Una delle cose divertenti, del vivere a Bangkok - come in molte metropoli degne di questo nome, credo - è che si finisce a vivere in un pastiche culturale gigantesco. Era lo stesso a Istanbul, a Vienna un po' meno, o meglio, lo era, ma soprattutto con europei, quindi aveva un impatto minore. A Istanbul, molti amici miei erano francesi, quindi come dico sempre, sono tornata dalla Turchia con un turco accettabile e un francese eccellente. 

Qui a Bankòk, come spesso accade, di amici thai ne ho, tipo, uno. Questo non è perché i thai sono malvagi, ma come dicevo a Vienna: loro vivono qua da una vita, parlano la lingua, hanno i cazzi loro e mica hanno tempo di stare a conoscere te, sprovveduto e nuovo arrivato. Quindi, quel che succede è che fai amicizia con altre mine vaganti come te, cioè gli altri espatriati. Istanbul è stata l'unica eccezione, sino ad ora. Coi turchi, o almeno con un certo tipo di turco, cioè quelli che fanno casino a Gezi Park da un anno a questa parte, mi sono proprio trovata.

Torniamo alla città attuale. I miei amici  qui (o conoscenti, più precisamente) sono di varie nazionalità, un pastone di europei misti, un paio di nordamericani, un paio di sudafricani, un paio di australiani. Ma la vera sorpresa, per me, qui a Bangkok, sono i giapponesi. Sono ovunque, sono tanti, e sono matti. Perché qui ci finiscono due tipi di giapponesi. 

Japantoday.com
Il primo tipo: il giapponese ricco. Il giapponese ricco è un espatriato di quelli veri, vive in una certa zona della città da cui non esce mai, ha bambini, parla pochissimo thai e anche pochissimo inglese, non esce mai perché lavora sempre. A meno che non si parli di uscire dopo il lavoro, ubriacandosi con il proprio capo, cosa che succede qui esattamente come in Giappone, dato che lavorano per aziende giappo. Ha una casa gigante, come il suo stipendio. Spesso ha una moglie, che non lavora, e che si prende cura dei bambini, annoiandosi il resto del tempo (o facendo cose creative, tipo le mamme giapponesi della mia classe, che cuciono e fanno collane e cose del genere.) Sono ben vestiti, ricchi, e non c'è alcuna possibilità che io li conosca, perché stanno sempre nel loro giappomondo bangkokiano, compreso tra due precise fermate della metropolitana. 

Il secondo tipo: il giapponese sciroccato. I giapponesi che conosco io, ovviamente, rientrano praticamente tutti in questa categoria, con diverse gradazioni di eccentricità. Io li amo tutti molto.

C'è Ichiro, l'artista nell'appartamento di fianco al mio. Fa gioielli d'argento e ha vissuto a Goa per anni quando era ggiovane. E' un tipo interessante, ma lo temo molto, perché è anche piuttosto irascibile. Ciononostante, ci sta dentro. Ha i dreadlocks e beve molta birra, a partire dalle ore 12. Lo so perché siamo vicini di balcone, e la birra la beve lì. 

C'è Tepei, il marito della mia amica turca, iper eccentrico, buffissimo, con dei capelli simili a quelli di Einstein, che rifiuta il concetto di colazione perché perché mangiare qualcosa di diverso solo perché ci si è appena svegliati? L'abbiamo introdotto al concetto delle egg benedict e l'abbiamo convinto che la colazione può essere un'idea valida, per la gioia della mia amica turca, che viene da una cultura dove la colazione, la kahvalti, è una cosa culturalmente importante. Lo convinceremo. 

Foodieah.com
C'è la mia amica Yuka, che viene a yoga con me e che quando si rilassa e mi racconta dei suoi fasti di supergiovane (ha qualche annetto più di me) se ne viene fuori con avventure in India che io mancopenniente, come dire. Tipo quando è finita su una barca con il barcaiolo che le diceva jikijiki? Jikijiki? E lei non capiva, e viene fuori che jikijiki lì è come dire voulez vous coucher avec moi?, per fortuna ne è uscita tutta intera, senza jikijiki. La cosa buffa è che, chiacchierando, è venuto fuori che Yuka è la ex di Ichiro, perché hanno fatto vita fricchettona insieme a Goa, tipo dieci anni fa. Della serie, questo mondo è un buco. Scopri che ha viaggiato da sola pure in Sudamerica, perché nessuno voleva andare con lei e lei mica ha tempo di stare ad aspettare questi uomini letargici.

