a gestire un italiano. Uno de souche.
Porca boia. 
In questi giorni sono sparisciuta perché è venuto un amico italiano a trovarmi. Compagno di uni, amico da dieci anni, E. fa parte di quel gruppo ristretto di persone che ogni volta che vado in Italia lo sanno, generalmente perché decido io stessa di dirglielo. Considerato che sono più celebre del già citato papa Wojtyla, sono costretta a far così. O così, o girare per Milano come una trottola e tornare a Vienna più stanca di quando sono partita, altro che vacanza. Che poi succede comunque.

Ma comunque. Veniamo a noi, bando alle cacate, con la c, come dice il mio studente che lavora per gli italiani. 
E. è venuto qui venerdì ed è ripartito oggi. Abbiamo passato un adorabile uichènd di cazzeggio da ex ggiovani alternativi quali siamo. Venerdì pomeriggio passeggiata in centro e intervista agli studenti e non solo, molti relativamente toffa, che volevano bloccare il ballo WKR. Il ballo WKR è un ballo organizzato dall'equivalente delle nostre goliardie mi sembra di aver capito, le quali qui sono alquanto destrorse, anzi pesantemente tali, e hanno la delicatezza di fare il loro ballo nel giorno della Memoria. Bravi. Quindi ho ammorbato un paio di loro, e poi siamo andati in un caffè letterario. Sabato sveglia alle 11 passate e pranzo alle quattro in una heurige, una delle osterie qua in collina, dopo una passeggiata nei vigneti. Il nostro vicino di tavolo era un pazzo locale che si presentava come entertainer, accompagnato dall'adorabile madre ottantenne. Messi insieme erano folcloristici da morire, e si capiva poco quando parlavano - geniali, e meno male che io non sono turca. Domenica giornata architettonica. 

Ma il fatto è: io non sono più abituata ad aver intorno italiani che non siano italiani all'estero, o meglio, ce li ho intorno solo quando vado in Italia, ma altrove, no, e quindi sono impreparata. E., (se stai leggendo sappi che tevojobbène,) parla. Favella. Gli fai una domanda, e te risponde con una conferenza. Gli chiedi un parere, e lui ti fa una tesi-antitesi-sintesi supportata da note a pié di pagina. 

A parte che il mio lunedì è stato oréndo per altri motivi, dopo tre giorni con E. oltre che arricchita nel cuoricino per essere stata con un caro amico, mi sento così:

Beehive Head - Josie Fraser
Mi sembra di esser uscita ora da un'alveare. Ma quanto diavolo parliamo, noi italiani? Inizio a capire la perplessità di M che si chiede di che cazzo parlo su skype con la mia genitrice per un'ora e mezza. O quello, o mi sto austriacizzando troppo, o insegno e quindi nella mia vita privata se sento più di venti parole al secondo me ne vado a male.
Aiuto. 
se sei italiano. Almeno, ho questa sensazione, da queste parti. Come ho già scritto varie volte, i locali si imbruttiscono un sacco, quando devono aspettare. I miei studenti, no. Ma dico - nessuno di loro si è mai irritato o mi ha fatto notare qualcosa.
Secondo me è perché sono italiana, e quindi se lo aspettano. E io in Italia c'ho la fama di donna puntuale, perché se sono in ritardo è comunque dieci minuti, un quarto d'ora e già mi sento pessima. Sarà il lato meneghino. 
E' una cazzata della mia mente o succede anche a quelli tra voi che non abitano sul suolo patrio?
E' come ho scritto il precedente post di fine analisi politica. L'ho appena riletto. Ma c'ho sonno e non lo correggerò, perché sembrerei comunque il papa Wojtyla del 1981 anche a fine correzione.
Voi andate in vacanza in Ungheria. Portate soldi a quei povericristi che ne hanno bisogno. Oppure anche no, non so. Hanno la tendenza a votare gente antipatica, e con una maggioranza piuttosto schiacciante. Quindi fate voi. Io vado a leggere un libro, ammesso che capisca tutte quelle parole in inglese.
Buonanotte.
O, tradotto da P.: "enculés par la tristesse". O tradotto da me, per voi: inculati dalla tristezza. 
Mentre P ed io sguazzavamo alle terme, in strada c'era questa gente qua. (articolo in francese) 

