Rieccomi.

Allora, come sapranno tutti quelli che hanno traslocato almeno una volta nella vita, anche senza cambiare città, il primo giorno in cui ci si sveglia nella casa nuova è sempre speciale. Ne avevo già parlato qualche tempo fa, dei miei primi giorni in altre case.

Il primo giorno da sola, qui, è stato il primo che mi è sembrato reale: il primo weekend a Bangkok, infatti, è stato un weekend lungo. Sono stata in giro con M. tutto il weekend e mi sembrava di essere ancora in vacanza. 

Lunedì scorso, quindi, è stato il mio vero primo giorno. Mi sono svegliata, ancora con un pochino di jet-lag, e sono stata presa da un momento di vertigine a pensare a quanto sono lontana dalla mia famiglia. Meno di quando ero in Cile, che è stata la volta in cui mi sono davvero sentita alla fine del mondo... Ma la differenza è che stavolta, non sono di passaggio. Insomma, mi sono svegliata, e dopo la vertigine mi sono detta: ho una casa. Che è una cosa che non mi capitava da tanto. 

Ed ecco a voi, Melrose Place. 

Mi sono goduta il lettone, ed ho iniziato a cercare di percepire come fosse diversa, questa casa, da quelle che l'hanno preceduta. 
La prima cosa è che questa casa è aperta al mondo. Cioè: fa caldo, quindi non sei blindato in casa coi doppi vetri come lo ero a Vienna. Tra me e il mondo esterno, solo zanzariere. La seconda cosa che ho notato, è che a causa dell'apertura, ci sono molti più rumori esterni che a Vienna, cosa che a me non disturba, perché abitiamo in un vicoletto tranquillo. Nel vicolo, ogni giorno c'è un vecchietto che fa un'ottima noodle soup da mangiare appollaiati sullo sgabello, e uscendo sulla strada principale, è un'esplosione di cibo di strada: frutta già tagliata, succhi, caffè e tè freddo, spiedini di ogni tipo e genere, riso saltato in vari modi, e non solo. Ci sono anche calzolai, sarti con le macchine da cucire all'aperto, vecchiette che vendono biglietti della lotteria, e un paio di signore che fabbricano quelle profumatissime ghirlande di gelsomino da mettere sulle case degli spiriti. (Dopo vi spiego.)

Il nostro soi (vicolo)

I rumori che sento sono uccelli di vario genere, le signore delle pulizie affaccendate in cortile, nel pomeriggio, spesso due bimbini che giocano (uno giapponese e uno euro-thai, con gli occhi a mandorla, E i riccioli rossi, bellissimo), il frusciare della palma fuori dalla camera da letto, i gechi che fanno suoni da gechi -- pensate al suono di una ventosa che si stacca tante volte in sequenza. A volte, i gechi entrano in casa, ma a me piace averli sul muro... Mangiano le zanzare, e si dice che portino fortuna. Mi sono sempre piaciuti, i gechi. A volte, nel cortile, c'è anche altra fauna locale:

Berta la lumaca

Anche la vecchia casa di Vienna dava sul cortile, ma ho sempre detto che era un cortile che non mi piaceva. Non c'era mai nessuno, nessuno lo usava. Era il retro di quattro o cinque case che si incontravano, con dei muri nel mezzo. L'unica vita che c'era era la ricca coppia col terrazzo, che aveva orari di lavoro matti (mi ero convinta che lavorassero a teatro, spesso sembrava leggessero copioni) e le bandierine nepalesi sospese sopra la testa. A parte loro, era solo una rimessa. Questo cortile, invece, è pieno di vita. Sento le persone parlare in thai quasi tutto il giorno, poi a volte sento parlare inglese, francese, spagnolo, giapponese, e allora lì so che sono i vicini che vanno e vengono. Ho anche un balcone, che è un'altra cosa che dell'Italia mi mancava... Diciamo che essere qui, ora, è un po' come a Milano a luglio. Tutto aperto, si sentono tutti i rumori del mondo, il che per una come me va bene, perché mi sento meno isolata, blindata e sola, finché non ho lavoro. La mattina, il cortile è come un alveare. Nel pomeriggio, molte delle signore finiscono di lavorare, e tutto si calma. Allora, se sono a casa, esco sul balcone a godermi il silenzio, gli uccellini, la vista degli oleandri rosa sul balcone della famiglia giapponese.

