'sti giorni sto così. E' calato l'inverno. Le massime sono a tre vertiginosi gradi. Alle quattro e mezza fa buio, e la mattina quando mi sveglio non ci ho voglia di andare in ufficio. Questa è la stagione in cui mi rendo conto che io adoro insegnare, e che stare al computer mi fa sminchiare da morire, che non ci ho voglia di avere giornate lunghe 12 ore perché non dormo e i miei ritmi sono sballatissimi. Ugh. Scazzo cosmico. 
E poi sono andata a Londra a passare il uichènd con uno dei miei migliori amici e c'ho le stesse malinconie che mi vengono dopo che saluto mia nonna - ora che ci penso, glielo dovrei dire, sono certa che lui si rallegrerebbe di essere importante per me quanto mia nonna. Comunque. A Londra c'erano a) 10C più che qui, b) persone che mi parlavano a caso nella metro e in aereo c) meno gente col grugno. Mi sa che è l'inverno viennese che ti cala addosso come un coperchio di ghisa. Altro che Milano. Però sempre meglio di Novosibirsk, o anche solo di Berlino. Consoliamoci così, che altro fare?
per molti. Per me no. Quando per settimane ogni notte vai a dormire non prima di mezzanotte, fiducioso che puoi dormire fino alle 7.30, e poi ti svegli alle 3.30 o alle 4 per non dormire più e stare lì in compagnia del tuo cervello che non fa altro che pensare invece checazzodormire, dopo un po' cominci a non aver voglia di fare molto. Ti trascini al lavoro, che sei frilèns e se non lo fai sono cazzi per il tuo portafoglio, e poi non pensi ad altro che al momento dolcissimo in cui tu dormirai. Momento che dura sempre meno di quanto dovrebbe, diocaro. Hai una faccia di merda al lavoro, fatichi a concentrarti e i colleghi si dividono tra quelli empatici, carini, che ti dicono oh ma dai ma non riesci a trovare una relazione tra i cicli di insonnia e la tua vita per lavorarci sopra? e cercano di confortarti, e quelli che no. Che ti guardano come se fossi un cojone, quando ti aggiri mezzo rincoglionito senza neanche essere stato a un festone la notte prima. Ecco, quelli lì mi fanno incazzare, perché ti guardano sempre come se dicessi una cazzata, quando gli spieghi che sei un po' out of sorts perché non hai dormito. Che venga a loro questo problema, poi vediamo che faccia fanno. Ma in un paese di mattinieri incalliti mi sento generalmente poco capita.

Sono a casa alle ore 10.30 del mattino. Ho tentato di lavorare e siccome sono una persona onesta, non ho voglia di farmi pagare mentre lavoro a mezzo ritmo e non capisco una bega di quel che faccio. Quindi ho detto alla "capa", che di capi veri non ne ho, che me ne andavo. Lei fa parte della cat.2, mi sa. Che epidermico fastidio. Se dormo mi passa, forse, però chemminchia. Quindi lavoro perso, pranzo con amica annullato, la lezione di oggi pomeriggio però la faccio, giurin giurella. E se dormo vado anche a yoga invece di tornare a casa sperando in una pennica prima della cenadifamigghiasburgica che oggi eviterei volentieri. Che sono ardue pure quando sono sveglia.

Vi lascio con una diapositiva della sottoscritta con l'aspetto odierno. 
Ugh.
Buonanotte. 

Hai perso di nuovo tutti i blog che seguo. Ma che diavolo di reading list è se me la scancelli un giorno sì e l'altro pure, eh? EH?


Fine di questo post ad alto livello intellettuale. Della mia intellettualissima visita guidata con uno storico al museo ebraico di Währing scriverò un altro giorno. Pennica.

Made in Iceland è un video di Klara Harden, giovane donna di cui non so nulla, a parte che è autoctona di dove abito io. Cioè austriaca. E che è tosta. Con M abbiamo visto questo video qualche giorno fa e mi è piaciuto un sacco. 
Mi sono piaciuti moltissimo i paesaggi islandesi, naturalmente, il montaggio, le musiche. Ma soprattutto, mi è piaciuta lei. Mi piace un sacco la Klara, che con la sua giacca rossa, lo zaino e ventisette telecamere, prende e va in giro a piedi per l'Islanda completamente da sola per 25 giorni. Brava, perbacco. Io non reggerei per più di un giorno, credo. Uno, per la fatica fisica. Due, se passassi tutto quel tempo da sola darei fuori di matto, garantito. Però lei si è fatta questa mega passeggiata, e ne ha fatto un video bellerrimo. Brava donnola intraprendente. Guardatevelo, non ve ne pentirete. 