hulala.org
Cioè i nazionalisti ungheresi, che hanno marciato in onore di Orban, il primo ministro ungherese che sta facendo un sacco di cose carine, col suo governo. Tra le altre, tentare di restringere la mobilità dei giovani ungheresi. L'ottica è che dato che lo stato ungherese spende soldi per formarli, allora è giusto che i suddetti giovani restino in Ungheria, a lavorare per 400€ al mese con lavoro a tempo pieno. E basta con ste cacate della libera circolazione delle persone, suvvia. O tipo lanciare campagne online - di cui non riesco a trovare il video perché diobono non parlo ungherese - strappacuore, che mostrano una giovane coppia che si incontra, s'innamora, contempla l'idea di partire per l'estero a cercar fortuna, ma alla fine decide di restare in Ungheria, perché c'hanno le barrette al cioccolato strane (chi è stato a Budapest sa di che parlo) e il gulasch. Cioè io capisco eh, dire emminghia, spendiamo i soldi per le università e poi questi se ne vanno, sciagurati. L'ho sentito dire anche dei giovani italiani che se la sminchiano di guadagnare 800€ al mese abitando a Milano e se ne vanno (tipo me.) 

Tutta 'sta cosa mi fa pensare all'aneddoto di P., che mi ha detto che sul viaggio di ritorno da Parigi verso Budapest, davanti a lui c'era una coppia di viaggiatori, lei anzianotta, forse una zia, lui più giovane. Lei francese, lui ungherese abitante in Francia. Lui criticante la Francia. E la signora francese che lo apostrofa "beh, però tu dovresti essere meno critico della Francia e ringraziare che almeno la Francia ti abbia dato un lavoro, invece che lodare questo paese che non ha saputo darti un buon lavoro." Io farei incontrare l'amico Viktor con questa specie di nonna Abelarda di Francia, che secondo me gli farebbe un paiolo così, a Viktor.

L'Ungheria è un paese che per un sacco di cose mi fa pensare a un'Italia messa peggio. I giovani non hanno soldi, sono scojonati e perdipiù non hanno neanche il conforto di abitare con la nonna che gli fa la pasta fresca, se li coccola e ogni tanto gli passa la centella. Il giovane ungherese, mestamente, abita da solo o con un coinquilino in case senza riscaldamento, quei pochi soldini che ha li usa per inciuccarsi, ed è sempre più buval baszott. Manca un accento, perdonatemi. A me Budapest piace un sacco, continua a piacermi, è una città che mi porta fortuna, dove sto bene ogni volta che vado e che mi accoglie sempre con il sole. Però è capitale di un piccolo paese un po' messo male, e mi dispiace. Purtroppo, come sempre, quel che rende l'Ungheria un paese messo male è anche ciò che lo rende interessante. La Kakania dove io abito, invece, per molti versi è messa così bene che ti viene un abbiocco, specie se cresci in Italia e poi abiti in Turchia, e non sei abituata a che le cose funzionino e che non ci siano sempre scioperi e scontri di piazza e gente incazzata e vendette di mafia e strozzini e cose del genere. Ecco.  

Ma passiamo a cose frivole. Cosa che farò in un post separato, perché così mi va. Non posso mica mischiare l'immagine di P e me a mollo alle terme Lukacs per mezza giornata con le mie fini analisi politiche. Però: ora c'ho sonno e domani lavoro 12 ore. Ergo, capitemi, ma il post delle vaccate lo rimando a domani.
Sono troppo multitasking. O meglio, faccio cagare a far più di una cosa per volta, e se un giorno diventassi madre, non so cosa farò. Finirò con l'infilare un bambino nel forno e uno sformato nella culla, probabilmente. 

telegraph.co.uk. anche da Aves sono multitasking.
Però sono culturalmente multitasking. Oggi ho fatto una lezione lunghissima con I., pora piccina, studentessa che adoro. C'ha vent'anni e sembra la copia della sottoscritta a quell'età, il che fa sì che già mi vengano voglie di adozione e sorellanza. Oggi era in sbattimento perché stava preparando l'esame di linguistica inglese e però lo stesso giorno (domani) c'ha anche quello di italiano, ed era in crisi isterica. L'esame di inglese lo sta tentando per la seconda volta, e qua, cari miei, se non passate l'esame al secondo giro siete fuori. Ma proprio fuori fuori - non ci si può laureare in inglese, se si viene stampati due volte in un esame d'inglese.