E' stata una botta di culo, che a novembre ci abbia ospitato l'amico austriaco di M che vive qui... All'epoca avevo pensato che se dovessimo davvero trasferirci in questa città, avrei voluto vivere qui. Ha carattere, è un po' vintage, ma a me piace molto più di tutte le gigantesche torri di acciaio e vetro che vanno di moda qui. E poi, il nostro appartamento è gigantesco: sono almeno 90mq, mai vissuto in così tanto spazio da che ho lasciato la casa di famiglia. 

Vi lascio con la mia cosa preferita di tutto il complesso: la casa degli spiriti. Leggetene di più qui, se non sapete di che parlo (in inglese.) Chi di voi è stato in vacanza in Thailandia, specie fuori da Bangkok, le avrà viste dappertutto. Ogni volta che rientro quando è buio, ci sono le lucine accese. La casa degli spiriti è lì per evitare che questi diano fastidio o scomodino chi abita nella casa... A me piace tantissimo pensare che, se lo spirito del mio babbo è ancora da qualche parte, come credono qui, allora che venga a farsi un giro a casa mia, che mi venga a trovare. Almeno, lui, non deve prendere l'aereo... Guardare questa casina mi fa sempre pensare a lui, quando torno a casa, ma in maniera serena. Mi fa sorridere. 

La nostra san phra phum

Ora vi lascio, che devo cucinare: abbiamo la prima cena, stasera, e iniziamo in grande: in arrivo dodici persone, tra cui un genio della cucina thailandese. Mi sento un poco sotto pressione.

PS: lunedì mattina ho il primo colloquio di lavoro... Incrociate l'incrociabile per me, vi prego!
Quest'immagine, per chiunque sia stato qui, con quell'animale lì, quell'alfabeto lì e tutto il resto, fa due cose: 

A) chiarifica che decisamente non sono né in Brasile, né in Cile, né in Uruguay né in Venezuela
B) praticamente vi dice tutto. 

Trattasi dell'emblema della città. Ho vissuto nella città del biscione, in quella dei tulipani e in quella di san Leopoldo. Ora sono a casa dell'elefante imbufalito, che solleva il polverone, truccato e con un re sulla testa.

Mi sa che una di voi ci aveva azzeccato...

Eccomi, rieccomi. Lo so che non mi faccio viva decentemente da tempo immemore, ed è perché sono successe un paio di cosine dopo il viaggio. Semi-programmate, eh, ciononostante abbastanza sconvolgenti.
Voi siete rimasti al treno che mi portava a Vienna, no? Vi aggiorno.


Budapest è stata fantastica, come lo è sempre con quel matto di P. Siamo andati alle terme ottomane; abbiamo cenato da Koleves (famoso ristorantino da bobo nel cuore della parte cool di Budapest) e constatato che è peggiorato; abbiamo mangiato i salumi italiani con il suo uomo che mi ha informato sugli sviluppi (pessimi) dell'Ungheria mentre me n'ero andata. Abbiamo passeggiato, abbiamo parlato e fatto e disfatto il mondo e parlato di come è difficile crescere, soprattutto quando cresci insieme a qualcun altro. Ho passeggiato, fatto foto, mi sono gustata l'atmosfera dell'Europa mitt-orientale in cui ho vissuto, e che ora mi sembra quasi esotica. Ho bevuto molti caffè e camminato pensando a quello che mi aspettava, mentre P. lavorava. Sono andata a vedere Mephisto di Klaus Mann a teatro, in ungherese, e ho capito appieno che se gli attori sono bravi, l'Arte è una cosa potentissima anche se non capisci razionalmente quel che ti viene detto (davvero, è stato magnifico, come non avrei mai pensato.)
P. ha preso abbastanza con filosofia la notizia che, dopotutto, non sarei tornata a vivere a tre ore di treno da lui, ma a varie ore d'aereo, invece. Dobbiamo riabituarci a stare lontani, come quando lui era ancora a Istanbul. Mi manca, sapere che quando ho bisogno di staccare posso scappare da lui.


