Sono queste le parole che mi vengono in mente, quelle nel titolo.
È stato facile, tornare a casa. Ci hanno cambiato di volo e siamo finiti su un volo Qatar mezzo vuoto, con servizio eccellente, e io stravaccata mi sono guardata Harry ti Presento Sally e una commedia francese. Guardare Harry ti Presento Sally da adulta è stato geniale: Nora Ephron era una grande, davvero. Perché io a volte mi sento come la Sally anche se un uomo ce l'ho... Per altre ragioni, ecco!
Siamo arrivati a Malpensa. Per la prima volta in molti anni, ho aspettato meno di quaranta minuti perché arrivasse il bagaglio.

Ho parlato e sto parlando tanto, tanto italiano. I primi due giorni, facevo fatica, e la gente lo notava, e lo trovava buffo. Ora sta ingranando di nuovo.
Ieri è stata una settimana che sono qui, e oggi vedo per la prima volta il sole (grazie, signore, o chi per lei.)

Mia nonna è triste perché ha un braccio rotto; mia madre è stressata perché si deve prendere cura di lei e ha meno tempo di quel che credeva per stare con me; mio cugino si sta per laureare, e io mi chiedo cosa gli succederà una volta che starà cercando lavoro in questa gabbia di matti; l'altro cugino, il fratello maggiore, è diventato papà e ha un bambino gorgogliante e felice, dai grandi occhi nocciola, come suo padre e come suo zio. La moglie cerca lavoro, non lo trova, sono preoccupati.
Storie italiane, no? Storie di famiglie legate, legatissime, quasi troppo legate, a mio avviso, e di soldi che mancano, o lavoro che manca, e di arrabbiature in serie.

Che dire. Io vorrei davvero vedere e sentire cose diverse, quando vengo qui. Ma non cambia. Un anno e mezzo quasi, che non vengo qui, e la gente è ancora arrabbiata, frustrata, preoccupata, forse ancora più di un anno fa. 
Alcuni amici miei resistono risolutamente e cercano di non farsi acchiappare da questa carogna che è sulle spalle di tutti, no? Ma quando gli fai domande più specifiche, vedi che anche loro, i più solari, i più forti, i più agguerriti, iniziano ad essere stanchi. Gli si annebbiano un po' gli occhi, e ti dicono: raccontami del tuo viaggio, invece, dài. 
L'altro giorno ho visto N., l'amico "londinese" che da qualche mese londinese non è più: dopo un intermezzo berlinese, ora va a vivere nel deserto. Lui è di Verona, ci siamo visti al volo prima del suo ritorno in Veneto, e lui ed io, come sempre, ci troviamo a pensare e vedere ed avere esperienze molto, molto simili. Esperienze e sensazioni che ti fanno essere contento, tutto sommato, di essere qui solo di passaggio.

Io sono di passaggio, naturalmente. Io, qui, non ci resto. Ormai sono abituata ad essere la straniera, e non mi pesa, perché anche quando vengo qui, mi sembra di essere un'altra specie da chi ho intorno: e non lo dico per snobismo, assolutamente. È che più sto via, e più la mia vita è diversa da quella di chi vive qui, e quindi i rapporti che resistono, al di fuori della famiglia, sono quelli che ho con gli amici che dicevo prima: quelli che resistono, quelli che sorridono nonostante tutto o ci tentano, quelli solari, quelli  che tentano di non lasciarsi soffocare, e che hanno ancora l'energia di essere curiosi e di gioire con gli altri, per esperienze che non hanno avuto di prima persona.

Pensavo al post che ha scritto la Smila Blomma in UK sul concetto di casa (da mobile non posso mettere link, ma cercatelo, è un bel post). L'ho letto in Sri Lanka e mi chiedevo come mi sarei sentita io, dopo quasi un anno e mezzo via, no? Per alcune cose, è stato come tornare a casa. In particolare con la Mater e con il mio appartamento. Quello è davvero il mio nido, il posto dove sono stata per tantissimo tempo, dove ho avuto 4 anni, poi 15, poi 20... Ma non 25. Ormai è un po' che sono via. 
Tornare qui è come rivedere una versione precedente di me, è buffo, è straniante, non necessariamente triste. 
Mi piace andare in quello che era lo studio di mio padre. Ci sono ancora tutti i suoi libri, con le note, le sottolineature. Guardo i suoi libri, li annuso, non guardo le sue foto, ma chiudo gli occhi e cerco di ricordarmi la sua voce. A volte ci riesco, e quando ci riesco, è bello. Poi vado in camera mia e guardo i miei, di libri. Mi ricordo di come e quando li ho letti. Ogni libro è come una madeleine che mi riporta a una fase di me differente.
Quando esco, a volte incontro i miei vicini, il mio vicino turco che mi abbraccia sempre e mi dice ahnnò, ti stai dimenticando il turco! ogni volta che mi vede, e la signora del quinto piano, che ogni volta mi abbraccia come se fossi sua nipote.
Insomma... L'appartamento lo sento come casa mia, la città meno, perché è cambiata, perché non so quali sono i posti per uscire, non so niente, ormai, della città, ed è divertente per me, guardarla come la guarda una turista, non mi pesa. 

Credo che avrò la botta di casa tornando a Vienna, invece, perché è quello l'ultimo posto dove ho fatto la mia vita di persona normale, con le lezioni, lo yoga, il caffè con le amiche e la palestra quando non ero pigra. Nonostante tutte le madonne che tiravo, mi rendo conto che casa è quella, non questa. Come lo era Istanbul quando ero appena tornata, ed ero a Milano e mi sentivo fuori posto. 
Da quel punto di vista sto diventando brava: ci metto un po' ad adattarmi, ma una volta che mi adatto, casa mia diventa il posto dove faccio la mia vita quotidiana. Casa mia è quello, e poi la piccola bolla dell'appartamento di Milano, e mia madre. 

Casa possono essere benissimo le persone, più che i posti. Casa a Vienna sono le mie tre amiche Effe, l'italo-viennese, Vi, la franco-viennese, e A., l'unica austriaca che ha fatto breccia nel mio cuoricino (e non perché gli autoctoni sono il male, ma perché anche lei è "immigrata", da un'altra parte dell'Austria, e come noi è arrivata senza amici.)

Sto qui fino a metà gennaio, e poi vado a Budapest per qualche giorno, da P., l'amico francese di cousinade e vino rosso... Poi vi dico cosa succede, dopo Budapest. 
Una cosa per volta.
Suspense. :)
Non ho internet. (Tranne ora ora.)
E non importa, perché sono qui.




Capitemi, tra non so quanti giorni (4, 5?) sarò a Milano, nell'inverno europeo. Non è per farvi rosicare :) 
Vi fa sentire meglio, se vi dico che la mia macchina fotografica con tutte le foto dello Sri Lanka è sparita, rubata o perduta non è chiaro? :(
Almeno, cose che non sapevo io. Ma titolato cosí suonava meglio, ecco. Scusate se il post esce con caratteri strani, ma pubblicare da mobile a volte è una rottura. 

Non posso credere di essere qui già da due settimane! E non posso neanche credere che con quattro settimane di Sri Lanka a disposizione, non riesco a fare quello che altri fanno in due. Questo è perché: 
a) M ed io siamo lenti, molto lenti.
b) alcune cose, come il famoso Triangolo Culturale, non le facciamo perché l'ente turistico isolano ha introdotto prezzi da rapina. E io ai prezzi da rapina dico magari anche no, scusate. Ho visto già diecimila templi e rovine negli ultimi sei mesi, figurati se pago 50 dollari a botta, per tre volte, adesso. Dài. 
c) nelle montagne fa freddo, e piove, e io sto per andare in Europa. Quindi, mestamente salterò tutta quella parte di paese con le verdi colline e le piantagioni di tè, che tanto non le vedrei nella coltre di pioggia, e vado in spiaggia, invece. Mi spiace un po', ma casco male con il tempo.

Detto questo, passiamo alle cose che non sapevamo, o sapevate, dello Sri Lanka. Sapevate...