Quindi oggi a lezione io sono arrivata con un mucchio di materiale su forma e uso del congiuntivo italiano. Però sono finita a fare un ripasso di fonetica inglese, sembravamo due crétine in mezzo al caffè a riprodurre i suoni toccandoci la glottide l'una con l'altra per vedere le differenze. Ma l'ho fatto - e senza colpo ferire. Senza preparare la lezione. Sono troppo brava. Ora imparerò a impagliare animali e a fare formaggi. 
Sono tornata.
E' stata una intensa due giorni budapestiana.
Seguirà presto una relazione approfondita.
Un romanista turcologo e un'anglista francofila a piede libero in una zona culturale con cui c'entrano come i cavoli a merenda possono solo produrre qualcosa di buono. Dico io. Viva le cousinades!
Oggi io, col mio tedesco B2/C1, ho dato una mano nell'organizzazione degli esami di tedesco. Per un diploma che io, tra l'altro, non ho neanche, il che fa molto ridere. Alcuni di quegli studenti, il tedesco, lo sanno meglio di me, come per esempio il medico iraniano di oggi. C'è sempre un medico iraniano, in ogni classe di studenti stranieri, qui. 
Comunque. Si trattava di far fotocopie di passaporti e organizzar la classe, sicché, niente di grave, anche una cialtrona come me lo può fare.

http://www.xn--dirndlgnstig-jlb.org/
Il primo ad arrivare è stato Mehdi, un ragazzo tunisino mio coetaneo, che ha trovato lavoro nel catering sui treni, e doveva fare il test per avere il visto lungo e restare qui. 
Siccome eravamo soli, ce la siamo chiacchierata un po' a parlare di Tunisia e di Mediterraneo e di scheisswetter (oggi piove che la manda il signore.) Ligia al dovere, uso solo il tedesco, che lui è lì a far l'esame di quello. Niente francese, niente inglese, mi impegno. 
Dopo un paio di minuti mi fa: ma sei austriaca? Con aria dubbiosa. E io gli dico, no, sono italiana. E lui mi dice, ah, che bello, sei siciliana? Io gli dico che no, sono di Milano, e che quando lavoravo al bar all'università uno dei miei clienti preferiti era un tunisino matto di nome Fathi. (E' vero. Era un folle, mezzo stalker, ma era divertente quando veniva al bar.) Dopo un po' gli dico, ma come ti sei immaginato che fossi austriaca? E qui, la risposta. 
Perché hai l'accento austriaco, ma sei chiacchierona e sorridi e fai battute, quindi non puoi essere di qua. 

Capite il dramma? L'accento austriaco. Io. Che non vengo mai individuata come italiana, al massimo come francese, per come parlo tedesco, io, che mi dico sempre che potrei essere la nuova Mata Hari per come dissimulo gli accenti, no? 
No. Mata Hari una sega. Finirò come questo bocciolo che vedete qua sopra. Ay dios mio
it.wikipedia.org
E' una frase che mi accompagna da che sono nata. E' vero. Soprattutto se s'è deciso che le donne italiane hanno tutte non dico la gnoccaggine, ma almeno la cromaticità della Monica nazionale. Che tra l'altro credo nazionale non sia più, dato che è sposata con quello là non bello ma fascinoso, che francese è. 

Comunque: non mi succede solo in Italia, di sentirmi dire così, mi succede anche qua. In Italia di solito me lo dicevano le persone appena incontrate o gli uomini che pensavano di essere in procinto di sedurre una gallinella olandese più bassa della media. 
credo da Maxim :D 
Gli 'striaci, invece, son delusi perché vanno al corso d'italiano e si aspettano una come la Monica, no? E invece si ritrovano con una come la Carolina (Crescentini), di cui vedete una diapositiva qui a fianco. L'ho scelta perché ha un cappello, come ne ho sempre io, lunghi capelli biondi, come i miei, ha gli occhi azzurri bellerrimi, come i miei. Diciamo che è bella quasi quanto me, ecco, e poi era in un film di Ozpetek. Insomma, i miei studenti sono delusi perché sono d'aspetto troppo simile al loro.
Poi, però, apro bocca. Quando insegno inglese già un po', ma quando insegno la mia lingua, allora, lì è chiarissimo che sono italiana. C'ho il decibel italico, tanto per cominciare. C'ho il gesticolamento italico. C'ho la mimica italica. C'è che quando insegno, soprattutto a gente che non sa neanche dire "mi chiamo Gerhard", per farmi capire, praticamente, sembro una maschera della Commedia dell'Arte - ed è per questo che io adoro questo lavoro!!!