A Vienna, ci sono rimasta per poco più di dieci giorni. E' stato strano, e bello, tornarci. Non me lo aspettavo, ma mi sono sentita a casa, come a Milano, ma in maniera diversa.

A Milano, il sentirsi a casa è piì viscerale, dovuto al fatto che chi è rimasto, lì, per me, è gente che mi conosce da molti anni e che mi ha visto in varie versioni, attraversare altri momenti di transizione e cambiamento, ma anche cazzona ventenne e incosciente. Milano è la casa della panza.
Alla fine, come dice sempre una cara amica, una città è fatta delle persone che incontri, e io, in effetti, a Vienna, di gente buona e che mi è cara ne ho incontrata un po'. Non una folla sterminata... Ma quelli che ci sono contano, molto, e quando sono arrivata lì, dopo quasi un anno e mezzo che non mi vedevano, è stato come tornare a casa.
Che è una bella sensazione.
Che mi fa capire in maniera definitiva, chiara, e sicura, che se vivi come me non puoi limitare la tua idea di casa ad un solo luogo fisico, perché ti farà male farlo.

Casa vuol dire molte cose.


Anche Istanbul lo è, lo è stata di nuovo, sulla via di dove sono ora. Ci ho passato poche ore, con le mie prime due amiche istanbuliote, ed è stato come se non fossi mai partita, come se vivessi ancora a Beyoğlu e fossimo uscite insieme dopo il lavoro, a parlare di uomini, delle nostre cose e vite e libri e musica in una meyhane (osteria), chiacchiere di femmine annaffiate di vino e affiancate dalle meze, i loro splendidi antipastini ottomani, con la musica e la gente che parla forte e il cameriere gentile che porta montagne di pane e ci dice, datemi la macchinetta che vi faccio una foto, che siete tanto contente insieme.


A Vienna, mi sono sentita a casa perché capivo la lingua, perché sapevo dove trovare le cose che mi servivano e sapevo come farle, perché in fin dei conti, è a Vienna che ho avuto la mia vita quotidiana per tre anni, con tutto il bene e il male che ne vengono, la noia, lo stress, la stanchezza, ma anche quei caffè con le amiche che ti danno una botta di vita e che spazzano via tutta la negatività, perché sei con quella che è tanto diversa da te eppure è come la tua sorellina, perché sei con quell'amica che ha bambini e problemi così diversi dai tuoi, eppure ti ascolta e ti capisce e ti dice: è normale. Starai bene. O l'amica che ha i lucciconi ogni volta che pensa che vai via, ma cerca di non mostrartelo perché sa già che sei in sbattimento di tuo e non vuole aggiungere peso alla cosa, anche se sei stata la sua prima amica in città e le mancherai, e ti accoglie nella sua casetta per ridarti la moka di cui si è presa cura mentre eri via.
Ho visto com'è cambiata, Vienna (sta divenendo sempre più cara, purtroppo) e dove è rimasta uguale (è una città che funziona, non ci sono santi. Se vi piacciono le cose che funzionano, ma senza il rigore eccessivo che hanno più a nord, Vienna fa per voi. Datevi tempo, e anche voi noterete la cialtroneria sana di cui sto parlando.)