...Che l'isola è piena di scoiattoli, corvi e scimmie? Io mi aspettavo gli elefanti, ma quelli giustamente stanno sulle loro. Gli scoiattoli, qui, non me li aspettavo. Non sono per niente timidi, e sembrano altamente drogati, nel loro zampettare acrobatico, su e giù per le palme. A Kandy, nel centro dell'isola, ho condiviso la mia colazione con una scimmia fuori dalla finestra. Mangiavo banane e facevo un boccone io, un boccone lei. Due mattine di fila! Ve lo dovevo dire, ecco.

...Che gli uomini di qui sono famosi per essere boni (tanto per continuare il tema scemo di qualche settimana fa), tanto che pare ci sia una delle rare industrie del sesso dove i clienti sono le donne? Ho letto un articolo di una ONG sulla differenza tra prostituzione maschile e femminile: pare che qui in Sri Lanka, non ci sia nulla di organizzato. I giovani sono aitanti ragazzotti che gravitano intorno alle spiagge, autonomamente, si fanno una specie di fidanzata temporanea che li invita a cena, gli compra un telefono, si sente dire parole d'amore, e dopo due settimane torna in Europa. È relativamente comune che poi la donna in questione tenti di portare l'"amato" in Europa, e sposarselo pure. (Noi donne comunque, sempre salamotte a cercare le parole d'amore, eh?? Sta cosa l'avevo già sentita leggendo della situazione in Senegal, dove succede la stessa cosa coi "beach boys", come li chiamano qua.)
La ONG diceva anche che comparando la prostituzione qui e in Thailandia, dove i clienti sono uomini, in una vacanza di tre settimane, una donna ha un solo partner, massimo due; gli uomini in Thailandia, in media cinque partner, senza parole d'amore e con passaggi di banconote, generalmente. Al di là delle considerazioni morali sul tema, ho trovato il confronto... Interessante.

...Che tra i cognomi più comuni ci sono Perera, Fonseca e vari altri cognomi portoghesi? Io lo sapevo, che da qua erano passati i portoghesi. Ma mica mi aspettavo di vedere tutte queste insegne con nomi di proprietari di negozi portoghesi, che pare di essere a Lisbona. Anche se io non ci sono mai stata, a Lisbona.

...Che le noci di cocco, che nel sudest asiatico sono verdi e giganti, qui sono più piccole, e di un giallo brillante? 

...Che il batik è una forma d'arte incredibilmente popolare, che le persone portano abiti coloratissimi, fatti con la tecnica batik?

...Che oltre i sari, le donne qui portano vestitoni variopinti che a me fanno pensare alle donne africane, più che a quelle indiane o nepalesi? (Hanno l'aria comodissima, quei vestitoni. Ma mi riservo di comprarmene uno solo quando sarò un'energica vecchietta che passa la sua vecchiaia a spasso, con un ventaglio in mano, e i sandali coi calzini sotto il vestitone.)

...Che in Sri Lanka vendono tessuti strafighi, belli perché colorati, o batik, o fatti al telaio con belle fantasie, e belli anche perché differenti dai tessuti indiani?

...Che gli indù osservanti, qui, anche quando camminano scalzi sono incredibilmente eleganti e dignitosi? Si vestono interamente di nero, con una di quelle gonne-pareo che portano gli uomini qui, chiamati lungi in India e Birmania, e qui sarong, parei neri ma con il bordo ricamato di fili d'oro, e una riga colorata verticale, nel mezzo. Questa tenuta, e la fronte dipinta con tre righe bianche con un punto rosso nel mezzo della riga centrale: non ne so abbastanza per capire il significato di quel che vedo, ma è bello. Fanno il paio con i vecchi musulmani che vedo qui, e che ho visto anche nel sud del Nepal: di bianco vestiti, pelle scura, barba bianca, cappello bianco, pure loro che sembrano dei signori anche quando non hanno le scarpe. Non lo dico per dire scemate orientaliste o esotiche: hanno grande dignità, anche nella loro povertà.

...Che il cibo dello Sri Lanka è buonissimo, e che c'entra pochino con quello indiano? Certo, anche loro hanno i curry, e il riso. Però hanno anche un sacco di tipi di pane che non è naan; la parola roti qui ti porta una specie di saccottino di pane ripieno, triangolare o rettangolare; hanno il kottu che è pane fatto a pezzetti e saltato con le verdure, il peperoncino, e se ti va pollo o capretto; il tè al latte è buonissimo e ricorda quello birmano... Insomma, devo fare attenzione: se mangiassi quanto vorrei davvero, potrei tranquillamente rotolare fino a Milano. Altro che aereo, signore mie. (Che io ci ho quasi tutte lettrici donnole, o quasi.)

Oggi ho scoperto il lato urbano di Colombo, sono seduta in un posto fantastico chiamato Barefoot Cafè, con un bel cortile, una galleria d'arte e un sacco di manufatti di vario genere in vendita. Nel cortile ci sono le palme, con due o tre scoiattoli zompettanti anche in città, un albero di mango, la scultura di legno di un uomo-elefante, e una scultura di pietra con Shiva danzante. Bel posto.


Mi ero portata libri da leggere, e invece il posto mi ha fatto venire voglia di raccontarvi un po' di quello che vedo in queste settimane sull'isola. È un bel posto dove finire il Grande Viaggio, lo Sri Lanka: cominciato su un'isola (Curaçao), con un'altra isola poco dopo la metà (Taiwan) e una alla fine, dove sono ora. Fermo i pensieri qua, prima che strisci dentro la malinconia da fine viaggio!

Mi ricordo di un tizio spagnolo che incontrai a Vienna per vie traverse.
Questo era del sud della Spagna, il genere di posto dove quando fanno 18C dicono ossignorechefreddo e tirano fuori il cappotto. 
Quest'uomo veniva, o forse viene, non so, ogni anno a Vienna per imparare un po' di tedesco.
Diceva: mi piace che la sera non faccia abbastanza caldo da non avere un maglioncino sottile. Mi piace la pioggia, quando c'è. Mi piace il cielo grigio, uh, è tanto affascinante (e forse accendeva la sua vena poetica? Pensavo io, mentre tra me e me mi dicevo che a me stare senza maglioncino pure alle due di notte non fa affatto schifo, sinceramente.)

Il fatto è che quando vivi in un posto caldo, o anche solo relativamente caldo, e hai una certa disposizione d'animo, puoi essere oggettivamente affascinato, dal freddo, dal buio, dal bere il tè con una sciarpa di lana al collo, dal grigio acciaio del mare del Nord, da un paesaggio come questo:

(Foto: crazypaco) 

Io non percepisco il freddo da mesi, freddo serio, intendo, e quelle poche anteprime che ho avuto negli ultimi mesi (in collina in Vietnam, ad esempio) mi hanno fatto rimpiangere il caldo. Sarà che vengo comunque da vari anni viennesi. Sarà che anche a Milano vivevo aspettando aprile, che da ottobre in poi mi tramutavo in una pentola di fagioli lamentante, e burbugliosa, perché nella mia famiglia nessuno ha mai avuto i soldi o la voglia di andare a sciare, l'attività che pare renda sensato l'inverno in molto cervelli, sia a Milano che a Vienna.

L'ultima volta che ho davvero, davvero avuto freddo durante questo viaggio è stato nelle Ande peruviane, a Cuzco e dintorni, quindi... Marzo. Dopo, a parte alcune eccezioni, solo caldo più o meno potente, più o meno umido. Dal bel caldo secco e salutare in Messico, al caldo umido e soffocante di Cartagena o Taipei, al caldo umido ma non troppo della Malesia... In varie forme, ma sempre caldo.

Oggi leggevo il blog di Smila Blomma a Manchester, traumatizzata da un ritorno a Manchester dopo un mese in Kenya, e mi sono ricordata di quel tizio spagnolo.
Perché mentre lui decantava la poesia delle nuvole temporalesche su Vienna a fine agosto, la mia amica Effe ed io, dentro, rosicavamo un poco. Io pensavo che sarebbe stato figo vivere in un posto dove il grigio e le nuvole temporalesche diventano qualcosa di poetico, qualcosa che vedi raramente. Sono stata come lui, a un certo punto della mia vita, quando ero sbarbata e passavo interminabili estati al caldo a Milano... Ma non avevo il mare, lui sì! Non comprendo, proprio non comprendo.

