giardino vuoto della sua casa vuota.  Praticamente Emily Dickinson è una viveuse, a confronto. Il fatto che si sia riprodotta mi sconvolge perché vuol dire che ha avuto rapporti carnali con qualcuno. Strabiliante, considerato il livello di vicinanza che devi avere con qualcuno per fare un bambino – mi dicono dalla regia. 

Alla fine avere intorno lei o avere di fianco, che so, una credenza di legno, è un po' la stessa cosa. Non stupitevi della mia ferocia, ma lei è quel tipo umano psicorigido così comune da queste parti che mi sconvolge. Sta sempre lì, a braccia conserte. Non ti guarda negli occhi. Non dice nulla per ore e poi quando parla (in tedesco, nelle pause, mai con te) strilla come se fosse la pescivendola al mercato, per poi tornare nel mutismo per altre tre ore. 

E' frustrante, e mi sta sulle palle. Mi sembra una di quelle persone che non sanno godersi la vita, no? Il genere di persona alla quale tu regali Lettera Sulla Felicità di Epicuro, e lei ti guarda con aria vacua e dice, non leggo libri, e poi questo qui è pure un greco zozzone e fannullone. 
Che tristezza. Cioè, se lei è contenta così buon per lei ma... Che tristezza. Ezza. Ezza. Meglio essere deficienti e felici, a mio avviso. E viva Epicuro, madre mia.
Dario, che gode di mia grande stima perché pubblica post con titoli come questo, tipo che non l'ho letto ma già mi piace, ha raccolto il mio appello agli altri italiani con zainetto perché condividano la loro esperienza come miei ospiti qua. Che mica solo i bloggher ammericani possono fare i guest post. Li possiamo fare anche noi, e li chiameremo ghest pòst. Dario è un uomo di scienza, mica uno sfigato umanista come me, e abita in Messico. Ora è pure mio collega, vedi un po'!

Dunque, non mi dilungo in boiate, anche se so che mi viene bene, e lascio la parola a lui: grazie Dario per la condivisione! Ora pubblico e vado a leggermi il tuo decalogo, che sono schiappa dentro, io. Cercherò anche io di morire un po' meno crétina di come sono nata. Buona idea, sai. 

Perché sono finito in Messico?

Prima del Messico, da laureato in scienze forestali e ambientali,svolgevo un lavoro, definiamolo, multi task.Ero stato assunto presso una piccola associazione di volontariato diVerona che si proponeva di valorizzare alcuni parchi pubblici conl'ausilio di squadre di volontari.
Ero l'unico stipendiato e quindi responsabile di tutto: dallacontabilità, alla gestione dei progetti, dall'organizzazione dellesquadre di volontari, alla manutenzione delle macchine.Quel lavoro mi piaceva molto; mi dava opportunità di conoscere personeinteressanti, lavorare all'aria aperta e fare progetti. Avrei voluto chel'associazione con il tempo crescesse e si professionalizzasse fino adessere un punto di riferimento nel suo settore (ambizioso, vero?) peròil volontariato veronese è una realtà più dilettantistica, cheprofessionale.
Ben presto scoprii che in quel contesto sarei stato più utile comeoperaio semplice che come tecnico forestale e organizzatore. Gli episodidi tensione con il direttivo si facevano sempre più numerosi ed intensi.
Quando mi comunicarono che la convenzione con il comune sarebbe statadimezzata e di  conseguenza anche il mio stipendio capii che si stavachiudendo un capitolo. Dove andare?
Rimanere in Italia era una delle ipotesi, solo che non avevo proprioidea di dove cominciare. Non conoscevo nessuno e, presentarsi adun'impresa per chiedere lavoro, sembrava un gesto quasi maleducato, comeauto invitarsi a pranzo a casa di uno sconosciuto.
La seconda ipotesi era quella di andarsene ma il mondo era grande e ilfatto di andare incontro all'ignoto mi dava un gran senso di angoscia.Pensai allora al Messico, paese povero e afflitto da una guerra dinarcotraffico ma allo stesso tempo dinamico e affascinante. Conoscevocirca una decina di ragazzi messicani che avrebbero potuto darmi unamano ad inserirmi nel loro Paese.
Di fronte alle grandi decisioni della vita, non sono mai statorazionale; non penso analiticamente ai pro e ai contro, prendo ladecisione d'istinto. D'istinto non vuol dire “a caso”, significameditarci un po' sopra, fare dell'altro e poi un giorno “senti” cosavorresti veramente fare.
Se escludi “te stesso” dalle tue scelte e ti basi solo su statistiche,previsioni, e consigli degli altri non stai facendo quello che vuoi,bensì ciò che la società si aspetta da te e, alla lunga, potrestisoffrirne.
Agli inizi del 2011, mi trasferii in Messico. Passai attraverso unaserie di esperienze brutte e belle, come c'era da aspettarsi.
I dettagli li potete leggere sul mio blogwww.dalleforestemessicane.com”. Adesso sono diventato un promettente
profe di biologia, di educazione ambientale e d'italiano. Non mi sentoarrivato ma sulla via giusta.