Quello che è stato meno bello a Vienna, è stato che molte persone le ho viste per dirgli ciao e arrivederci, allo stesso tempo. A molti non avevo neanche detto che non sarei rimasta... Perché anche io l'ho deciso veramente all'ultimo. Gli ultimi mesi sono stati abbastanza duri a livello emotivo, devo dire, mi sto riprendendo adesso che ho problemi concreti da risolvere, tipo trovare lavoro.
A Vienna ho passato dei (freddissimi) giorni con facce amiche e portando pesi di qua e di là, buttando cose che avevo conservato per quando sarei tornata, regalandone altre, lasciandone altre a casa delle facce amiche di cui sopra, che per fortuna sono anche Spazi Amici dove lasciare gli scatoli. E se vado avanti di questo passo, avrò scatole e scatoloni in ogni continente.


Poi, tornata a Milano (la foto qui non è mia! Devo rintracciare i credits perché è bellerrima) ho passato gli ultimi giorni seminascosta perché volevo stare con la mamma, vedendo solo quelli che si erano ricordati che sarei ripassata a febbraio, per distrarmi (grazie, M.) e per prepararmi psicologicamente all'ennesimo salto nel buio (grazie, I. ed F., vi pago appena trovo lavoro.) E' stato bello restare così a lungo, ho avuto il tempo di rivedere quasi tutte le persone a cui tenevo... Quasi. Tranne quelle che a Milano non ci vivono, né ci vengono spesso, purtroppo.

Lo ammetto... Non è che ne avessi molta voglia, di fare qualcosa di difficile, ora soprattutto a livello di lavoro, dopo 15 mesi a spasso con lo zainetto e meno soldi in tasca di un anno e mezzo fa. Quando ormai mi ero decisa, e a Vienna mi sono resa conto di quanto rapidamente avrei ricominciato a lavorare, ho pregato fortemente di non stare facendo una grande minchiata, perché a volte, quella di trasferirmi in un luogo dove non ho contatti professionali, quando ne avrei uno dove mi lanciano il lavoro addosso perché sanno che sono brava e voglio lavorare, ecco, diciamo che non sembra proprio una decisione responsabile.

Però, nessuno vive isolato, e se si sta con qualcuno, si deve cercare di lavorare in una direzione che renda felici entrambi. Non tornare a Vienna è stata la mia parte in questo lavoro, ecco. Il secondo motivo per cui ho acconsentito a non tornare a Vienna è che mi piace, ma non abbastanza da dire, in una discussione accesa, io voglio assolutissimamente tornare là, tipo voglio fortissimamente voglio. Lo volevo... Ma non abbastanza fortemente. Dato che non mi sento così, vale la pena allora tentare di fare altro, finché siamo giovani, scemi e irresponsabili, e soprattutto finché io avrò l'energia di farmi uno sbattimento del genere ogni pochi anni. 

Il terzo motivo, per cui non sono tornata a Vienna, è che mi sono resa conto che ci sarei tornata anche per paura, almeno in parte (l'altra parte era che volevo tanto riavere le mie amiche con me.) E ogni volta che ho vinto la paura (prima di Istanbul e prima del Nepal, ad esempio) mi sono successe grandi cose. Quindi, respiro profondo, calma e gesso, e andiamo. Armiamoci, e partiamo.


Ora, vi chiederete, voi tre gatti pazienti che siete rimasti a leggere questo blog che sto trascurando, perché sono troppo in sbattimento per scrivere la maggior parte del tempo: ma dov'è andata mai, a vivere, questa sciroccata?

E' molto più divertente se lo indovinate voi. (Lettori che già sanno, si astengano dal rispondere e rovinare il divertimento agli altri, eh!) Vi do qualche indizio.

1) E' lontano. Molto. Tipo che quando ci penso a quanto sono lontana dall'Europa e dalla famigghia e da P. a Budapest, mi viene un secondo di vertigine.

2) E' una città grande. Molto. Più di Vienna, meno di Istanbul.

3) E' una città che provoca pareri contrastanti.

4) Nella mia mente, è il paese dove ti accolgono i poliziotti in divisa stretch, che a me ha sempre fatto molto ridere, dato che appena appena hai un po' di panza, il tuo ruolo intimidatorio va un po' a farsi benedire.

5) E' una grossa destinazione turistica.

6) E' (insieme al resto del paese) famosa per il suo cibo: buono, sano, piccante.