Lo so che è sconclusionato, questo post, ma ho iniziato a pensare all'inverno. Dopotutto, domani andiamo in Sri Lanka, ci passiamo un mese, e a fine dicembre, arriviamo a Milano. Passeremo da un paese caldo, e buddhista, a un paese cattolico, in preparazione per il compleanno di Gesù, e freddo. Non freddo come Vienna, ma freddo, spero senza neve perché altrimenti mi viene un coccolone.

E il viaggio finirà. Finito. Finished. Terminado. Fertig. Fini.

Posso dire aiuto?
(Post scritto una decina di giorni fa a Bagan, Birmania. Pubblico solo ora, perché in Birmania la situazione di internet è quella di Milano nel 1996, più o meno.)

Ordunque, sono due giorni che sono a letto con la febbre. Non abbastanza per dormire tutto il giorno, non troppo poco per ignorarla... Ottimo, o no?
Quindi ho un sacco di tempo per pensare, dato che dopo un po' che leggo, mi fa male la testa. Tra l'altro, checculo no, che mi ammalo in Birmania, dove volevo venire da aaaanni. Sto virus del cavolo mi ha preso ai polmoni, e quello, più la polvere che qui è ovunque, e l'asma, mi stanno un po' uccidendo e levando la gioia di essere qui. Spero passi presto.

Insomma, quando si passano varie ore su un autobus scomodo in questo paese, senza il paesaggio da guardare perché ti costringono a viaggiare di notte (un'idea geniale, davvero, così arrivi alle sei del mattino e paghi comunque la stanza, ma non dormi) inizi a pensare ad un sacco di cose, più o meno siéme

Ecco, io ho iniziato a pensare a dove ho visto la più alta concentrazione di maschi appetibili. Vedete come sto messa?

Per favore, non arrabbiatevi se questo post è idiota e un po' sessista e superficiale. Nelle ultime 48h ho mangiato pochissimo, dormito pochissimo, finito due libri e avuto attacchi di tosse che sembro un turco in fin di vita. O un birmano, se è per questo, dato che ti danno le sigarette gratis a fine pasto, qui, pure se non le vuoi (ma solo se sei un uomo, o una donna occidentale. Altrimenti, ciccia, svergognata.)

Premessa: guardando ai due sessi come a un bel tessuto, un dipinto o un gioiello, secondo me noi donne vinciamo, a man bassa. Siamo proprio più belline, ecco. I miei amici gay non mi capiscono (eh, conosco solo uomini gay, altrimenti troverei più comprensione) ma sono convinta che in media nel mondo ci siano molte più gnocche che fusti.

Uomini: non preoccupatevi. Siccome M ed io siamo avanti, ho già intervistato il mio socio sulla sua opinione sulle fimmine. Quindi, continuate pure a leggere.

Ma veniamo alle mie osservazioni empiriche sui maschi visti nei paesi che ho attraversato. 

Iniziamo con il Sudamerica
Argentina ed Uruguay hanno una certa quantità di bei figlioli, ma vista la percentuale di gente di origine europea, potrebbero essere anche di Pietra Ligure o di, che ne so, Jaén, o Oviedo. Quanto ad esotismo, il livello è bassino. Però è pieno di ragazzi coi riccioli, cosa che mi piace sempre.
Procedendo verso nord, per quanto mi riguarda, c'è abbastanza il vuoto: mi sembra di aver capito che il giovane maschio indigeno o meticcio non faccia per me. Ma visto come si comportavano certe americane in gita, mi sa che faccio parte di una minoranza esigua :)
Poi arrivi in Colombia: cosa apprezzo, dei colombiani, in questo paese che mi ha lasciato un po' poco convinta per altre cose? Ci sono i mulatti, signore mie, specie nel nord. Giganti con la pelle di varie gradazioni dal caffelatte allo scuro, a volte con gli occhi verdi, a volte con gli occhi a mandorla, a volte con i dreadlock, a volte con i dreadlock corti corti... 
Cioè: lévate
Cioè: che anche M si trovava a dire behineffetti
Cioè: magari non per la vita ma per qualche mese (che sono una ragazza a modo) anche sì. Di più, se si comportassero bene. Poi, che tanti siano cialtroni e sessisti, in Colombia, uomini di tutti i colori, quello è un altro discorso. Ricordate che questo è il Post Superficiale. La Colombia è l'unico posto dove un uomo mi ha apertamente fissato le tette mentre compravo la frutta al super, con Michael di fianco. L'unico. Screanzati!

Nota per i signori: M mi informa che in Sudamerica la quantità di gnocche, donne, è nettamente superiore e meglio distribuita di quella maschile. M mi informa che la densità è piuttosto alta in Cile, cresce in Perù ed Ecuador, e rimane costante in Colombia. L'Asburgico mi informa anche del fatto che le donne messicane hanno visi estremamente affascinanti (ora che ci penso, ha ragione) ma sono talvolta davvero tanto minute, troppo. In tutto ciò posso confermare che i messicani medi, ambosessi, sono più piccoletti dei taiwanesi. Ce ne vuole, eh. C'è un sacco di gente tascabile, in Messico.

Veniamo all'Asia, che è la parte che riserva sorprese, secondo me. In Europa quando si pensa al Sudamerica, si pensa alla gnocca, si pensa alle feste, alle merende di una notte, al sesso caliente, tutte queste vaccate qui, no?
Ma la sorpresa, per me, è stata qui, in Asia.
Ho sempre trovato affascinanti i ggiovani giapponesi alternativi e zozzoni che si vedono in Europa, e qui ce ne sono, non come un tempo che han pochi soldi per le gite, ma ce ne sono, e quello lo sapevo già.
Anche di un certo tipo di uomo thai, sapevo già: qualche tatuaggio qua e là, magari un po' capellone, fricchettone. Già sapevo.
Poi, sono arrivata in Cambogia: ma... Quanto sono boni gli khmer? Uomini e donne? A partire dagli 0 mesi in poi, praticamente? Io mica lo sapevo (M, a quanto pare, sì.) In Cambogia, se fossi stata sola, avrei avuto una cotta per un barista in un caffè di Battambang. O per un autista nel sud. O per un sacco di passanti. È che hanno gli zigomi alti, la pelle color bronzo, i nasi dritti e gli occhi grandi e neri: mòro. Non so voi. Io mòro. Bellizzimi.
E poi, la Birmania: meno che in Cambogia, ma pure qui ci sono bei visi, uomini e donne, anche se forse più donne, e il bello è che le persone sono diversissime l'una dall'altra: alcuni hanno qualcosa di molto cinese, altri molto di indiano, altri una specifica faccia birmana (pensate alla Aung San Suu Kyi, bel viso ovale, elegante, regolare.) 

Nota supplementare di M: anche qui la presenza di belle donnole è poù costante di quella degli uomini. Oltre ai paesi già citati, il Vietnam. Le donne di lì, dice, sono belle, e sono anche le più scosciate di tutte, se vi piace il genere panterona. La minigonna è un must, in Vietnam.

Appunto sulla Birmania: molte donne, qui, sono di un'eleganza incredibile. L'abito tradizionale aiuta: un pareo ricamato, spesso, lungo e dritto, e di solito una blusa aderente, ma che copre fino al gomito. Molte si fanno belle trecce e begli chignon, a volte con i fiori nei capelli: bellissime. Se avete visto la signora Aung San Suu Kyi, avete visto anche l'abito birmano tipico.

Ora interrompo qui perché il mal di testa sta prendendo il sopravvento... Ancora una settimana circa di Birmania, e poi, di nuovo a Bangkok (per la quarta volta! Ormai mi sento a casa) e infine Sri Lanka. Yuhuuu!
Ci volevo andare da quando ho letto di cos'era la Birmania, grazie al solito prof di geografia che ho lodato più volte su questo blog. Ci volevo andare da tanto, ma tutti dicevano di come era meglio non andarci, pure la Aung San Suu Kyi diceva: niet. Io non avevo tanti soldi da spendere, e arrivare qui dall'Europa costa tanto, perché devi prima andare in Thailandia, e da lì prendere un aereo per qui. Quindi è l'ultimo paese del sud-est asiatico continentale dove arrivo, secondo me in corner prima che diventi qualcosa di molto differente.

