Talvolta, la cosa più difficile da fare è restare fermi. 
Io l'ho fatto.
Vivo ancora a Bangkok. E sto meglio. 

Sono rimasta qui, mi sono seduta a gambe incrociate e ho guardato in faccia i mostri. Uno per uno. I mostri di lui, e i mostri miei. I mostri che mi ricordavano dove ho sbagliato. I mostri dell'e se.
Ho pianto meno di quanto avrei creduto, perché ero così prosciugata da un lungo periodo di difficoltà che ero sfinita. A pezzi. Prosciugata. A parte un paio di pianti epici... Ho capito di non essere una donna lacrimosa. Soffro come una cagna. Ma lo faccio senza lacrime.

Per questo che non ho scritto per mesi. 
Ma sono viva. Sono solo occupata in una profonda opera speleologica interiore.

Chi ero, io? Cosa mi piaceva fare? Cosa facevo, quando avevo il tempo tutto per me? Come interagivo con gli altri? Che tipo di ragazza ero? 
Queste le domande a cui, a volte, dopo anni passati con una persona... Non sai più rispondere. E sono cazzi, quando te ne rendi conto. 

A volte, ami così tanto qualcun altro che ti dimentichi di te. Ami a livelli che ti scordi che da una tazza vuota non si può bere niente. Nutri l'altro. Lo nutri, lo nutri, ti impegni nella ricerca della sua felicità a livelli tali che ti dimentichi della tua. Ti dimentichi di cosa ti piace, cosa ti rende felice, perché la parte malata di te dice che se non può rendere felice tutti e due, questa cosa, allora è meglio rimuoverla. Dimenticarla, fino a che poi un giorno ti svegli e ti rendi conto che non sai neanche più chi sei. Ti rendi conto che non stai bene, che sei malata, che sei stata svuotata a livelli tali da non avere più desideri, da non voler più perseguire niente, perché ti senti bloccata, intrappolata in una scatola che non è stata costruita per la tua felicità, ma per quella di qualcun altro, qualcun altro che, senza farlo apposta magari, è ben contento di prendere. Sempre. Dando sempre meno. 

Insomma.
La mia prima scelta da donna libera è stata: che faccio? Scappo piangendo, o resto qui e tiro fuori la scorza d'acciaio che so di avere, che ho solo dimenticato? Quella che mi ha tenuto in piedi quando mio padre si è ammalato ed è morto. Quella che non mi ha lasciato infrangermi in mille pezzi quando ho saputo che il mio ex era morto, e come era morto.
Quando prima dei ventisei anni hai a che fare con la morte due volte, anche quando sei a terra, anche quando stai male, così male che neanche te la senti di piangere, perché sei così esausta che non hai la forza, sai che una rottura è precisamente solo quella. Sai che sei forte -- è solo che magari non ti va di esserlo, e sai anche che non avrai scelta se non farlo di nuovo.

E quindi, aspetti per un mese prima di dire a tua madre quello che è successo. Aspetti a farlo finché non smette di tremarti la voce.
Bevi, ma solo per il primo mese. Dopo, ascolti la voce dentro di te che dice: ma che cazzo fai? Vuoi diventare come gli espatriati istupiditi che critichi sempre? E smetti. E cominci ad andare a yoga due volte a settimana, tre. A sedute di meditazione. A workshop, laboratori di ogni genere, perché senti che il tuo cervello e il tuo cuore, anche se sono pieni di lividi e mazzate, di nuovo recuperano ossigeno, e vogliono imparare cose. Dipingi. Studi medicina cinese e qi gong. Degusti il tè, impari a fare tisane, fai tutte quelle cose per cui prima saresti stata etichettata, e per le quali comunque non prendevi il tempo. 

Passi il monsone come una convalescente, vedendo sempre le stesse persone della cui esistenza a Bangkok sarai per sempre grata. Fai yoga. Dormi poco. Mangi poco. Piangi poco. Hai un macigno nello stomaco, mille domande senza risposta, che tali rimarranno. Un'amica che è come una mamma in seconda ti dà strumenti che non hai mai usato prima per tentare di riprenderti e di imbrigliare i sentimenti che ti sconvolgono. 
Rabbia.
Dolore.
Gelosia.
Rancore.
Furia cieca.