7) E' in una zona del mondo che amo molto e che è il motivo per cui ho pensato di potercela fare anche se la famigghia sta a 12h d'aereo (calma...)

8) Posso andare in splendidi posti sia di mare che di montagna senza uscire dal paese.

9) E' sui giornali in questi giorni (tranquilli che io sto lontana dalla zona d'azione perché ho un bellissimo appartamento con balcone e tutto.)

10) Il tempo è molto, molto migliore che a Vienna. O che a Milano. O che a Istanbul.

11) Ci sono i gelsomini, gli oleandri e le bouganville, nel giardino del nostro condominio (che per chi è cresciuto negli anni 90 come me, ricorda tantissimo il trashissimo condominio di Melrose Place.) Fuori dalla finestra di camera mia, c'è una palma. Cioè: fa proprio un cazzo di caldo, ragazzi. Io sono felice come una pasqua, dal punto di vista termico. Finita l'epoca della tenuta da granatiera viennese!

Indovinate?  

Nei prossimi giorni un altro indizio, visuale, magari. 
Per coloro che se lo stessero chiedendo... Sono viva e vegeta, solo piena di cose barbose da fare, tipo trovare lavoro e ricostruirmi un network professionale (cosa che diventerà molto meno barbosa quando avrò effettivamente una rete di contatti.)

Non sono a Vienna. Non sono neanche a Milano. Non sono neanche a Budapest. 
Sono, come mi succede spesso quando sono stanziale e tutti intorno a me hanno da fare in orario d'ufficio, in un caffè con il wifi. Il rumore della macchinetta che macina i chicchi mi calma sempre, come anche il rumore di cucchiaini, piattini e tazzine. Sarà la memoria di quando lavoravo al caffè, quando ero sbarbata. 
In quale città sono e come ci sono arrivata, ve lo racconto meglio nell'altro post che ho appena scritto, ma che ancora non pubblicherò perché è senza foto, e se no poi tutti mi dite Natalia metti più foto! Solo che sto usando il computer dell'Asburgico, che io non ce l'ho, le mie foto sono tutte sulla tableta, e siccome non ho internet a casa, sono uscita senza tableta e ho il testo, ma non le foto. Siam messi bene. Lunedì dovrebbe arrivare l'omino di internet a casa. 

Sto abbastanza bene, più o meno meditabonda a seconda del giorno e del momento del giorno, ma come dice il saggio Terry Pratchett, "Time is like a drug, too much of it will kill you"; io aggiungo il corollario: se poi sei da sola e hai il mio carattere, auguri! Mica insegno solo per la missione pedagogica, io. Insegno anche perché sono nata nell'anno del Cane, e si vede, non so se mi spiego. Per quello non posso fare la traduttrice pura: prenderei a capate il muro.

Mantengo quindi la calma e il sangue freddo nella Ricostruzione, anche se talvolta faccio fatica e mi dico che se facessi una vita normale (esempi di cose normali: vivere sempre nella stessa città; sposarsi; avere un mutuo; un cane o un gatto, o magari un coniglio; fare bambini; assicurarsi che gli asciugamani siano coordinati cromaticamente; avere un lavoro da impiegata con le malattie pagate e le ferie pagate e dove basta trovare un lavoro per vivere e non ti servono dodici clienti e sei destinata a fare la fame periodicamente; non avere scatole di oggetti personali in tre paesi diversi presto quattro) la mia vita sarebbe tanto più semplice.

Mi consolo dicendomi che se così fosse, sarebbe anche più noiosa. Poi, che io sia una che si annoi molto difficilmente, nella vita, quello è un altro discorso :) 

Se non fosse che ormai è inflazionato, concluderei con il posterino rosso di Keep Calm and Carry On. Ma siccome inflazionato è, non lo farò. Andrò invece a rileggere i consigli a me stessa scritti prima del viaggio. In effetti, sono proprio una donna saggia. Di certo, presto qualcuno in questa città se ne renderà conto.