Nel mio ambizioso intento di morire un po' meno stupido di come sononato, in Messico sono riuscito ad imparare anche qualcosina. Banalità.

Per esempio:

La vita: la vita, non è precisamente un'autostrada asfaltata con segnalidi indicazione, autogrill e servizio di carro attrezzi come cipiacerebbe che fosse, o ce lo hanno voluto far credere. E' piuttostocome un'imponente e meravigliosa onda oceanica completamenteindifferente a noi.Se però la cavalchiamo con destrezza e coraggio ci può regalare grandiemozioni e ci fa fare anche tanta strada.

La realtà: ci hanno insegnato a murarci in una fortezza di preconcetti.La maggioranza di essi è inutile, tipo quello di aver paura del futuro.C'è una falsa credenza che dice che la nostra generazione èinaspettatamente in guai seri. E quelle prima? Chi farebbe cambio con lacatena di montaggio, la campagna di Russia, la trincea della primaguerra mondiale, la povertà contadina di inizio secolo e via via piùindietro? Quante sono le generazione a cui è andata veramente bene?Eppure, in ogni epoca, c'è chi è riuscito a realizzarsi. Come diavoloavrà fatto?

Insoddisfazione: quanto mi lamentavo ogni giorno? Decisamente troppo. Maora, quando guardo il cielo stellato e penso in anni luce, o raccolgo unsasso e mi chiedo di quanti millenni è vecchio l'angoscia esistenzialesi calma. Il nocciolo della questione pare essere oltre alla carrieralavorativa.

Buona fortuna a tutti!






Il vecchio saccente è un tipo umano che ti capita spesso, in classe, quando insegni ai corsi come i miei della mattina. Il VS di solito ha più di 60 anni, non è ancora in pensione, non ha speranza di trovare perché ahimè il mercato del lavoro ti considera vecchio a 40 anni, figuriamoci a 60. Ma il VS spesso non trova anche lavoro perché ragazzi, diciamolo: è un rompicoglioni.

Ne ho uno in classe al momento: è pesante, è una palla al cazzo, saccente, fastidioso perché naturalmente mi considera una sbarbata che non sa una sega, e chiaramente appena può contraddirmi, lo fa. Naturalmente se rispondi prendendolo per il culo, bonariamente - è l'unica strategia per sopravvivere e non ucciderlo barbaramente - s'offende. Io dico, se rompi i coglioni, ti esponi al rischio dello sbeffeggio, specie se nessuno in classe ti regge e sei pesante come un'incudine sui maroni.
Stamattina sta dando del suo meglio, e mi insegue pure durante le pause per mostrare la sua Sapienza (al momento sono nascosta nell'ufficio di una collega che mi dà asilo politico e capisce. Pausa significa non rompetemi le palle e lasciatemi riposare la gola quindici minuti, kadzo) Sì, perché lui ha vissuto di qua e di là, e si considera un pozzo di scienza. Autoironia, zero - cosa che non mi piace mai. Senso della misura, zero. Voglia di indottrinare la gente: tantissima. Insopportabile.