Innumerevoli, adorabili lettori miei: c'è una frase che vi sentite dire da che siete nati? Io ho questa qui del "non sembri italiana" che mi segue ovunque nel mondo, e da sempre. Sono certa che ci sono anche altre cose, ma con la mia memoria da geco nano, non mi vengono in mente al momento. 
Cihangir | il mio quartiere http://birdutmasali.blogspot.com/
Occazzo.

E' quello che ho pensato un paio di giorni fa. Di mio, ma anche perché il blog di Bayan Destinazioneestero mi ha ricordato la mia vita istanbuliota nei dettagli. Fa un po' male. 

Perché mi sono accorta che sono passati quattro anni da quando io, pivella laureata da due settimane, mi sono trasferita a Istanbul. Dicendo alla mamma, e a me stessa: no, dai, ma vado tre mesi, faccio lo stage del MAE e torno. Sono arrivata il 12 gennaio 2008. Dovevo tornare in Italia a marzo del 2008. Sono tornata stabilmente in Italia a settembre, invece. Oops. Con in mezzo gite nel sud della Turchia, una gita siriana cancellata perché... Non si sa bene perché, e un innamoramento a Kathmandu. Cioè M. 

Sì insomma, sono arrivata lì, sprovveduta e senzatetto, con in testa un tizio conosciuto appena prima di partire, conoscendo solo la parola merhaba e Ö., futura amica e couchsurfer, che mi avrebbe ospitato mentre cercavo casa, che abitava a Üsküdar, riva asiatica.
Il primo giorno sono andata al lavoro in traghetto, coi gabbiani e un bicchierino di tè per svegliarmi, e il mare mi ha fatto da balsamo, come in questo romanzo che amo tanto.
Sono arrivata centrifugata, ferita, spezzata, preoccupata per la mia mà sola a Milano, mio padre morto da poco più di un anno di malattia brutta e brutale. Col ragazzo con cui stavo all'epoca che si era dato a una fuga del cazzo a Londra e che non era tornato per il funerale del mio babbo che aveva tentato di tirarlo fuori dalle magagne in cui s'era cacciato, magagne che non mi spiegò mai.
Sono arrivata disorientata, come tutti i neolaureati. Sono arrivata dicendo boh, rifletto durante sto stage e vedo cosa fare di me stessa, perché avevo sempre e solo insegnato, ma mai a tempo pieno. Sono arrivata che avevo già viaggiato tanto, ma non avevo mai abitato all'estero, perché non mi era andato di chiedere soldi ai miei per un Erasmus.
Sono arrivata affascinata da Istanbul e curiosa di conoscerla, curiosa di vivere in una città di mare per la prima volta nella mia vita, una città dove la prima cosa che mi ha stupito, la mia prima mattina dopo aver dormito a casa di Ö., è che lì si sentono i gabbiani la mattina, che cosa bella, mi sono detta. Perché io adoro il suono dei gabbiani, e sono cresciuta, dico, a Milano. Dove i gabbiani, o il mare, anche no.
Istanbul è una città che mi ha dato tantissimo, e che non mi ha tolto niente. O meglio, le cose che mi ha tolto erano cose che andavano tolte, come la paura di non farcela da sola. Istanbul mi ha rimarginato le ferite che avevo, mi ha dato una tabula rasa su cui costruire la versione 2.0 di Natalia.