C'è Kaori, che la vedi ed è sempre vestita bene, come le mie studentesse giapponesi a Milano, ben truccata con delle belle scarpine... E poi chiacchieri e ti racconta di come le piace andare a suonare il djembe  insieme ai ragazzi africani che organizzano il drum circle al parco. E tu, nella tua mente, pensi subito ad Elio e le Storie Tese, che cantano piantala con sti bonghi, non siamo mica in Africa! Troppo buffa.

C'è la mia amica Hiro, che abita due piani sopra di me ed ha viaggiato ovunque, viaggio duro senza paura, anche in Medio Oriente, e che ora aspetta un bimbo asburgico-nipponico. Carinissima pure lei, pensavo che fosse buffa ed eccentrica... Ma ora che ho conosciuto altri giapponesi, direi che lei è la più normale di tutti. 

C'è l'insegnante di piano che ha conosciuto l'Asburgico, che ha vissuto in Bhutan insegnando il piano, e che ora vive qui, con pochissimi soldi e un fidanzato bhutanese. Che ce ne ne sono dodici, di bhutanesi, e lei se n'è trovata uno.

Una delle cose che mi piacciono, dei miei giapponesi a Bangkok, è che sono tutti belle teste. Sono via dal Giappone perché lo criticano molto, criticano la (non-)cultura dell'iperlavoro, criticano il nazionalismo, criticano il razzismo, criticano i livelli assurdi di conformismo -- e pensate che io sono già presa male vivendo qua, loro dicono che in Giappone è peggio -- criticano il fatto che il Giappone ad esempio rivoglia un esercito... Sono spiriti liberi, ai quali il Giappone va stretto. Da loro imparo molto su quel paese, grazie a loro so già che non potrei abitarci, per quanto poi mi piacciano tante cose della loro cultura, dal cibo ai libri al cinema. 

Altra cosa che mi piace, dei miei giapponesi, sono le donne. 
Siccome sono, appunto, soggetti molto pensanti, queste donne giapponesi sono forti ed indipendenti, cosa che le pone fuori dalla società "normale" molto più che l'essere donna forte e indipendente per una donna americana, o di alcune parti dell'Europa. Sono toste, mi piacciono. Lo stiamo dicendo tipo battuta ma hai visto mai che Yuka ed io finiamo ad andare in Marocco insieme, l'anno prossimo... Dato che l'Asburgico non ci vuole andare, ed è il genere di posto dove è meglio andare in coppia o gruppo, se si è signorine?

Altra cosa buffa del Giappone, che è simile alla Thailandia, è il concetto di kawaii, cioè carino, in thai narak. Tutto può essere bellino, ciccioso, coccoloso e pucci pucci, quindi finisci come me che ho la signora delle risorse umane della scuola che mi manda i messaggi con le faccine e gli orsetti. Meraviglioso. Perché alla fine equivale a non uccidere la nostra parte più bambinesca con la seriosità adulta, no? Vi metto un video che esemplifica bene il concetto di kawaii, pubblicità dell'equivalente giapponese di Whatsapp, Line, che qui è molto molto più diffuso, perché ha gli sticker più belli. Io, quando sono triste, ormai mi guardo questo video. O anche senza essere triste, perché mòro ogni volta che lo guardo. Guardatelo pure voi!


Insomma, io avevo già una certa fascinazione imprecisa e immotivata per il Giappone prima di venire qui, ma ovviamente conoscendo più gente di quelle parti, e gente intelligente, in più, la cosa aumenta. D'altra parte, già quando avevo quindici anni e guardavo le partite della Roma col mio babbo, dentro di me pensavo che gente come quest'uomo avesse tanto, ma tanto un suo perché. 

Hidetoshi Nakata

Per coloro di voi che mi seguono da poco, ho aggiornato la pagina della bio della Mente Debole.

Wikimedia Commons
La trovate qui. Con le figure geograficamente illustrative, perché la cosa comincia a farsi piuttosto complicata.
Pubblicherò in differita. Tipo lunedì. Ora sono presa troppo male anche per quello. 

Passare un venerdì sera in isolamento, con il mal di pancia, dopo una giornata durante la quale avresti pensato di andare a yoga, cenare con i compagnetti di yoga, e poi andare a farti una birra con gli altri insegnanti, per conoscere un paio di persone nuove che paiono simpatiche, non ti può mettere di buonumore.