Non so se avete notato che non parlo mai della classe della mattina in questo periodo: il motivo è che è piena di pesantoni, gente frustrata e sciroccati assortiti, o gente con problemi cognitivi. Che mi piacciono davvero ce ne saranno forse tre o quattro, in una classe di 14 è una pessima cosa, direi.
Ci sono gli antipatici, i pazzi, gli indisponenti e quelli che ti vien voglia di mandarli a lavorare, perché danno veramente l'impressione di non ammazzarsi a cercare un lavoro. Dopotutto, fa comodo ricevere un sussidio e lavorare in nero, no? In Italia non abbiamo abbastanza supporto, ma qui ce ne hanno così tanto che certe volte la gente se ne approffitta. Considerato che io di supporto non ne ho mai avuto, perché ho sempre lavorato come libera professionista - anche se la definizione mi fa schiantare dal ridere - la cosa mi scoccia di brutto. Cioè: uno stamane s'è lamentato perché che palle che devo essere sempre al corso così presto: io gli volevo dire, ciccio, ti pagano quanto me per andare a un corso di lingua e grattarti le palle il resto della giornata. Ma di che ti lamenti, diobòno?? Che fastidio.

Meno male che me me libero in meno di un mese. Stavolta la cena di classe sarà a inviti, e selezionata, solo con quelle due o tre persone che mi piacciono, perché ripeto: mica possono sempre starmi tutti simpatici, madonna.
Forse sfogliare la LP sul Sudamerica appena consegnata dal simpatico postino che dopo tre anni ancora dice male il mio cognome aiuterà.

Ancora più ambiziosa: la porto con me al parco, finché c'è sole.
Non so cos'ho oggi. O meglio, lo so. E' il lato b dell'estate - ho meno lavoro, sono meno esaurita, e penso di più. Molto di più. 

Sto per lasciare Vienna dopo quasi tre anni, dove sono arrivata con pochi soldi, zero studenti e zero contatti. Mi sono sbattuta, ho sorriso, insegnato, sorriso ancora, insegnato sempre di più e sempre meglio, e sono arrivata a una situazione ottimale.
Situazione che, giustamente, durante una crisi economica senza precedenti dal dopoguerra, adesso prendo e interrompo, perché ho voglia di avere di nuovo un periodo meno strutturato, come prima di qui.

Penso perché tra pochi giorni ci saranno due anniversari. Tutti e due quattro anni. Uno bello e l'altro orribile. Inizio agosto è quando a Kathmandu mi sono messa con l'Asburgico. E questo è bello, bellissimo, io sono una sbarbata e non ci sono mai stata, per quattro anni, con qualcuno. Neanche tre. Mi stupisco da sola, praticamente. 

Ma all'epoca, a Kathmandu, ero anche vagamente sotto shock, a inizio agosto. Perché due giorni prima che partissi per il Nepal, il mio ex, uno dei tre uomini che ho amato di più nella mia vita, si è suicidato. E io l'ho saputo da un blog, una mattina. Ho passato due giorni sul divano, senza preparare lo zaino, senza fare niente. N., uno dei miei migliori amici, era a New York e non poteva aiutarmi, io ero in quella fase scema di transizione tra Turchia e Nepal, e non credevo a quello che era successo. Non potevo credere che G aveva fatto questo, dopo aver visto me guardare mio padre crepare a poco più di cinquant'anni. Ero triste per lui, e mi sentivo anche presa per il culo. Incredula. Un groviglio di indignazione e tristezza per quel che aveva fatto.

Non ne ho mai parlato qui, perché non voglio far del male a nessuno, ma oggi questa cosa mi pesa addosso, e la butto fuori, almeno qui. In realtà credo che sia questo uno dei motivi per cui lavoro sempre così tanto - perché quando sono sola, e tranquilla, poi rifletto troppo sul passato, sulla gente che ho perso per strada, e mi viene questa tristezza pesantissima addosso. Molto più controllabile ora di qualche anno fa, ma c'è. Sta lì, aleggia, si apposta dietro le giornate libere, quelle dove dici fiiiico, ho un sacco di tempo libero, che ne faccio? E poi ti accorgi che la I. è nei Caraibi, K. è in Croazia, F. a Berlino, insomma, o lavorano, o sono via, e tu sei qui come una cojona a pensare, perché non fa abbastanza caldo da andare a stordirsi di sole.
L'estate scorsa sono riuscita a passarla quasi indenne. Credo sia anche l'imminente partenza da Vienna che mi agita oggi, e che rivanga tutte queste cose. 