Istanbul mi ha fatto conoscere persone che amo, e che sono ancora parte della mia vita. La cricca francese, di cui P, il personaggio che ora è a Budapest, fa parte (amò se leggi, non vedo l'ora di Budapestarmi tutta con te.) G&E, italiani sciroccati in trasferta a Galata, che sento come se fossero famiglia. M, anche M l'ho conosciuto lì. P., insalata mista di italianità e inglesitudine, che ora è chissà dove in Asia. S, la mia turbotutor allo stage, donna friulana dalle idee molto chiare, a me le ha chiarite per osmosi, e mi ha dato una direzione. I due O., due amici turchi uno più affascinante e interessante dell'altro, e naturalmente Ö., che ho nominato prima. Tutte queste persone sono persone che amo e che vorrei vedere più spesso, come la città, del resto.
Essere finita lì ha rappresentato per me uno di quei momenti dove la tua vita si biforca. Sarei potuta partire per il Sudafrica o l'India, con quello stesso stage, o magari non partire del tutto - e sono sicura che la mia vita sarebbe totalmente diversa, se non fossi finita a Istanbul, che mi ha presa, e mi ha rimessa in sesto e mi ha fatto crescere.
Per me rimarrà sempre casa. 
guardian.co.uk
The Future è il secondo film di Miranda July, quella che qualche anno fa ha fatto You and Me and Everyone We Know, artista poliedrica, ma soprattutto stralunata assai. Mi piace, scrive libri, fa film, fa performance, forse dipinge anche.  
Ho visto il suo nuovo film  film alla Viennale a ottobre, o novembre, o quand'era, e devo dire che mi è piaciuto. Parla dei due che vedete qui a fianco, lei insegnante di danza con aspirazioni ben più grandi, lui che lavora da casa come assistenza IT. Decidono di fare il passo: adottare un gatto. Il film racconta come decidono di fare il meglio della propria vita "libera" rimanente, nel mese precedente all'arrivo del micio. Ovviamente metafora di altro, come ha detto la Miranda anche in alcune interviste. Abbandonano quindi i loro lavori e cercano di prendere tutto il meglio che possono dalla vita per 30 giorni.
Il film è lunare e un po' malinconico, ma a me è piaciuto. Forse perché parla proprio di due persone in quella fase in cui si decide se diventare grandi o no, e se sì, dovecomequando, e mentre fa questo ci sono incursioni nell'umanità più stramba, nonché nel soprannaturale - il personaggio di Jason, as esempio, scopre di avere il potere di controllare il tempo.
E' stato strano vedere il film insieme a una coppia di amici messi più o meno come noi, e come loro, quelli del film. Si abita insieme da un po', si lavora, e intanto sotterraneamente, mentre si fa altro, si riflette su cosa fare per quanto concerne, ecco, quella che la gente avanti chiamerebbe la big picture. Tipo che Nikolaj Cernysevskij, col suo Che Fare? ci fa una pippa.
La prima parte del film, in particolare, è assurda, assurda per come mi ha fatto sentire come se sti due capelloni mi si fossero infiltrati in casa, per poi mettere in scena un sacco del mio quotidiano, perché questi due sono assorbiti l'uno dall'altra come, in fin dei conti, lo sono anche io con l'asburgico per tante, tantissime cose. Qualche volta capita, coi film, e sono quei film che ti rimangono, e che ti fanno stare lì a riflettere ancora, due mesi dopo che li hai guardati.
Bah. Fine del post spettinato. Morale: andate a vedere questo film, ma se convivete con il compagno o la compagna da qualche anno, siete nella fase anagrafica 27-35, direi, e vi chiedete checcazzo fare di voi stessi, sappiate che mediterete assai dopo aver visto il film della Miranda.
Detto ciò: vado a lezione. Ah, e naturalmente sono innamorata di Hamish Linklater, quello che controlla il tempo. Mettetemi davanti uno spilungone capellone con gli occhi grandi e io finisco così. Cojona così. 
C'è una cosa che dovete sapere. La cassiéra, qui in Kakania e mi dicono anche nel resto della Tedeschia, non è mica uguale a quella italiana, belli miei. Dovete stare molto attenti, quando fate la spesa, specie in quei discount con l'insegna con la ACCA maiuscola, ma anche altrove.

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La cassiéra, qui, non è mica quell'essere benevolo che ti chiede come sta tua nonna. Io sono abituata a quello: le cassiere del supermercato dietro casa mia mi hanno visto la prima volta che avevo 4 anni, sanno tutto di me nonostante sia una grande città come Milano, perché se la chiacchierano con mia madre quando questa paga. Sanno che ho fatto un'ottima maturità, che ho studiato Mediazione Linguistica, che sono avvezza ad avere uomini stranieri, che porto al loro supermercato e che sorridono senza capire nulla mentre paghiamo e sono in visita alla mamma (no, M non è il primo. So' recidiva.) 