Impari ad usare quegli strumenti, insieme al senso dell'umorismo che ti ha sempre salvata, e inizi a riarrampicarti. I tuoi vicini ti organizzano una festa di compleanno su un tetto, tu non ci vuoi andare, ma ti spingi a farlo. Vai. Sorridi, anche se sembra finto, e rifletti su come cazzo sei finita così a questa età. Ti dici meglio ora che tra due anni, anche se hai un coltello piantato nella pancia.

Il monsone finisce. Sole, fresco, si avvicina il Natale, stai per tornare in Italia e così fai. Piano piano smetti di sentirti come uno zombie che dissimula bene, scrivi una mail di mille paragrafi alla fonte del tuo dolore, e te ne vai. 
Non rispondi più alla sua risposta, perché hai speso abbastanza energie per rimanere con un pugno di mosche in mano.

Passi un capodanno bellissimo. Incredibilmente italiano. Ti senti a casa. Sei a casa per la prima volta dopo anni senza la strada sbarrata. Conosci un ragazzo, e poi un altro, ed un altro, che ti fanno sentire bella, e apprezzata, come dovresti essere più spesso, e te lo dicono nella tua lingua... Che ormai ha dell'esotico. 
Mai fu una fine d'anno benvenuta come quella. Anche se è solo una rottura, è comunque una rottura che ti stai smazzando da sola, a varie migliaia di chilometri da casa, in un posto che ti lascia perplessa, facendo un lavoro che non volevi, e che a sorpresa ti ha fatto da terapia, perché ai bambini non importa se tu stai male. Se ti vogliono bene, te lo dicono, te lo fanno sentire. I miei bambini, a scuola, mi hanno salvato. Ma hanno tre anni, e quindi non glielo posso raccontare. Metterli a letto ogni giorno e farmi abbracciare dalle loro manine appiccicose e salvarli dalle loro caccole mi ha tenuto ben salda al terreno... Mi hanno terapizzato, alcuni di loro, con il loro amore così puro e reale e senza filtro, e neanche lo sanno. 

Come mi hanno salvato, come sempre, le amicizie. Quelle storiche e quelle nuove. Quelle a Bangkok, e quelle virtuali. 

Il 2016 l'ho cominciato con un turbinio di visite che non accenna a finire, e che porta un sacco di energie positive, belle. Mi sento come se avessi tappato una falla di energia che non sapevo di avere. 
Continuo ad essere triste, per quello che mi è successo. Continuo a non capire. Continuo a sentirmi come se avessi perso il mio tempo e le mie energie per niente, di nuovo, come con quell'altro, tanti anni fa. 

Però... Non importa. E' la vita. Ora sono libera, e io ad essere libera sono bravissima. Mi ero solo dimenticata come si facesse. 
Piano piano, mi riprendo, reimparo come si fa. 
Yavaş yavaş.
Prima o poi mi potrò considerare ripresa. 

Intanto, sono qui in un guscio comodo fatto di sole, calma, di una vita che è quella che piace a me, di amici, e libri, e yoga, e calma, e bambini che mi abbracciano... Non è ora il tempo di impuntarmi perché Bangkok non l'ho scelta io. Per ora resto ancora un po' qui, perché l'ho resa mia, facendomi un mazzo (emotivo) così. Quindi dopo questo sbattimento, vorrei anche raccoglierne un poco i frutti.

Una delle mie massime degli ultimi mesi. 
Già il fatto di avere di nuovo voglia di scrivere... E' un altro segnale di ripresa intellettuale, oltre che emotiva. 
Tra poche settimane me ne vado in Giappone. In gita. Da sola. 
Perché ho la fortuna di essere nata in quello spicchio di mondo dove lo posso fare, e quindi, così renderò onore alla mia libertà.