Oggi il mio ipino ha messo questa, e mi sono ricordata di quella volta che in porta Genova ho incontrato Bunna degli Africa Unite, nasone e cannadotato. Bei momenti d'adolescenza.
La maggior parte degli italiani che mi vengono in mente in questo momento, quando gli nomini il concetto di "francesi", storcono il naso e iniziano a snocciolare commenti su quanto essi siano fastidiosi, spocchiosi, antipatici, arroganti, sciovinisti, nazionalisti e poco gentili. Mezza Europa, che dire, le parti del globo dove sanno dov'è la Francia e dove hanno avuto a che fare coi francesi, a dire il vero, pare sia d'accordo. Ah, e la loro cucina è sopravvalutata - punto su cui, sinceramente, mi trovo piuttosto d'accordo, ma de gustibus

Però, anche no. Non per la cucina: per il resto. Sarà perché i periodi passati all'estero li ho passati sempre in posti di cui sapevo relativamente poco, il mondo turco prima, e ora quello germanofono, dove c'entro come i cavoli a merenda. (Parentesi: io nasco come italica quasi da subito anglofona, con una sbandata francofila a partire dai quindici anni circa. Germanofila, forse per cinque minuti undici anni fa, poi la fonetica ha vinto e mi è passata.) 

Insomma, il concetto è: quando ci hai intorno cose e culture dove davvero non c'entri una cippa, finisce che cominci a notare le cose che ai francesi, agli spagnoli, e in genere agli altri latini, ti accomunano, invece che quelle che ti separano. Il vino contro la birra, l'olio contro il burro, la favella debordante e a volume piuttosto elevato, queste robe qua. Ti rendi conto che in realtà il mondo delle lingue romanze è tutto una grande cousinade, e dopo decenni di disinteresse completo, sfinita dal tentativo di imparare il tedesco comediocomanda, decidi di imparare lo spagnolo almeno un pochino, e ti esalti perché dopo pochi mesi già te leggi un romanzino di Eduardo Mendoza, se ti impegni. 

Per quanto riguarda i francesi, forse io la vedo così perché le conoscenze francesi che ho sono tutte di francesi all'estero, molti di loro sono del sud, e sono anche francesi piuttosto atipici perché non si rinchiudono nel loro mondo di consolati e istituti di cultura, ma si mischiano con noi terroni di più giù, divertendosi un mondo. I francesi che conosco io, di solito, ti raccontano della fauna da liceo francese con l'aria poco convinta, e spesso te lo raccontano pure in italiano. Boh. A me l'idea della cuginitudine tra latini diverte molto. Parlo dei francesi, qui, semplicemente perché di spagnoli ne conosco pochini, anche se quelli che ho incontrato mi ricordano gli italiani molto più di quelli d'oltralpe. Mi fan pensare a degli italiani all'ennesima potenza, quanto a decibel, per esempio. 

Vabbè. Smetto di dire cacate e vado a stendermi che non dormo decentemente da giorni. Vi lascio con una diapositiva della cuginitudine, suggellata da due esponenti delle due nazioni prevalentemente citate qui, esponenti che si distinguono per affabilità e simpatia. Carlà, Nicolà e Giulià, grazie di aver suggellato la cuginitudine e aver fatto incazzare Marine Le Pen dando un nome italiano alla figlia del presidente francese. Per questo, mi state un filino meno sulle palle di prima. 
Questo è quel che succede, quando in meno di una settimana vengono a trovarti a casa prima un francese e poi un'italiana. Si cucina. Si beve. Si dà sfogo alla logorrea e alla sociosoap di analisi sociale di noi ggiovani all'estero, si dice aah ma gli italiani che fastidio con ste menate del saper vivere quando vengono qui e aaaah i francesi che noia con questa loro spocchia della grandeur e che stan sempre tra francesi e anche aaaah però quanto siamo cugini noi delle alpi su ad ovest, molto più di questi su di qua; e aaaah però poi tra Milano e Puglia sono due mondi diversi per tante cose e però per tante siamo tanto simili. E ammore ammore ammore, insomma. E vinello. 

Poi il giorno dopo si va in giro pallidi con la collega che ti rimpinza di mandarini perché hai l'aria di doverti riprendere, e gli studenti che ti chiedono se vuoi far la lezione di mezz'ora più breve... 