Ora ci sono. Ieri ci sono arrivata, dopo dieci ore su una mulattiera di ciottoli, in arrivo dal confine thailandese che hanno aperto solo a inizio settembre. Con i capelli incrostati e marroni, la maglietta marroncina anche lei. In auto con un pazzo furente che amava superare le auto che stavano già superando un camion, in curva, su una mulattiera, con un abisso sotto di noi. Noi in auto con un undicenne birmano e mamma sua, un altro distinto signore di qui, più un poverocristo ubriaco fradicio, che abbiamo raccattato dopo che è caduto dal motorino, con le foglie nei capelli e sbucciature su tutto il corpo. Era sbronzo, o forse strafatto, non lo so, e mentre io tentavo di tenerlo dritto sul sedile perché non si scassasse il cranio contro il cruscotto, gli altri passeggeri locali lo deridevano, dicendomi, ma non ti preoccupare, che sta benissimo! Come spesso capita, qui in Asia si vede il darwinismo sociale applicato.
Non è un bel vedere. 
Credo che il loro ragionamento fosse: se va in motorino sbronzo è idiota, ed è già fortunato che l'abbiamo tirato su! Tu, donna pallida, ti preoccupi troppo, starà benissimo. (Secondo me no. Stava male, aveva l'aria di uno che ha battuto la testa e loro lo sballottavano sulla strada di montagna. Magari sono io all'antica, ma mi sembra una pessima idea. Mi chiedo ancora che fine abbia fatto quel poveraccio, che avrà avuto ventidue, ventitré anni al massimo.)
Comunque.

I paesaggi: magnifici.
La gente: dolcissima, quando non hai appena avuto un incidente che secondo loro è solo colpa tua.
Il cibo: gustosissimo, a prezzi modici, con tra un euro e due euro puoi comprarti un pasto che ha questo aspetto:


E non è solo economico... È pure buonissimo!

Nelle mie prime 24 ore in Birmania, un autista ci ha regalato il suo cibo; ho visto un ragazzo dormire sulla sella di uno scooter legato al retro di un camion sulla mulattiera di cui sopra; una bambina ci ha regalato venti banane; ho conosciuto due ragazzi locali; come al solito ho detto "camminiamo giù per quella via", per poi finire in un piccolo paesino dove tutti ci salutavano, per poi essere invitati per merenda da una famiglia sul suo portico, ché oggi è domenica e tutti avevano tempo di fissarci, salutarci, e insegnarci il birmano mentre si bevevano la loro unica birra settimanale (ciao si dice mingalaba, ad esempio.)

Le facce sono un misto di sud-est asiatico, India e Cina, sono visi belli e attraenti, come in Cambogia (di cui scriverò presto.) Ci sono due cose che rendono la Birmania diversa dai suoi vicini: gli uomini e le donne vestono con le longyi, che sono come dei parei, a quadretti o righe per gli uomini, a fiori per le donne. E tutti, grandi e piccoli, uomini e donne e addirittura bimbi di pochi mesi, si coprono il viso con la corteccia di thanaka, un albero locale, corteccia che ha due funzioni: proteggere la pelle dal sole, e decorarti e farti bello. Un esempio di adorabile nana birmana con corteccia di thanaka: 


Ecco, insomma, questo post scritto di impulso per non finire a fare la pigrona come al solito. Per molte cose i birmani ricordano i cambogiani... Solo, più miti e senza la ridarella cronica degli khmer (ridarella che a me piace un casino, ci tengo a precisare. Devo scrivervi della Cambogia, che è un posto bello, tragico e buffo, tutto insieme.)
Ora vado, sto ancora tentando di digerire il "brunch" ingerito oggi alle undici circa. Sono le ore 19:17. Una cosa che ho imparato in Birmania è: non tentare di finire il tuo piatto, perché arriverà un birmano, felice di come ti sei scofanato il suo cibo, che riempirà nuovamente il tuo piatto. E se lo finisci, lo riempirà di nuovo. E così via... 
Vediamo come va quando arrivo in luoghi più affollati di turisti... Per ora, sono piuttosto conquistata. 
Sono settimane che non scrivo niente: chiedo scusa. Sono in fase di riflessione sul futuro post-gita, e questo si mangia un sacco delle mie energie e della mia voglia di scrivere.
Ma sto bene. Tra pochi giorni vado in Birmania, via terra, con il confine aperto da pochi mesi e quindi per una volta sarò tra i primi a fare qualcosa.
Vi scrivo da una houseboat sul fiume Kwai. Sono in una cittadina sonnolenta, sul fiume, vicino al famoso ponte del film omonimo. Oggi ho fatto un corso di cucina vegetariana thai, con una cuoca sorridente, adorabile e con una panzotta di sette mesi. Lei così piccola che ti viene da dire: ma come lo fai lo spazio per un nano, lì?? Eh???
Sto bene, sono contenta, ho scoperto che amo le sonnolente cittadine fluviali (ho finito col passare otto giorni a fare assolutamente nulla in un posto del genere già in Cambogia. Dieci giorni dopo, faccio lo stesso in Thailandia.)
Vi lascio con una diapositiva di quello che vedo dalla piattaforma che è anche la zona comune di questo piccolo ostello galleggiante.
Statemi bene... Presto un post sulla Cambogia, e sul perché dovreste andarci. È già scritto, ma devo scaricare le foto.

É un anno che sono partita.
Ce ne siamo accorti, l'Asburgico ed io, giusto qualche giorno fa, appunto perché quando sei in gita le date te le ricordi solo se c'è di mezzo un aereo, o un volo. 

Che dire: è volato, quest'anno.
Che dire: non è che abbia una voglia cocente di tornare ad avere una casa. Pensavo che l'avrei avuta, invece mi sono abituata a vivere con uno zaino di 50L come casa.
Che dire: pensavo che mi mancasse l'Europa, ma da quando sono in Asia mi manca meno, perché anche qui c'è varietà culturale e lingue che cambiano spesso, cosa che in Latinoamerica è monotona.

Pensavo che sarei morta di nostalgia degli amici, di alcuni, di una in particolare. Ma non è successo, perché gli italiani che ci tengono si fanno vivi, e gli stranieri so che si fanno vivi meno, ma che saranno pronti lì per me quando arrivo, e ogni tanto scrivono per rassicurarmi.
Perché sono meno chiacchiera e più distintivo, gli austriaci, e anche loro, che mi fanno sentire sempre come una specie di Pulcinella, sarò felice di rivederli. 
La mia unica amica italiana a Vienna, quella che è come una sorellina, quella la sento sempre. Per fortuna. Non come vorrebbe lei, su Skype, ma cerco di scrivere più che posso, e lei mi scrive, e chattiamo, e grazie internet che mi lasci essere vicina alla mia amica del cuore, che ha condiviso con me gioie e dolori e doloracci degli ultimi tre anni. Che io non lo so, com'è, avere una sorella, ma immagino che sia una cosa simile a quello che abbiamo Effe ed io. 
E gli italiani in Italia sono abituati a che vado e vengo: quelli che ci sono ancora, ci sono ancora perché ci tengono. 
Immagino che gli stimoli molteplici dell'essere in un nuovo posto ogni pochi giorni o ogni settimana aiutino a combattere la malinconia.