La cassiera, qui in Kakania, è un'essere pericoloso. Tanto per cominciare, non ti parla molto. Di solito, non ti guarda neanche - anche se questo mi sa è dovuto a una differenza culturale, sono meno fissati con il guardaminfacciamentremiparlicazzo di noi, mi sembra - e figurati se sa come ti chiami. O se tu sai come si chiama lei. Un'eccezione alla regola sono le giovindonne ex-jugoslave, almeno per me: loro sì che se la chiacchierano come se fossero ancora a Belgrado o a Skopje. Comunque. Tu vai dalla cassiera, e lei non è che aspetta che quello prima di te se ne sia andato: lei comincia a passare gli articoli. E tu devi spintonare il tizio prima di te perché quella mica si ferma: ti butta le robe in faccia e se ne sbatte le palle, se tu non sei pronto, o se non trovi il portafoglio, o se ti devi soffiare il naso. Ti devi muovere. Altrimenti ti arriva una zucchina in fronte, santodìo. Ovviamente le casse non hanno spazio per lasciare lì le cose mentre le metti via. No: sono lunghe circa 10cm, un'assurdità. Ti devi pigghiare tutto e sistemare tutto al tavolone che ogni supermercato ha proprio per questo compito.

Penso che il motivo sia anche l'animo del cliente 'striaco. Gli 'striaci non sono incazzosi, non si infervorano per ogni minchiata come noi, ma c'è una cosa che non sopportano: l'attesa. Se li fai aspettare, eeeh, signoramia, lì scatta l'ira dell'asburgico che ha ben altro da fare che stare ad aspettare cose becere come il pagamento al super. E quindi si mette a gridare, in modo totalmente poco gentile: ZWEITE KASSA BITTE!!! Come se io mi mettessi a gridare AHO' APRIME N'ALTRA CASSA GRAZIE!!! Cioè, dì quanti bitte ti pare, ma a me mi sembri comunque cafone, tu che non gridi mai che ora ti metti a strillare.

Ergo, come fare a far la spesa? Tu, povero italico, veneto, piemontese, romano o siciliano che tu sia: rassegnati, qui sei un terrone lento come la fame. Sì, anche tu dalla provincia di Vicenza lo sei. Siine fiero, ché tu non hai bisogno della neve per saper avere un po' di salutare flemma, diobòno. E poi attrezzati di

* un carrello, se sei beginner (sì, pure se devi comprare tipo 5 articoli.)
* una grande borsa di plastica o di cotone che apri bene bene e ci getti le cose che ti butta addosso l'affabile cassiéra. o uno zainètto, per adattarti agli usi locali.
* portafoglio o bancomat alla mano, e muoviti a pagare 
* ma soprattutto: metti la tua spesa in modo strategico sul nastro. Comincia con le cose pesanti, che van sul fondo. Intermezza con la frutta, che la devono pesare e ti dà qualche secondo per riprenderti, e le robe leggere alla fine.

Fidatevi. E' meglio così.
Stamattina mi sono svegliata a uno di quegli orridi orari antelucani che devo tenere qui. Che se ci hai un appuntamento alle 8:30, devi arrivare alle 8:15, se no gli studenti ti guardano storto come se fossi, tipo, in ritardo (che poi sono studenti disoccupati, quindi, che fretta hanno di fare i test rapidamente? Dove c*** dovranno mai andare?) Puntuale qui è già in ritardo, per certa gente.

Comunque.

Stamane sono strisciata fuori dal letto alle 6:45. Passo davanti alle finestre della sala, e mi sembra di vedere troppa luce. Con quell'unico occhio che mi si apre a quell'ora, vado a vedere di che si tratta. Il nostro cortile è tutto bianco. C'è la tormenta di neve, diobòno. 