Quel che ha fatto lui, G., non sono neanche mai riuscita a elaborarlo del tutto. Neanche a capirlo. Lui, non l'ho capito. L'ho perso mentre mio padre era in ospedale, malato di leucemia. Non ce l'ho fatta, ad avere forza ed energie per entrambi. Ho cercato di essere forte e brava a gestire entrambe le situazioni, e se ci penso bene mi sento di aver fatto abbastanza cagare con entrambe. Sarà perché avevo poco più di vent'anni e fino ad allora avevo avuto una vita sana, pulita, felice e senza traumi. Se passi da zero traumi a due casini grossi da gestire in contemporanea, o sei un grande e ce la fai, o sei normale e fai un poco schifo. Come me. Perché in tutto ciò avevo anche un po' paura, pensate un po'. 

Quando penso a G., sono ancora arrabbiata, perché mi ha preso un sacco di energie, perché mi ha tenuto via da mio padre, e il risultato di tutto questo sbattimento è che alla fine se ne sono andati tutti e due. Uno lottando con le unghie e coi denti, smadonnando, quasi fino alla fine, quando poi mi ha guardato e mi ha detto, sono stanco. Basta. E l'altro se n'è andato che già non era più parte della mia vita, ed è per questo che la sua figura ancora mi disorienta, mi agita, mi fa pensare così tanto. Non ho mai capito cos'avesse nella testa, e prima che le acque potessero calmarsi, dopo la furia e la tristezza e il panico, dopo che io me n'ero andata a Istanbul e lui da qualche parte in Nord Europa, tutti e due con l'obiettivo di staccare e riprendersi, se n'è andato anche lui. 

Se ci penso bene, è una specie di mazzata sulla nuca. Tutto, tutto quello che è successo. Ed è per questo  che sto bene via. Via, con una persona che non mi ha conosciuto Prima, che mi ha già preso così, con tutti i miei pensieri e le mie cicatrici assortite, e che mi ha visto arrivare ancora scossa da quello che avevo scoperto appena prima di partire per il Nepal, rincoglionita e traumatizzata con un viaggio di tante ore e una notte insonne a Delhi alle spalle, passati tutti da sola, cercando di tenere l'immagine che il mio cervello perverso tentava di produrre al bordo della mia coscienza, e non nel mezzo, perché non lo volevo immaginare. 

Non ci vado a yoga, oggi. Finisce che mi vengon giù le lacrime durante la lezione. Mi è successo, una volta, a Milano, tanti anni fa, durante il delirio. La mia maestra lì mi aveva detto, Natalia, hai un padre in ospedale e un ragazzo problematico, è normale. Ma il mio maestro qui, mica lo sa, perché sono messa così male.

I cambi di scenario mi fanno sempre pensare. Sono qui a scrivere e a leggere, invece che a cominciare a fare valigie e scatoloni come dovrei. Crétina, proprio. In teoria dovrei andare a Londra, settimana prossima, con M, a festeggiare il suo compleanno e il nostro anniversario numero quattro, da uno dei miei più cari amici N, quello che era a New York e che ora è a Londra. E invece che essere contenta, la cosa mi agita. Boh. Non capite? Eh, neanche io. 

Quindi ora, doccia, e poi passeggiata, che è uscito il sole. Scusate, eh. Ma oggi sono proprio giù, non so da dove arriva questa cosa, e magari mettere il tutto in parole aiuta. La scrittura come terapia, sapete, quelle robe lì. 

Uff. Vado. 
Oliver Ross - chocolate-fish.net
Riecchime. Sparizioni estive, sapete. Sono andata a fare una gita dai vicini slovacchi - nello specifico a Bratislava. Ancora più nello specifico, in un hotel a quattro stelle. Sì. Io. Mica sto sempre nelle stamberghe, eh! No, è che 

a) si è trovata un'offerta a prezzi stracciatissimi e
b) per il weekend il meteo diceva pioggia, vento e massima 18C (sì, perché è la fantastica mitteleuropa. Benvenuti nella loro schizofrenica estate, tra 13 e 35C, tutto può accadere) 

Quindi M ed io siamo andati là, e in un lettone queen sàis pagato come un ostello a Cracovia, abbiamo fatto le ricerchine per la GiL (la Gita in Lontanistan.) Oltre che usare una doccia col getto a pioggia e strafogarci con queste colazioni che loro chiamano continentali. Col buffet, e tutte quelle cose lì. 