Il cibo italiano non mi manca. Mi piace, certo. Ho già l'acquolina in bocca, se penso al pranzo di Natale che mi aspetta, se penso all'amatriciana di mammà, o la pasta vellutata della nonna, con panna, funghi e vino rosso; ai panzerotti pugliesi di Luini in centro a Milano; ai salamini mignon che trova mio zio nelle sue scorribande in bici per le gastronomie di Milano; se penso al gorgonzola, al quartirolo ed al taleggio, al pecorino romano e a quello sardo, alla burrata che il lattaio fa arrivare fresca dalla Puglia solo una volta alla settimana; ai cioccolatini fondenti di Venci che mi compra zio per farmi piacere; alle lenticchie ed ai risotti di zia; alla pizza della Magolfa, che sono palestinesi e non italiani ma è bona e quindi a me piace assai; a una bruschetta fatta come dio comanda; al pane pugliese; al caffè macchiato piccolo e che costa poco (le brioche non mi mancano, perché i francesi le hanno lasciate in eredità a cambogiani e vietnamiti. E le fanno bbone.) Il gusto del vero cibo italiano, buoni ingredienti, pochi e di qualità, ovvio che mi piace.
Ma da che sono in Asia, sono così occupata a provare quello che i vari paesi mi piazzano sotto il naso, che non mi manca, davvero. Datemi un curry al giorno, che sia thai, khmer, o indiano, e io sono una donna felice. 

Sono abituata ad essere via da casa, dalla nonna, dalla mamma. Pensavo che non vederle ogni tre o quattro mesi mi avrebbe fatto stare molto male, ma per fortuna ci scriviamo tanto, e quindi sto bene. Mi piace, scrivere alla mamma e alla zia, magari continuerò a farlo in Europa, se avrò tempo ed energie. 

La nonna mi manca tanto, lei sì. Perché lei le mail non le legge, e fa fatica a parlare al telefono, con le linee del kadzo che ho qua, non mi sente bene neanche se strillo, e non ci viene bene la conversazione.
La nonna non vedo l'ora di rivederla e di spupazzarla, e lei sarà timida perché è una donna del nord, e quando la mia metà deRoma prende il sopravvento lei ride un po', timida, perché le sembra che esagero, e mi dice: sei tutta tuo padre. O tua nonna, l'altra, la nonna matta romana, se rompo troppo le scatole. È una donna quadrata, lei, quasi germanica, e il mio sbrodolare da mezza romana, a lei fa ridere. Anche perché negli ultimi cinque anni, con il vivere lontana, sono diventata una sbrodolona, quando infine la vedo. 
Se la me stessa di diciotto anni mi avesse visto ora, con la nonna, non ci avrebbe creduto (ma ci avrebbe sperato.)

Quindi, insomma: non torno, non ancora. Però torno presto. Ho comprato un biglietto, così non finisco senza soldi (idea dell'Asburgico, ovviamente, perché io non volevo avere una data e lui, che è un uomo concreto, mi ha detto, se vuoi essere a casa per Natale, compra presto. Perché se non troviamo un volo, o diventa caro, e ti lagni, io ti odierò molto. Quindi, ho un biglietto.)

Sono già affaticata e terrorizzata, all'idea di un ritorno in pieno inverno, da Colombo a Milano, e soprattutto all'idea quello che verrà dopo Milano, cioè la ricostruzione di una vita "normale" dopo il passaggio di Godzilla di un anno fa, dove ho detto a tutti: bella questa vita viennese! Ora la distruggo tutta per bene, e me ne vado. Ecco.

Ora mi godo il tempo che rimane, e al dopo Milano non ci penso. 
Però se mi fermo e ci penso un attimo, all'arrivare a Malpensa in un giorno probabilmente freddo di Dicembre, armata solo di una felpa perché i vestiti andini li ho spediti a casa, immagino la scena.

Immagino: atterrare. E aspettare che quei cialtroni degli omini dei bagagli di MXP si fumino una, due, venti sigarette, seduta per terra, finché non arriva lo zaino. Gli schermi nella sala dei bagagli con il volume alto, che in Italia gli schermi non sono mai silenziosi, o almeno a basso volume. Accendere il cellulare, e dire alla SG (Sacra Genitrice): siamo qui, aspettiamo i bagagli. Prendere lo zaino, uscire, sentire la botta di freddo, camminare fino all'uscita dove mi aspetta la SG che non parcheggia mai che è caro ed è lontano. Uscire, sentire ancora più freddo, vedere la macchina grigia che era del mio babbo, e come sempre, bussare al finestrino facendo le boccacce e dicendo: eccomi! E lei che mi abbraccia, e mi allunga un sacchetto con dentro la focaccia fatta dal fornaio egiziano del mio quartiere, che sa come mi piace.

Oh, lo so che sembra idiota, ma io in tutta la mia vita non sono mai stata lontana da casa per 12 mesi e passa senza mai tornare. Secondo me, avrò un freddo porco, ma nella macchina di mio padre, con la SG di fianco, l'Asburgico dietro, e un pezzo di focaccia gigante in mano, starò bene nonostante tutto. Nonostante la paura di quello che viene dopo.

Uff. Fatemi andare a leggere, vah, che altrimenti mi emoziono.
Non ho per niente reso giustizia, al Messico, quando ci sono stata. Ci ho passato tutto giugno, e non ne ho quasi mai scritto per il semplice fatto che, la maggior parte del tempo, ero a spasso a godermi il Messico. 




Quando non ero in giro a godermi quella figata di paese che è il Messico, era perché ero ammalata. Ciò è successo ad Oaxaca, e ad Oaxaca ci sono stata proprio mentre a Istanbul Erdogan e compagnia bella hanno iniziato a menare la gente per le strade: ho passato due giorni a guardare video e a leggere reportage, inorridendo alquanto, e quindi estraniandomi da quel che avevo attorno (cioè la stanza di albergo di Oaxaca. Io, a Oaxaca, è come se non ci fossi stata, ho avuto due giorni di febbre su due giorni e mezzo lì!)

Insomma, dopo aver letto un libercolo (Antes, se vi interessa, testo in spagnolo) di un'autrice messicana, Carmen Boullosa, sto ripensando alle mie settimane messicane. 

Il Messico è uno di quei paesi che i miei genitori hanno visitato quando ero nana, lasciandomi a casa, e tornando pieni di storie e fotografie e suggestioni che mi incuriosirono, all'epoca. Poi, crescendo, è iniziata quella che io chiamo la scimmia asiatica, alimentata dal mio mitico prof di geografia che mi ha dato un libro di Terzani quando ero sbarbatissima, e del Messico mi sono proprio dimenticata. 

Questo fino a quando ho letto La Polvere Del Messico, del bravo e preparato Pino Cacucci: letto a Vienna, in un'estate inusualmente torrida passata a lavorare a una traduzione in biblioteca, circondata da adolescenti ceceni che facevano i compiti. Libro bellissimo, ve lo consiglio: se vi piace la letteratura di viaggio, è magnifico, davvero. Ha decisamente riacceso la mia curiosità.

Il Messico non era neanche parte del piano della nostra gita: ma siccome è un ponte che unisce le due Americhe, e noi dovevamo andare in Nordamerica per andare in Cina, ci siamo detti, vabbè, se ci fanno comunque prendere più voli del necessario, tanto vale fermarsi per un po', o no?

E meno male che l'abbiamo fatto! Mi sono piaciute un sacco di cose, del Messico. Cerco di fare una lista schematica. Le ragioni non sono in ordine di importanza, ma solo in ordine di come le partorisce la mia mente. Scusate se mi dilungo. Se non avete tempo, leggete la lista e non le motivazioni!