Ho cantato vittoria troppo presto, speravo di cavarmela attraverso l'inverno 2011-12 senza nevicate e rotture di palle assortite. E invece no! Adesso esco per le lezioni del pomeriggio, agile come una gazzella ubriaca nella neve della steppa.
gazzelle tibetane nella neve su http://en.tibetmagazine.net/
Il bello è che sono attorniata da austriaci felici come pasque perché nevica. Non vedono che diventa gelatina grigiastra e zozza dopo due minuti. No, no. Loro sono contenti perché così possono rallentare il ritmo. Ma il problema, miei cari, è che vi serve la neve per farlo. A me no, perché io nasco lenta. Insomma quindi gli austriaci con sorriso (raro) sulle labbra e i tacchi alti nella neve, e la vostra beneamata, la vostra prode Natalia, invece, in giro col passo leggero come quello di un granatiere e la bocca pulita come quella di un camallo genovese. 

Son belle immagini, dico io. 
Allora, sì, ecco, per soddisfare la wanderlust questo fine settimana mi faccio una gita da P, l'amico francese, quello della cousinade, e vado a Budapest. Due obiettivi: scolarci almeno una bottiglia di rosso - italiano, francese, austriaco, basta che sia rosso - e andare alle terme ottomane.
Che sono due ottimi obiettivi da avere.
Ma parliamo di Budapest, che è una città che a me piace un sacco. In questi giorni è agli onori delle cronache per robe serie, nello specifico perché gli ungheresi un annetto fa hanno votato un simpatico nazionalista di nome Viktor Orban, che fa, appunto, discorsi nazionalisti. Che parla della Grande Ungheria e del paese mutilato, queste cose qui. P dice che molti suoi conoscenti parlano di queste cose e mostrano atteggiamenti nazionalisti, a suo avviso perché non hanno molto altro a cui attaccarsi, essendo gli ungheresi, poveri loro, con le pezze al culo più degli italiani.

Mate J Horvath for Panoramio
Ma non è di questo che volevo parlare. Volevo parlare del fatto che Budapest è un posto geniale, toffissimo, un po' scaciato - perché non ci hanno i soldi per sistemarla e intonacarla - piena di gente un po' conciata, come piace a me. Budapest ha anche il pregio di essere piuttosto vicina a Vienna, e di avere le proprie strade popolate di una lingua a) di cui non si capisce nulla e b) che foneticamente a me piace moltissimo e che c) a uno straniero fa sembrare che gli ungheresi sian sempre un po' ubriachi. Il che, forse, non è così lontano dalla realtà. 
Budapest c'ha anche un sacco di locali chiamati kert, che sono una roba a metà tra un centro sociale all'italiana e i localini radical-chic di Berlino. Vedete una diapositiva di Szimpla qui sopra, il kert più famoso di tutti. Vedete? Sembra il cortiletto del Leonka, ma più colorato, con più arte e meno slogan politici (qualunquista, direbbe probabilmente un frequentatore del Leonka, schifato.) Però a me i kert piacciono un sacco. L'altra cosa di Budapest che adòro è l'importanza centrale del fiume. 
http://commons.wikimedia.org/
A Budapest, infatti, mica fanno come qua in Kakania. A Vienna, non so bene perché, i romani, quando sono arrivati hanno detto, ahò, io non ci voglio stare in riva al fiume. Costruiamo qualche chilometro più in là e usiamolo solo come svincolo autostradale e per i trasporti fluviali e le chiatte arrugginite. (Ogni volta che vado sul Danubio vero, nelle parti rurali, mi sembra di entrare in un film di Emir Kusturica. Bellissimo. Ma lontano da casa mia, ahimè.)
Il risultato è che a Vienna il fiume è in un'orrida periferia, e l'unica parte di esso che i viennesi si cagano è quel piscettino chiamato Donaukanal. Carino, eh, però è poco più di un Naviglio. Ora, perché mai una scelta del genere quando hai a disposizione un fiume maestoso, enorme, pieno di storia, che ha ispirato libri e canzoni? Perché non te lo caghi, Vienna? Ecco, Budapest invece se lo caga, il Danubio. Se lo coccola. Ci costruisce sopra parlamenti, ponti fighissimi, lungofiumi lungo cui passeggiare, se lo vive. E siccome a me, chiusa dentro questa Europa orientale che non si capisce bene come ci sono finita, l'acqua manca assaio, che almeno mi diano un fiume da contemplare, no? Che il mare è lontanissimo, da qua. 