Bratislava ormai è un posto dove vado abbastanza spesso, come Budapest, anzi, più di Budapest, perché ci vuole la metà del tempo per arrivarci. E' un piccolo gioiellino, delizioso - il centro l'hanno rimodernato usando colori pastello e rispettando l'impianto architettonico che c'era già. A me piace molto, la cosa bella è che parlano un'altra lingua anche se si trova ad un'ora di treno da Vienna, e quindi mi fa sentire molto più in vacanza che non andare a, che so, Graz o Baden o su qualche lago alpino dove ti fanno pagare un sacco di euri a notte.

Ha anche molto meno mordente di Budapest, è proprio un posto dove uno va per rilassarsi, perché il centro ce lo si può girare in un giorno. Il castello è molto carino, decisamente da vedere, c'è anche una bella vista, lassù.
Ma come sempre, per me le cose importanti sono semplici, e poche: il cibo. Lo so che vi rovino tutte le vostre illusioni mitteleuropee, ma il mio ristorante preferito a BTS al momento è Ganesha, ristorante indiano. Consigliabile, soprattutto grazie al suo menù all you can eat a 8€ più bevande. Bono. Andate e riempitevi, come dire. 

E poi un altro posto che mi piace - di nuovo, di slovacco non ha niente, ma a me piace, che dirvi? - è un piccolo, adorabile, bellissimo caffè italiano. E' di proprietà di un elegante signore italiano di cui ricordo solo il nome (Vittorio, l'ho letto sulle licenze perché avevo scommesso con me stessa che quel signore in pantaloni beige e lacoste, così elegante, doveva essere italiano) e si chiama Greentree Caffè. Ci siamo andati sabato, in un pomeriggio di pioggia malefica e vento gelido, proprio tempo da polentina, sembrava ottobre. E' bello bello bello, decorato con gusto moderno, e labirintico. E' su due piani e il sotterraneo è bellissimo, con mattoni a vista, poltrone comode e accoglienti e libri ovunque, anche uno scaffalino in italiano. Il caffè è buono, e poi si trovano anche cose per chi non ama il caffè, o non può berlo, come M. Fanno anche gelati: non li ho mangiati vista la temperatura polare, ma avevano proprio una bella faccia. Stessa cosa per le torte. L'unica ragione che mi ha impedito di avventarmi su quella nerissima torta al cioccolato è stata la colazione da hotel, che sedeva comoda comoda ancora nella mia panza, dandomi un po' di autocontrollo.

E poi, ecco finalmente qualcosa di slovacco: il 17's bar. Trovato per caso due anni fa, M e io ci torniamo a ogni gita a BTS. Siamo sempre gli unici stranieri, incomprensibilmente, perché hanno birra buonissima, locale e non, a prezzi da paura (1.70€ per mezzo litro. Tipo Praga dieci anni fa.) Anche il cibo è buonino, se siete avventurosi potete pure provare la pizza, che per queste zone è sottile, che è già una gran cosa! Lo consiglio perché è anche bello vedere la gente, c'è di tutto. Coppie giovani, coppie più attempate, famiglie che giocano a carte, e naturalmente, come ovunque quando si va ad est di qui, donne a) scosciate b) con tacchi vertiginosi e c) truccate come auto rubate (questa la rubo a P., il residente a Budapest, che sa quel che dice.) 

Ah, e naturalmente dopo il pittoresco e delizioso centro non perdetevi Námestie Slobody, la piazza della libertà. Non è lontana dal centro, e merita, perché è davvero orrenda. E' lì a ricordarvi che aspetto ha avuto mezza Europa per cinquant'anni, oltrecortina. E' come Mick Jagger o Klaus Kinski: così brutti che poi alla fine diventano affascinanti. 

Gli italiani sembra che amino molto Bratislava, era strapiena - come lo era Istanbul settimana scorsa. Che dire, se siete tra questi italiani curiosi di visitarla, andate a Bratislava, se siete anche solo per 3-4 giorni a Vienna. Vale la pena, è proprio carina, e potete anche andarci col traghettino.
la faccia di Natalia sull'aereo da Istanbul
E 20C sono la massima.
Vi dico solo questo.
Sono tornata ieri notte, e appena ho rimesso piede nell'appartamento di Vienna mi è venuto di nuovo il mal di gola.
Inizio a pensare che ci sia qualcosa che non va, in quest'appartamento. Chennesò, una muffa invisibile. L'aria troppo secca. La mancanza di un gatto turco panciuto da spostare coi piedi se vuoi andare in bagno. 