  1. Il ciboTortillas, fajitas, pico de gallo, quesadillas, funghi huitlacoche, chorizo, e un milione di altri piatti di cui ho dimenticato il nome. Tutto bono, bono, bono!! E anche salutare, perché nonostante abbia mangiato come una fogna, in Messico sono dimagrita. Oh yes. E considerato il mio metabolismo-lumaca, non è roba da poco. 
  2. La storia. Come il Perù, se vi piacciono le rovine, le cose che cadono a pezzi, le cose che vi fanno sentire il peso della storia sulle spalle, il Messico fa per voi. Ci sono rovine sparse per tutto il paese, almeno a sud di Città del Messico. Quelle più celebri e antiche sono quelle maya, ma ci sono ovviamente tracce di altre civiltà, quella azteca, più recente, o zapotec. Nei miei primi dieci giorni di Messico, ho visitato qualcosa come sette siti archeologici. Il mio consiglio personale sono le rovine di Coba: non sono molto famose, né strapiene di venditori. C'è molta giungla intorno, è tranquillo, ti permette di sederti e immaginare queste persone, la cui civiltà è stata distrutta dagli spagnoli. Delle rovine famose, la mia favorita è Uxmal: quando ci sono andata io, era abbastanza tranquilla, e la nostra guida era preparata, e parlava la lingua maya. Non lo sapevo, ma in Messico la varietà linguistica è ancora vivace.
  3. Città del Messico. Ormai avrete intuito che sono una donna di città. Mi affascinano le metropoli, e quindi ero curiosa di vedere CdM. Non mi ha deluso: è molto meno conservatrice di quanto credessi, tanto per cominciare. Le coppie gay si coccolano e si abbracciano per strada abbastanza liberamente, nelle zone centrali, ad esempio. Il metrò è affollato, ma utile. La figata di CdM, come di Istanbul o Buenos Aires, di tutte queste città giganti, è che ogni quartiere ha un'identità sua, e che ci sono due quartieri (Coyoacán e San Angél, soprattutto quest'ultimo) dove potrebbe sembrarti di essere finito per errore in un'altra epoca. Splendida architettura coloniale spagnola,  antica, e conservata da dio. C'è buon cibo in ogni fascia di prezzo, ci sono posti per fare festa se lo vuoi, una quantità di musei paralizzante, quando arrivi, cultura, cultura, tanta cultura e tanta subcultura. I chilangos sono fieri della produzione culturale della loro città, e se ne prendono cura.
  4. Il Chiapas, e gli zapatisti. Non sono certo una di quei ragazzetti che vanno alle feste dell'Unità con le magliette dell'EZLN (il fronte per la liberazione zapatista), anzi, quei ragazzetti in media mi stavano abbastanza sulle palle, quando abitavo in Italia. Però: il Chiapas è davvero un posto interessante, e gli zapatisti sono un movimento di guerriglia diverso da tanti altri, tra gli altri motivi appunto perché hanno ufficialmente abbandonato la lotta armata. Al contrario di tanti altri, si preoccupano di avere anche donne tra le loro fila, e uno dei loro obiettivi è l'incoraggiare la parità tra i sessi. San Cristóbal de las Casas, la capitale del Chiapas, è un'intrigante cittadina di montagna, non alta per fortuna. L'architettura è ben conservata, e la città richiama fricchettoni assortiti, che da una parte spiegano la densità di scuole di yoga, e dall'altra nutrono una vita culturale molto vivace, per un posto così piccolo.
    San Cristóbal ho incontrato Marco, un romano che ci vive da dieci anni, e che la ama molto, e non credo se ne andrà presto. Da quel che ho visto, ci sono molte persone comuni che supportano l'EZLN, e in generale il movimento dei campesinos messicani, per l'autonomia. A Oaxaca si ha una sensazione simile, ma a San Cristóbal è molto piú forte.
  5. L'artigianato e i prodotti tessili. Io purtroppo in questo viaggio non posso comprare molto, ma ancora più che il Perú o la Bolivia, il Messico produce cose molto, molto carine, e al contrario che quelle peruviane o boliviane, sono cose che si possono indossare anche in Europa, senza sembrare fricchettoni completi. Cotone leggero, e borse ricamate con fantasie floreali deliziose. Ho fatto molta fatica a non comprare nulla, devo ammetterlo.
  6. Il mare e la spiaggia di Tulum. La cittadina non è granché, ma il mare e la spiaggia sono magnifici. Specie se riuscite ad andarci col bel tempo, cosa che a me è capitata solo una volta, ahimè!
  7. La cultura messicana. Con questo termine ombrellone, indico varie cose. La cultura visuale, coloratissima, ad esempio, con i teschi felici della festa dei morti che sono ovunque, Santa Muerte; la pittura dei muralisti; l'onnipresente Frida Kahlo; gli scrittori come Carlos Fuentes, o Octavio Paz; l'architettura coloniale spagnola, che è vecchia vecchia, e bella assai; i libri che vedi in libreria, dove i messicani si fanno domande su se stessi, sul loro essere messicani, su come questo si definisca giocoforza anche per i contrasti con il loro vicino gigante a nord; la malinconia messicana, che è lí di sottofondo durante la festa, come in Argentina o Turchia, e che conquista il mio cuore più delle feste parrandere in Colombia o Venezuela (da quel che mi raccontano.)
  8. musei, che meritano di essere un punto a parte, soprattutto quelli di CdM: sono enormi, ben finanziati, e ben 'spiegati' anche per i profani. Spesso sono anche a buon mercato. I messicani sono fieri della loro storia e della loro cultura, ma al contrario di altri paesi che ho visitato, raramente cadono nel nazionalismo sbandieratore. Cioè, di certo ci cadranno ogni tanto, come tutti, ma non anche per venderti una penna, come in Colombia o Ecuador. Dimostrano il loro amore proteggendo la loro cultura, ma hanno anche uno sguardo disincantato sul loro paese. Questo mi piace.
  9. Le piazze. Stare in una piazza messicana, seduti a far niente, è come andare al cinema. Questo è vero in molta America Latina (Cile, Argentina, Perù), ma i palazzi che ti attorniano, in Messico, sono antichi, colorati, a volte un po' cadenti, ma belli. Le piazze messicane sono tra le più belle viste in nove mesi di Latinoamerica, e i messicani adorano uscire a prendere il fresco la sera, e a fare lo struscio. Io sembravo una barbona, con tutte quelle bambine vestite come bambole, e tutte quelle donne eleganti, o vamp, ma ho passato ore sulle panchine, a guardare le famiglie a spasso, e i cani randagi, amichevoli pure loro.
  10. messicani. Purtroppo, con loro ho interagito meno che con argentini, cileni, uruguayani, paraguayani o peruviani, ma: sono gentili, nel quotidiano, intendo. Sono cortesi. Rispetto ad altri, ti lasciano tranquillo, sono meno invadenti e rumorosi dei peruviani, meno sboroni e cazzari degli argentini, meno alcolici dei cileni. Mi piacciono. Non avevo preconcetti, sui messicani, ma devo dire che mi sono piaciuti. Avrei voluto conoscerne di più e meglio, ma non mi andava di forzare le cose. Sono piuttosto certa che tornerò in Messico, magari la prossima volta avrò più fortuna.
  11. Il cacao e tutti i suoi derivati. Se amate il cacao, il cioccolato, la cioccolata calda, la cioccolata da bere col ghiaccio, se amate il cioccolato in genere, il Messico fa per voi. Ho fatto un cioccolato amaro 100% in uno degli workshop più interssanti della mia vita. Nel sud, almeno, quella del cacao è una vera cultura, di cui vanno fieri tutti. 
  12. colori. So che sembra una banalità, ma i colori delle vecchie case coloniali in Messico sono stupendi, una cromoterapia automatica. Per quanto mi riguarda, si dovrebbe prendere un gruppo di imbianchini messicani, e sguinzagliarli in un territorio che va piú o meno dalla Germania orientale a Vladivostok. Si risolverebbero molto in fretta i problemi di alcolismo che affliggono l'Europa orientale, ve lo dico io. 
Le mie osservazioni casuali si basano su un viaggio di un mese, che ha toccato Tulum, Valladolid, Campeche, Palenque, San Cristobal de las Casas, Oaxaca e Città del Messico: purtroppo non ho avuto tempo per andare a nord della capitale, niente Guadalajara, ad esempio. Mi è dispiaciuto molto: se non avessi avuto il volo per la Cina, magari mi ci sarei fermata per più tempo. Quel che è certo è che ci tornerò! 



Oramai è quasi un anno che sono via da Nonna Europa (perché quando vai in Sudamerica ed Asia, credo pure in Africa, ti rendi conto che l'Europa è un continente di vecchi, pieno di bellissima architettura vetusta, e varie rovine, fascinose e cadenti), e per la prima volta ho una televisione, in camera.