Eh, vabbè. Però mentre magni e ciacoli, è geniale. Mi servono più bevitori di rosso tra i miei amici. Hanno rotto la birra e il bianchino che mi dà il mal di pancia. 
Ciao, Papi? (e Forza Panino, anche.)
Hai visto mai che Silvio va a casa? E hai visto mai che stavolta ci resta pure? Ragazzi, per me trattasi di cambiamento epocale. Mi cambia il paradigma di riferimento alla politica. Quest'uomo - astuto come una volpe, pericolosamente intelligente e per niente cojone come la gente ama ritrarlo, secondo me - è entrato in Parlamento la prima volta che c'avevo dodici anni. Dodici. Tipo che ancora mi stavano crescendo le tette e andavo alle medie e facevo i primi tentativi di avere un mio proprio stile assillando la mia povera genitrice perché mi comprasse le gazzelle adidàs, quando da brava dodicenne babbdiminghia ho dato il mio primo bacio giocando al gioco della bottiglia, come tradizione da Elio e le Storie Tese detta.

Vabbè. 
Insomma, se questo se ne va a casa e ci resta, sarà la prima volta che rifletterò di politica italiota senza lui tra le balle praticamente da sempre, almeno da quando presto attenzione a cosa succede in Parlamento. 
La mia vita politica, anche solo passivamente ascoltando il notiziario annoiatissima mentre in casa mia si discuteva a dir poco animatamente, è sempre stata dominata da Silvio, eh. E prima ancora, quando ero proprio una mocciosa col moccolo al naso alle elementari, la scena era dominata da quell'altro, da Giulio. Mi sono resa conto adesso che Silvio è stato al potere più di Giulio, tra l'altro. Sarà perché stando via da un cicinin non ci avevo pensato. Comunque, dai, Silvio, vai a fare il pensionato che da privato cittadino, per quanto mi riguarda, puoi essere uno zozzo bavoso quanto ti pare. Se poi dopo non parli di patriaefamiglia, chi sono io per impedirtelo? Vai. Pensionati, perdìo, Papi, suvvia! Che posso pure votare da qua senza prendere aerei, stavolta, che ci ho le carte AIRE in regola! 
E lo so che non esiste, 'sta parola. Ma descrive bene come mi sento oggi. Dopo essere stata svegliata da fattori esterni altri alle 5.20 venerdì, dai vicini techno-hop sabato mattina e aver dormito decisamente troppo poco ieri, stamattina è scattato uno dei miei momenti di insonnia mattutina. Mi sveglio alle 5 e non dormo più. Il problema è che prima di mezzanotte e mezzo io non dormo. Quindi ormai sono sveglia e dinamica come nella diapositiva che vedete qui di fianco. Moro. Ed è solo lunedì. Bramo già venerdì pomeriggio. Che dopo l'ultima lezione, verrò a casa, e andrò a dormire ad un'ora decadente tipo le 16.30. E mi sveglierò decadente alle 19 per godermi il resto della serata. Aridateme l'insonnia di prima, quella dove non mi addormentavo! Questa versione 2.0 fa proprio schifo. 
A Vienna c'è una roba chiamata Offener Bücherschrank, che significa scaffale aperto. Ce ne sono tre, per esser precisi. Una sta nel bobostan* nei pressi dei quale abito io, cioè nel settimo distretto, in Westbahnstrasse, all'angolo con Zieglergasse. Dei tre scaffali, è il più fornito e quello coi libri di qualità migliore, nonché in più lingue. Perché appunto, intorno a questa libreria libera, come la chiamo io, abita tutta gentaglia come me, pieno di stranieri che il tedesco lo capiscono con enorme sforzo intellettuale, e giustamente nel tempo libero leggono in altre lingue. Quindi troverete spessissimo libri in inglese e francese, meno spesso in spagnolo, ma anche in italiano, che qua lo studiano in tanti. Gli abitanti del settimo, detto anche Neubau, sono anche di tendenza piuttosto barbona e si trasferiscono in continuazione. Ergo, la nostra libreria libera è sempre in movimento - anche se meno, negli ultimi mesi. Ci sono molte anticaglie, purtroppo. Lettori che volete fare una gita a Vienna, venite qua e datevi al bookcrossing, che non è più trèndi ora che non è nuovo ma è idea phiga ugualmente. 
Le altre due librerie le trovate nel quartiere turco, al centro del Brunnenmarkt, e in una piazza nel nono, non lontano dalla stazione Währingerstrasse, per chi vuole farci un giro. Ma non sono mica phighe come la mia. 
La cosa bella è che nessuno ha mai vandalizzato o tentato di rovinare queste librerie libere, sono proprio carini qui, certe volte. Come quando la mia amica V ha dimenticato trecento euro in un libro della biblioteca - sìsì, lo so, che gente frequenti, Natalia, gente stordita come me, dico io. Beh insomma, accortasi del fattaccio, una settimana dopo si è recata in biblioteca senza alcuna speranza, e i bibliotecari avevano una bustina coi suoi soldi nel cassetto della direttrice, e le hanno anche detto, era ora, Frau V., pensavamo si fosse dimenticata. Glieli han tenuti, i soldini. Lei, che è francese, mi ha detto, in Francia, li avrebbero usati per uscire a cena. In Italia, le ho detto io, pure secondo me, sai. 
Comunque.
Parlando di libri, sono in fase di blocco da lettrice. Il mio giallo islandese si impegna a chiamarmi, ma proprio non gliela faccio, non ho voglia di leggere. Leggo blog altrui e gioco sempre a Glitch. Sarà che nelle ultime settimane ho già letto tanto, e anche che negli ultimi due uichènd ho avuto ospiti italici e franco-ungheresi da oltre confine, e se sono sempre in giro non leggo. Uffa. Sta settimana leggerò di più il mio amico Arnalduro Indriðasono
Vai a lavorare, Natalia. Vai a lavorare, a tradurre il tuo avvincente manuale sul progiect manadgment, invece che sistemarti i blog che leggi dentro google reader e stare in panciolle. 