Comunque - esattamente come al rientro da Barcellona, si tiran giù le madonne. Fa un freddo becco, il cielo è grigio, piove e una delle mie studentesse preferite, una dei medici, è stata trattenuta all'ospedale dove lavora - che son tutti malati, con 'sto tempo - e ha cancellato la nostra lezione.

Detto questo, io ora mi godo il pomeriggio libero. Non posso andare al parco, che pioviggina. L'appartamento è freddo e mi sento come un personaggio di Dickens. La mia amica del cuore è partita per Porto Rico una settimana fa e non si sa quando tornerà... Gli altri non sono insegnanti e lavorano...
Quindi, ora faccio partire il bucato, mi levo la felpetta, perché ho addosso la felpetta, e vado a dormire. Così almeno dopo avrò voglia di andare a yoga, che ne dubitavo. Dopo la lezione, temevo di addormentarmi.

Questo tempo il 17 luglio mi fa ricordare perché ho aperto un blog in estate, un anno fa. Come dico sempre: mi serviva qualcosa di carino da fare al chiuso. 


Oggi pomeriggio, sul tram. Caldo porco, tram vecchio senza aria condizionata.

Sono seduta sulla sinistra. Al di là del corridoio si siede una signora di queste parti, ben piazzata e con una voce in linea con la corporatura. Cioè piuttosto corposa. Inizia a parlare al telefono.

Davanti a me è seduta una tizia con un caschetto mogano e le labbra sottili, secca secca e con l'aria da vicepreside rompicoglioni. Guarda dritto davanti: non legge, non ascolta musica, non si guarda in giro e ha le braccia in grembo, con le mani incrociate. Ben composta, insomma.

La tizia ciccia continua a parlare al telefono, voce alta, ma rispetto a un italiano è niente. Tram bloccato da un camion (non succede mai.) Caldazza perché quando si ferma il tram, sembra il dolceforno di quando ero bambina. 

A un certo punto la vicepreside secca si gira e acidissima dice alla tizia:

"Senta lei! Parli un po' più piano, che mi dà sui nervi!" (Così. Niente per favore, niente cortesia, è proprio chiedere un vaffanculo, anche se c'hai ragione, dico io. Passi dalla parte del torto. Me l'ha detto la mamma.)

La ciccia: "Ma stia zitta lei, semmai è lei che dà sui nervi!!!" (in effetti.) Al telefono dice, "No, è che c'è una pulce che mi dà fastidio." Dice. 

Io allibita e mezza ridacchiante seguo la scena.

La vicepreside ribatte, stridula "Pulce sarà lei!!!" 

La ciccia non la caca di pezza e continua a blaterare al telefono.

La vicepreside la fissa con aria passive-aggressive e poi scende alla fermata successiva, circa 16 secondi dopo questo scambio. Non poteva starsene zitta e aspettare quei 16 secondi finché non scendeva, mi chiedo e mi domando?

Io ridacchio guardando la scena e mi rendo conto di essere l'unica che trova la cosa piuttosto assurda.

Inizio a chiedermi se non sia il caso di girare con un thermos di camomilla da dare a sta gente. Davvero.  
Soddisfiamola, 'sta wanderlust.


Soddisfiamola, questa voglia di gita e di staccare e di evitare il burnàut che tanto preoccupa l'Asburgico (e lentamente, pure me.)

Soddisfiamola, perdìo.

Quindi: si va. Si parte per il Lontanistan, come lo chiama l'amico mio saggio.

Andiamo, andiamo in questo posto qui:


Ecco. 
L'ho già detto alle due scuole. Mi manca solo di avvisare alcuni degli studenti, per evitare traumi emotivi sarà da farsi per tempo e con gentilezza. Ma alla capa quella più importante, la K, colei che mi ha dato lavoro quando sono arrivata qui, lei prima di tutti, l'ho già detto. Le ho anche regalato un girasole e l'ho ringraziata per tutte le buone cose che mi ha portato da quando sono qui. Lei ha detto ommioddioèunideabellissima, e poi ha pure pianto un po'. E' tedesca ed è una donna riservata - significa tanto per lei.