In pratica, Budapest e Vienna sono sorelle. Sono le due ex-capitali gemelle dell'impero di Cecco Beppe e compagnia bella. La prima si è evoluta nella sorellina minore, quella coi piercing e i tatuaggi e i vestiti colorati e gli anfibi. Vienna, invece, è la sorella anche lei radical-chic, però più di quel genere con lo scamiciato e i collant eccentrici, che comunque ha un lavoro rispettabile. Io le vedo così, le due città. E I <3 Budapest, proprio, anche se P mi dice che gli abitanti sono musoni quanto qua. Quella lì dev'essere una sindrome da est Europa. Comunque: sarà un weekend splendido. Non vedo l'ora.  


www.holycowvegan.net
...Sicché, io non esco, e cucino. 
Mi è scoppiata la dipendenza da patate dolci, yam e tutti questi tuberi e radici che vengono da lontano. Il che è ottimo per la panza, meno per tutte quelle robe lì pallose che mi interessano tipo la cucina a chilometri zero, quel mondo lì. Inzomma comunque, non faccio altro che mangiare patate dolci ultimamente, al forno, bollite, stufate, de tutto. La patata dolce è un po' l'avocado di quest'inverno. 
Quindi stasera farò questo simpatico stufato di cui vedete una diapositiva qui a fianco, con patate dolci, carote e burro d'arachidi. Sicuramente non dietetica, ma a me che me frega, mai detto d'esser salutista, no? 
E oggi pomeriggio faccio pure una torta al cioccolato amaro, così ce l'ho per colazione per qualche giorno. Della serie, affondiamo lo scojonamento che avanza nel cibo. Sono proprio scojonata. Di solito dura poco e torno a essere la felice, ottimista cojona di sempre, stavolta faccio fatica. Boh. 
Speriamo di no, eh. Speriamo che sia una delle tante boiate che si dicano. 
Non è cominciato benissimo, però, cioè, niente di grave, diciamo che è cominciato con una serie di fonti di stress che a una con meno senso dell'umorismo di me farebbero venir subito la candida. Per esempio che tu parti con la voglia di Lontanistan (cit.) che ti sprizza da tutti i pori e al tuo ritorno scopri che 

a) il compagno di potenziale gita in Lontanistan tituba con perplessità da uomo cresciuto che tu ti dici, ma da quando in qua? E il wanderlustismo, passato come un'infezione intestinale? E il fatto che in teoria volevamo restare un anno e mezzo e siamo qua da molto di più e tu premevi per andare?
b) due amici si autoinvitano a Vienna. A casa tua. Con un preavviso di circa tre giorni. Tu dici sì perché sono tra i tuoi migliori amici e gli vuoi bene, ma un po' rosichi perché la settimana prima della Befana doveva essere quella dove rivedi le amiche e ti stravacchi nei caffè cittadini, lavorando massimo 4h al giorno. Non quella dove fai la guida turistica, mentre aspetti che il compagno germanico si dia una calmata perché insommaecco i soliti italiani che non si organizzano eccheccazzo. O_O
c) torni al lavoro e la tua coordinatrice ti dice pimpante, ehi, ce l'hai un minuto per parlare del tuo futuro? E scopri che a partire da marzo vogliono darti un progetto d'insegnamento d'inglese che ti darà 20h di lavoro garantite a settimana per un anno, pagate il doppio di quel che prendi ora la mattina in ufficio con lei. Per un frilèns, praticamente l'arrivo dei Re Magi, per restare in tema. Le dici di sì, e poi ti ritrovi a dire, merda, e il Lontanistan? E la wanderlust? Starò mica crescendo anche io? Ossignore.

Sono tornata da una settimana esatta, atterrata - naturalmente in ritardo, perché se c'è di mezzo Malpensa un ritardino lo fai - in serata tirando giù madonne assortite perché il suddetto ritardo mi ha fatto perdere due treni. Cominciato bene. La notte di Capodanno è stata adorabile, un sacco di cibo e vino e una cumpa di gente di 5 nazionalità diverse, che a me diverte sempre molto. Però poi con le capriole diplomatiche per fare sì che i due non dormissero per strada e tutte ste novità relative al lavoro di entrambi, mi sa che vado a farmi un giro su spreadshirt.com e mi compro le spillette di cui vedete una diapositiva qui.