Ora lo faccio, mangiando al computer mentre aspetto la mia studentessa che arriva alle ore 14. Lo giuro. Poi quando lei se ne andrà, andrò in biblioteca e lavorerò lì, stimolata dall'esser circondata da gente che studia e impara roba e fa cose produttive. Ieri di fianco a me c'era un tizio barbuto che leggeva An Introduction to German Philosophy e aveva appunti interessantissimi in tedesco e in inglese, quindi leggibili, ahimè. Quindi, oggi devo tentare di sedermi di fianco a uno dei tanti nutriti gruppetti di arabi o turchi che studiano lì. Così non butto l'occhio.

Questi giorni a casa noncelapossofare! Mi cala l'abbiocco, è troppo buio! C'hossonno :( 

Però prima scrivo una mail a M., che non l'ho ancora sentito, oggi. 
Carina la nuova veste grafica. Però mi hai appena cancellato tutti i blog che avevo nella reading list.

FUUUUUUUUUUUUU.

E ho pure lavorato 9,5h. E ora non posso leggere senza dover cliccare di qua e di là e pensare! Quindi non leggo. Vado a guardar roba. Hmph.

Vienna, 11 settembre. 29C. Se ci fossero un'estate o una primavera perenni, sulla città, io sarei più felice. Giuro che mi abituerò presto al cambio d'ora e al buio alle cinque, sìsì.  (foto © Elisa Barrotta)
Stasera, uno dei piatti preferiti. Ormai siamo arrivati, siamo arrivati all'orrido momento dell'anno dove alle ore 17 è buio pesto. Almeno non fa freddo. Dunque, tanto vale consolarsi con le cibarie. 

Questa ricetta, la zuppa di lenticchie rosse - detta anche kirmizi mercimek çorbasi - è stata una delle mie illuminazioni alimentari istanbuliote. L'epifania, in questo caso, includeva i seguenti concetti:

a) il cibo in stato liquido ti riempie un sacco.
b) il cibo in stato liquido non si mangia solo se si è malati.
c) il cibo in stato liquido può essere una roba libidinosamente buona.
d) le lenticchie sono diventate uno dei miei cibi preferiti, in tutti i loro colori e declinazioni e tipi. 

In Turchia, soprattutto all'inizio, quando Istanbul era buia e gelida, nevicava e conoscevo giusto due o tre persone, coinquilino e collega simpatica inclusa, le zuppe sono state un conforto emotivo. Lo sono tuttora. 
Nello specifico, oggi ho da consolarmi perché a causa della visita del presidente cinese Hu Jintao, non mi hanno fatto entrare alla Hofburg a vedere la mostra Kultur der Kulturrevolution. E' meraviglioso, in un certo senso, che non abbia visto la mostra sulla Rivoluzione Culturale perché c'era il presidente cinese. Però ho perso un sacco di tempo, perché ci sono andata a piedi, madonna. 

Grazie, Hu.