Non sarei tenuta a farlo, ma dato che a meno di grosse, imprevedibili sorprese tornerò qui, preferisco tenermi buone le scuole, e avvisare tutti due mesi prima, invece delle due settimane alle quali sarei tenuta. Così magari invece che per sei mesi stavolta farò la fame solo per tre, al mio ritorno, e mi ridanno i miei studenti - che hanno pianto, alcuni, quando gliel'ho detto, sembra incredibile ma è così, anche se sono contenti per me.

Quindi.

Parto. 

Il 30 settembre sarò ufficialmente senzatetto. Il 2 ottobre sarò su un volo per Curaçao.

Il 13 ottobre compirò 30 anni in un'isola dei Caraibi.

Che se me lo avessero detto dieci anni fa, non so se gli avrei creduto.

Ragazzi, che figata stellare. Non pensavo che questo momento sarebbe mai arrivato. 

Ma ho un volo, e il 30 settembre non avrò più una casa. A meno che non ci siano disastri, dovrei proprio partire.

Fatemi andare a sdraiarmi che devo riprendermi, qua.

Niki: può essere veramente che ci venga, in Colombia. Ussignur. Non mi sembra vero!


O anche, quelle horreur, che in francese nella mia testa suona ancora più schifato, che è quello che sono ora, cioè, nei limiti dello schifo che una può sentire mentre è sbracata sul divano, nella vita non ha grossi problemi a parte il mal di gola costante e l'INPS infame che non paga la pensione dovuta alla genitrice che deo gratias per ora se la cava anche senza (ripeto: infami), ed è pure dotata di uno zito asburgico che oltre che essere uscito volontariamente per fare la spesa con i 34C che ci sono, ora sta anche preparando il pranzo di là.

Quindi, intuirete, forse non proprio schifata. Solo un po', da quanto è acida e invidiosa la gente. Di nuovo mi trovo a leggere questo blog del Corriere, quello sui ggiovani trentenni. Ho letto questo post di questa tizia cioè molto sàxèsful, anche lei italiana con zainetto, che riflette a voce alta sul blog dicendo, c'ho trent'anni, cosa faccio, cresco o no, torno in Italia o no, le varie domande che magari spesso mi faccio pure io, che ho la sua stessa età. Sono anche molto più cazzona e non lavoro nelle HR di niente, non me ne frega una cippa di fare carriera perché implicherebbe immischiarsi in gerarchie che mi stanno sulle palle a prescindere. Però trovo il suo post interessante, comunque.

I commenti, i commenti sono la cosa barbara. Ma avete visto? Io abito lontana. Come modo di mantenere il polso del paese ho il parlare con le persone che conosco quando ci vado, e leggere cosa dicono le persone nella "blogosfera", diciamo.

Ecco, l'ho già detto: sento solo cose negative. Gente incazzata, ingrugnita, e frustrata, spesso invidiosa, gente che le dice beh ma a 30 anni si smette di sognare, si comincia a camminare con i piedi per terra. A me sa tanto di tarpamento ali collettivo, quello che leggo. Cioè: è vero, in Italia la situazione è disastrosa, ma coloro che cercano di mostrare ottimismo o iniziativa spesso vengono vessati e fustigati, e questo non è un bene, perché se la gente ti fustiga quando ti metti a riflettere un po' e cerchi di pensare sul da farsi, finisce che nessuno poi fa una mazza (come infatti succede.) Di certo, nessuno aprirà in Italia il prossimo Google o Facebook, o anche solo lancerà il prossimo marchio globale come Armani o D&G.

C'è sempre questa sorta di atteggiamento del dire, ma ringrazia che hai un lavoro, cosa ti lamenti a fare?? Quando magari uno non è che si sta lamentando. Sta analizzando la situazione, perché vuole decidere qual è il prossimo passo da fare. Forse è questo il problema, in molti sentono di avere la possibilità chiusa al concetto di un "prossimo passo", si sentono invischiati, e se la prendono invece con chi riflette perché sente di voler cambiare qualcosa, e pensa addirittura di poterlo fare.

Non lo so. Come ho già detto altre volte, dell'Italia mi mancano alcune cose: il cinema (quello buono), la cultura, poter andare a sentire gli scrittori in libreria in piazza Piemonte, il mare, il poter andare in città splendide in poche ore di treno, oltre che le altre cose che sappiamo (famiglia e amici, almeno quelli rimasti.) 