Questa televisione ha due canali interessanti: TV5monde, francese, e Deutsche Welle, tedesca. Entrambe producono informazione di qualità e bei documentari, quindi quando vengo in camera per mettermi al riparo dalle piogge del monsone cambogiano, o dalla caldazza di mezzogiorno pre-monsone, a volte guardo la tele. E così, mi sono resa conto che è un po' che sono via, e che l'Europa ci ha quasi un fascino esotico, che sa di vecchiume di bell'aspetto, ma fa anche paura per i livelli di ansia per il futuro mostruosi. Ovunque. Anche, che ne so, in Svezia, tutti che parlano della crisi e dei soldi che non ci sono e di quanto fa tutto caghèr rispetto a prima.

Quindi, mi sono trovata a chiedermi, cioè a chiedere a chi di voi passa da queste parti: che aria tira, in Europa, dove siete voi? Quanto devo preoccuparmi? Perché per quanto abbia voglia di tornare, per vedere la mamma e la famigghia e gli amici, non è che stia proprio morendo dalla voglia di rimanerci. Inizio a meditare di comprarmi un volo per l'India e stare via fino ad aprile, almeno tornerei a fare la disoccupata in primavera, che kadzo.



Non perché non mi piaccia l'Europa, attenzione: io sono una grande fan dell'Europa, della diversità culturale, della lingua che cambia ogni poche ore, del fatto che le cose, in misura diversa da un paese o l'altro, bene o male funzionino, che l'autobus non deve essere pieno per partire, che non si fermi ogni settecento metri perché per questo abbiamo le fermate, santamadonna, e tante altre cose che non sto ad elencare. Ogni volta che l'Asburgico avanza l'ipotesi di vivere in un altro continente, a seconda di dove propone, io lo guardo con aria dubbiosa, e dico non so

Sarà perché sto invecchiando, ma l'idea di poter lavorare legalmente mi alletta abbastanza, ad esempio; il fatto che non devi evitare gli ospedali perché ti fanno stare peggio invece che curarti (come in Cambogia) mi sembra un'ottima cosa. Chiaro che non è lo stesso ovunque, però boh. Qua ti rimettono insieme un polso rotto facendoti pagare una fortuna, e poi vai in Thailandia e ti dicono, ossignore torna in Europa, che ti conviene. Per esempio.

Comunque, insomma, il tema "futuro" ovviamente si fa strada nella mia mente, perché la fine è vicina! Grazie al mio essere pessima a deludere la mamma, andrò a casa per Natale (ma appena prima, eh) e poi dovrò riadattarmi ad una vita normale. Fortuna che mi piaceva la mia vita prima di partire.
Il problema principale sarà riabituarsi alla sveglia a orari che dovrebbero essere proibiti da un organismo internazionale. E anche riottenere progetti. E anche riottenere quei pochi amici che ci ho. 
Oddio.
Aiuto.
Sarà terribile?
Forse.
Om. Om. Om.

E poi, ho un'altra domanda vagamente correlata, o meglio, un ragionamento da sottoporvi:

Ma se in Spagna ci hanno il millemila percento di disoccupazione
Se i giovani sono senza futuro senza soldi senza una sega
Se tutti vivono con la mamma fino a 37 anni perché non hanno soldi per uscire di casa

Allora, mi chiedo e mi domando: 
Come strakadzo è possibile che dal Vietnam in poi, dopo gli onnipresenti francesi, tedeschi e olandesi in diverse misure, il gruppo più grande di vacanzieri siano gli spagnoli? 

Gli italiani di cui parlai in Vietnam, dopo agosto, sono tutti spariti, come è tradizione (le masse di italiani in Messico erano tutte persone che vivevano in Messico, come nel Cono Sur.)

Non capisco. Sono tutti come me, che vivono via dalla Spagna da mo' e per questo motivo hanno i soldi per viaggiare? Perché a parte due cilene, visto come parlano, quelli lì so' tutti spagnoli. Che hanno, la mamma che gli paga le vacanze per averli fuori dai maroni almeno per due settimane?

So che alcuni di voi vivono, o hanno vissuto, in Spagna. Ci illuminate? Perché M ed io non ci spieghiamo sta cosa. Se poi leggi El País, ha qualcosa di sovrannaturale. Fa quasi pensare che allora vado davvero a stare a Barcellona, che tanto sarò squattrinata sia lì che a Vienna, e allora viva l'essere squattrinati al caldo.

Si nota che inizio ad essere in sbattimento?
Sono in Thailandia, ora, su un'isola. Un'isola bella, con le palme e i thailandesi gentili, almeno con me. Si sentono un sacco di cose negative sui thai nel sud, ma io mi ci trovo bene quasi come nel nord. Tranne che per il cibo, che sull'isola non è quella figata che è in altre parti della Thailandia.

Non è del tutto colpa dell'isola, se sono delusa dal cibo. È che dopo Melaka, in Malesia, sono andata George Town, isola di Penang (Malesia) dove ogni pasto, inclusa la colazione, è una festa per gli occhi e per le papille, davvero. La mia amica P. mi aveva avvisato, mi aveva detto che George Town è fantastica, che lei non se ne voleva più andare... E aveva ragione. Io me ne sono andata solo perché volevo essere certa di avere abbastanza tempo per la Cambogia, dopo l'isola. 



Di George Town, mi sono innamorata abbastanza immediatamente, e tanto, come non mi capitava da un po'. Sono innamorata di questa città come lo sono di Colonia in Uruguay, o di San Cristobal de las Casas, in Chiapas. Sono queste città non troppo grandi, piene di architettura un po' decrepita, cittadine dal carattere forte, scenografiche. Anche Cuzco (Perú) ha questo tipo di bellezza. Ma fa troppo freddo per i miei gusti, hehehe...

George Town, comunque, batte tutte quelle citate qui sopra, che mi piacciono assai, per due motivi: il meticciato culturale, e il cibo che ne risulta. Yeoh, il proprietario della nostra pensione a George Town, ci ha raccontato che la composizione della popolazione lì è diversa che nel resto della Malesia: il 60% della popolazione è cinese, e ci sono anche molti indiani, oltre che i malesiani. In città c'è un grande tempio induista, come anche varie moschee e templi agli antenati di varie regioni cinesi. 


La moschea principale della città è aperta a tutti, e offre visite guidate con un imam, al quale puoi chiedere tutto quello che hai sempre voluto sapere sull'Islam, e non hai mai osato chiedere. Hanno anche un poster che illustra le somiglianze tra Ebraismo, Cristianesimo e Islam, per quanto concerne profeti e storia antica delle tre religioni, insomma, per me è stata una visita interessante. Ah, a proposito di musulmani, la popolazione indiana di religione musulmana ha aperto un sacco di ristoranti detti nasi kandar, dove tu entri, ti fai un giro davanti a un buffet, e ti fai un piattone con quello che vuoi tu, aiutato dal ristoratore. Costa un po' di più di altri tipi di pasto, ma vale la differenza.


(Foto di OsakaJoan) A volte i nasi kandar hanno anche cose vegetariane, altre no, e quindi è così che ho mangiato un ottimo stufato di capra. Non so quanti anni erano che non mangiavo una capra.
Comunque.

Yeoh ci ha anche detto che, viste le politiche del governo malaysiano, forse la situazione di George Town cambierà con gli anni: le famiglie cinesi e quelle indiane, infatti, non hanno diritto all'istruzione gratuita, per i propri figli, al contrario delle famiglie malaysiane. Per questo, le famiglie cinesi e indiane, generalmente, hanno un solo figlio, e la loro popolazione si riduce. È una politica approvata di recente, perché il governo malaysiano non è contento di come, in fin dei conti, le persone di etnia malay sono spesso anche quelle che svolgono i lavori più umili, e col livello d istruzione più basso. 
Non ne so abbastanza per pronunciarmi in merito, però se questo cambiasse la Malesia che conosco, quella che mi piace così tanto che con la Thailandia è l'unico posto in Asia visitato due volte, a me dispiacerebbe assai. Perché questo pastone culturale è proprio la cosa che differenzia la Malesia dai suoi vicini. 

Tornando a George Town: se capitate in Malesia, mi raccomando, andateci. Ci sono artisti che dipingono graffiti, eccentrici assortiti, cibo di strada delizioso (nella foto, curry mee), architettura cinese, un quartiere indiano, un forte inglese, un parco nazionale a un'ora di autobus, una spiaggia a un'ora e mezza, tutto raggiungibile con l'autobus. No, dico, su misura per me, quest'isola di Penang. 



Sono le 19.20, e ho la fortuna di sedere da sola su una terrazza, su un tetto, a Melaka. Sento i grilli, un gatto che piange, e i gabbiani; c'è luce di crepuscolo, di fronte a me c'è una vecchia casa coloniale, restaurata: architettura portoghese, color indaco, e con caratteri cinesi in rosso brillante, sulla facciata.

È appena cominciata la chiamata alla preghiera nelle moschee della città: una è vicinissima, vedo il minareto bianco e il tetto verde, che da lontano sembra quello di una pagoda di un tempio cinese. Da lontano, si sente la 'risposta' delle altre moschee. 
È una religione che crea molte controversie, questa, però alcune cose le apprezzo, come l'architettura, la cultura decorativa (fin da bambina mi piacciono le foto degli arabeschi), sono curiosa del sufismo, e da quando ho abitato a Istanbul, mi è rimasta una strana relazione con la chiamata alla preghiera. Anche lì si mischiava al rumore dei gabbiani.
All'inizio, vivendo ad Istanbul, la prima chiamata mi teneva sveglia, o mi svegliava, a seconda di se ero uscita a far festa, e non mi piaceva, mi infastidiva. Poi mi sono abituata, e da allora, ogni volta che la sento, mi piace fermarmi, sedermi e starla a sentire. Sarà che mi riporta ai tempi istanbulioti, e alla città che, come dico sempre, mi ha prima rimesso in sesto, e poi rivoltato la vita come un calzino, portando sulla mia strada tante persone che amo. Soprattutto una.

Melaka è magnifica, turistica, certo, ma bella. Bella architettura, e cibo gustosissimo, ricco di spezie, come in molte parti della Malesia, del resto. Malesiani gentilissimi, amichevoli, chi lavora nel turismo e chi no, tutti: dopo il Vietnam è un toccasana, per certi versi, anche se ovviamente mi mancano il caffè e le baguette in stile francese! Volevo venire a Melaka da tanti anni, precisamente da quando ho letto il libro di Terzani, Un Indovino Mi Disse, nel quale viene a Melaka, famosa per essere una città 'stregata'. Alla mia prima puntata malese non avevo avuto tempo di venire, ora sono qui e sapete una cosa? Non sono affatto delusa. È turistica, ma ci sono ancora un po' di stradine dove gocano i bambini e dove i nonni prendono aria nel cortile, tenendoli d'occhio. Basta cercarle.

Qui una foto da Richard-seaman.com, che esemplifica bene la ragione del mio innamoramento istantaneo per questa sonnolenta cittadina turistica assai:



Ormai sono in pieno trip cinese. L'Asburgico ride sotto i baffi perché lui ci è passato dieci anni fa circa, io in questa città famosa per l'architettura coloniale impazzisco con i templi buddhisti e le case della zona cinese, come quella che vedete sopra. Se ci sono i caratteri e le lanterne, io sono contenta come una cretina. A Melaka ci sono sia il tempio buddhista cinese più vecchio del sud est asiatico, sia la chiesa cattolica più vecchia della regione. Ma la vedete questa casa qui sopra? È un'insalata di architettura coloniale e cinese. Io sono innamorata ormai! E destinata alla delusione, se mai andrò in Cina, perché lì le cose vecchie le abbattono, mi dice l'Asburgico. 
Comunque.

Oggi ho aiutato tre studentesse che dovevano intervistare dei turisti per i compiti di inglese: ragazzine  di tredici anni o quattordici, due malay, viso da luna piena incorniciato da un velo colorato, e la loro amica, indiana, in jeans e maglietta, in brodo di giuggiole quando le ho detto che da quando sono qui mangio indiano almeno una volta al giorno, e che in Vietnam abbiamo mangiato indiano ogni volta che abbiamo trovato un ristorante. È piacevole aiutare gli studenti dato che non sto lavorando, l'ho fatto anche in Vietnam e a Taiwan: qui però il livello di inglese è molto piú alto, e quindi interessante per fare domande alle ragazze. Anche a Saigon erano più bravi che nel nord del Vietnam.

Mi ero dimenticata di quanto mi piaccia la Malesia. Un posto che era un sultanato, che poi è stato portoghese, olandese ed infine britannico, per poi diventare indipendente. A causa della sua storia, oltre ai malesiani, musulmani, ci sono anche moltissimi cinesi, buddhisti -- credo il 40% della popolazione -- e molti indiani del sud dell'India, che a detta di M sono generalmente più gentili di quelli del nord. 
Il risultato è una nazione multiculturale, dove tre grandi religioni convivono, dove molta popolazione è bilingue o trilingue. 
In Malesia, puoi svegliarti e fare colazione cinese con tofu e yo tiao (frittura malsana e deliziosa), pranzo malesiano con una laksa, zuppa a base di latte di cocco, piccante e buonissima, e cena indiana, vegetariana o vegana, o con carne, come ti va. A KL abbiamo pranzato in un ristorante di indiani del sud, per un piattone vegetariano (thali) e due tè masala abbiamo pagato poco più di tre euro, in due.

Ma come si fa a non adorare un posto del genere? A me dà speranza, un paese dove incontro gruppi di ragazzine come quelle di oggi, che sono amiche nonostante le religioni diverse, e che vanno a scuola, e che sono libere di uscire e intervistare i turisti per i loro compiti.

Mi piace il Laos, mi piace il Vietnam che ha paesaggi stupendi, mi piace moltissimo la Thailandia, a nord, e che è stata il mio primo approccio all'Asia, tanti anni fa. Ma la Malesia, io adoro la Malesia! 
Se state pensando di andare in Asia, ma non sapete dove cominciare, venite qui: è sicura, è organizzata, e in un solo viaggio potrete conoscere tre tradizioni religiose, culturali e culinarie differenti. In questo, alla Thailandia bagna proprio il naso, la Malesia. Giuro che non mi paga l'ente turistico malese, è proprio che io la Malesia la amo! La amo proprio. La Malesia, e i malesiani.

Domani siamo ancora a Melaka (Malacca, in italiano) e poi via a George Town, nel nord, da cui aspetto grandi cose. Spero non mi deluda, è che la mia amica P la ama tanto, e mi sembra di capire che abbiamo gusti simili. Vediamo, dai.
A chi serve la ice mocha di Starbucks, costosa e multinazionale, quando puoi avere il cà phê sữa đá, (pronuncia, tipo cafè sudá) il caffè freddo con latte, per strada, per 30 centesimi a bicchiere? Ecco una diapositiva del caffeo in questione, dal blog whiteonricecouple.com, scattata a Da Nang. Io ho sviluppato una certa dipendenza. Quello che lo rende speciale è il latte dolce che ci mettono, che lo rende cremoso e gustoso. Lo preferisco ghiacciato, caldo rende solo se si usa ottimo caffè. Dove fanno questo caffè, spesso, nel nord almeno, preparano anche un ottima cioccolata con ghiaccio. La migliore l'ho bevuta in un caffè di Hanoi dove andava anche la Catherine Deneuve, quando era ad Hnoi a girare il film Indochine. Ecco la foto del caffè.


Le pedine che vedete di fianco al bicchiere sono quelle degli scacchi cinesi, un'istituzione a Taiwan, e Vietnam. Si gioca per strada, si gioca al caffè (in Vietnam) e si gioca rapidissimi. Si gioca anche al tempio, come nel tempio di Ngoc Son, ad Hanoi (foto di 33avenue.com, le mie sono ancora da scaricare :) )


I vietnamiti sono molto fieri della loro cucina, come anche del loro caffè. Quindi, nei loro negozi, vendono un sacco di magliette in tema, come quella che ho comprato io, disegnata dai ragazzi del Papaya shop, dove ogni giovane che ama il design dovrebbe recarsi, in caso si trovi ad Hanoi, Hoi An o Saigon. Non vedo l'ora di sfoggiarla in Europa!