Però: il mondo del lavoro, no. L'atteggiamento che si ha verso il lavoro, no. Forse sarà un risultato della perenne crisi economica italiana, anzi, ne sono abbastanza certa. Però che cazzo. Veramente, io mi deprimo quando sento parlare del binomio lavoro&Italia. Mi deprimo, e come sempre mi trovo a pensare: col cazzo che torno. Ma quando mai. Solo se diventa necessario, e per questo dovrebbero succedere brutte robe. 

Se anche mio cugino, tipo totalmente diverso da me, amante del suo paese e anche un poco nazional-campanilista, quando mi invita a cena mi dice, bella mia, stai dove sei e non tornare, e poi mi dice magari ce ne andiamo anche io e la coniuge, io mi sento male. 

Argh. Madre mia. 
Lo sto leggendo ora. 
E' uno di quei libri che ho ordinato a distanza, quando ancora non avevo il Chindolo e compravo i libri in italiano a scatola chiusa su Amazon (o Feltrinelli, sembra una vita fa ma non lo è), esponendomi a sole terrificanti come questa, dovendomi affidare alle recensioni, perché non potevo sfogliare le pagine e vedere, o farmi mandare il primo capitolo gratis. 

Insomma, questo non ricordo neanche quando l'ho comprato, sicuramente sarà stato in una qualche promozione, ché i libri di Einaudi hanno sempre prezzi ridicoli. In ogni caso, il titolo già mi piace un sacco. Poi, la foto di copertina, pure, bellerrima. E insomma, dopo averlo portato dall'Italia almeno un anno fa finalmente lo leggo.

Cosa posso dire? Bello, bello, bello e ancora, bello! Leggetelo, se vi piacciono le storie di donne e le storie di famiglia. Se vi interessa saperne di più su un paese vicino all'Italia, anche. Se vi è piaciuto La Casa degli Spiriti di Isabel Allende, vi piacerà anche questo. Lettrici e lettori che abitate in un altro paese: vi piacerà anche per questo. Almeno, è un libro che mi parla anche per la mia condizione di straniera.

Un'altra cosa che mi stupisce è che questo libro magnifico è stato scritto dall'autrice direttamente in italiano, e non è scritto bene - di più. E' poetico, non si sente affatto che questa non è la lingua con cui l'autrice è cresciuta. 
Questa è una cosa che mi ha sempre affascinato da morire, sin da quando lessi il mio primo libro di Milan Kundera al liceo. Questi scrittori che scelgono di scrivere in una lingua che non è la loro - io non ci riuscirei. Gli altri che mi vengono in mente sono Gao Xiingjian e Samuel Beckett, ma sono certa che ce ne sono molti altri. (Suggeritemi, che sono ignorante, forza!)
Quando scoprii che l'originale del libro di Kundera era in francese, e non in ceco, mi ricordo che ebbi un momento di ammirazione molto seria. A quell'epoca andavo al liceo linguistico e mi chiesi: ma un giorno io sentirò che per me è più naturale scrivere, che so, in francese o in inglese che nella lingua di cui sono fatti i miei ricordi, in cui mi parla mia madre, in cui mi sono innamorata la prima volta?

Ah, e poi mi sono anche appena ricordata di un altro libro molto interessante, anche questo scritto in italiano da una scrittrice albanese: Vergine Giurata, di Elvira Dones. Anche questo mi era piaciuto molto all'epoca, e anch'esso parla prima di Albania, e poi di emigrazione e identità quando ci si trova a vivere altrove. Che dirvi: ascoltatemi. Buona lettura. 
Natalia è ancora viva. 
Ha solo il cervello (felicemente) sciolto dal caldo, ed è troppo occupata a passare le giornate libere immobile come un rettile, al parco. Massimo movimento: la bocca che chiacchiera, le mani che girano le pagine.
Quelle lavorative, facendo due docce al giorno e insegnando con un ventaglio in mano. 
Ritorno presto.
Ho caldo.
Sono tornata a casa in canottierina.
Che gioia immensa. 
L'Italia ha giocato di merda ieri, ma di questo parlo un'altra volta.
Che ho caldo. 
...sarebbe andare a trovare loro.

No, per dire. Sigh sigh.