Foto: unknown. Si ustedes saben de donde es, me contacten porfa :) 

Come mio solito, quando non sto bene, ho detto all'Asburgico di andare a fare quel che aveva previsto di fare, che non sto bene, ma non ho ancora bisogno della balia, per fortuna. E poi ho anche l'umore grigio e non mi va di ammorbare gli altri. Ammorbo voi, invece, fortunati!

Insomma. Umor grigio perché. 

Perché più si avvicina l'inizio dell'anno scolastico con i nani urlanti, e più mi dico perché insisti a farti questo, donna? (Risposta: perché mi pagano bene ed è un sacrificio di qualche mese per mettere da parte soldi, e fare una nuova esperienza, perché mi danno un visto, che nella Thailandia del golpe è una cosa importante. Ciò non toglie che non ci ho voglia e che mi mancano i miei studenti adulti, che mi insegnano cose del paese dove vivo mentre io insegno a loro una lingua.)

Perché oggi parlando con il mio amico G., che conosco da che avevamo 16 anni... E' venuto fuori che del buco degli anni dove ci eravamo persi, durante i quali mio padre è morto... Non gli ho raccontato niente. E oggi è venuto fuori. E oggi ho dovuto spiegare. E oggi ho ricordato la schiena di mio padre nel letto d'ospedale, la pelle secca per il troppo stare a letto. Ho ricordato delle punture per prelevare il midollo che gli facevano male. Ed è stato come un pugno nello stomaco. Tipo che ho camminato verso casa per 45 minuti nel traffico di Bangkok per tentare di riprendermi. Perché ho raccontato questa cosa camminando, e mi è venuto da piegarmi impercettibilmente, mentre glielo dicevo. Perché mi sembra che mi abbiano accoltellato nella pancia con una katana gigante. Perché quest'anno sono otto anni e il dolore a volte arriva alle spalle, e ti fotte, in un pomeriggio con un amico che non voleva assolutamente farti stare male, che ti ha fatto solo una domanda innocente. 

Umore grigio perché oggi ho saputo che una persona che credevo stesse meglio, non sta meglio per niente. E questo mi rende triste. Perché che minchia di mondo di minchia, ecco. Lo dicevo quando stava male il mio babbo e lo dico anche adesso, pensando a questa persona, e ai genitori di tante altre che conosco, che sono malate, e che non stanno bene, e che mi fanno sempre pensare che ho ragione, a non cedere a tutte quelle baggianate sull'esistenza di dio (che se esiste, è anche un bel po' sadico, ecco. Grazie di niente.)

Stamane mi sono sentita un attimo così, per qualche ora. Che cazzo.
Umore grigio perché una ragazza italiana, qui a Bangkok, che ancora neanche conosco di persona, ha perso il padre da un giorno all'altro. E anche se io filosofeggio e filosofeggiavo quando era mancato il mio, di padre, quando mi dicevo che la morte è parte della vita, e che siamo fatti di stelle, e che mi ci sono fatta un tatuaggio, su questo filosofeggiare... Nonostante tutto ciò dico: minchia. Non sono ancora arrivata al calmo distacco che vorrei su questo tema, e credo che non ci arriverò mai. Alcuni giorni, si sta di merda. Punto.

Umore grigio perché a volte le città grandi, che dico sempre di amare, che in generale amo, mi stancano. Perché Bangkok mi stanca. Mi stanca il traffico, mi stanca dover contrattare con gli autisti del mototaxi. Mi stanca che non è piacevole camminare. Mi stanca che ci sono un sacco di maschi a caccia di figa facile. Mi stanca che ci sono un sacco di donne con la minigonna giropassera. Mi stancano i locali col dress code, di cui non mi frega un cazzo, dove non vado neanche, ma oggi mi stancano. Mi sfinisce l'attenzione alla forma di questa città, sembra di essere tornata a Milano. Mi stanca non parlare il thai.
Mi stanca non essere in Europa. Mi stanca vivere in un paese dove mettono la formaldeide sul cibo e nessuno si arrabbia, mi stanca che da che vivo qui mangio animali quasi ad ogni pasto perché è parte della loro cucina, e vabbuò, però che cavolo. Mi stanca tutto il latte che bevo perché in quello di soia mettono quantità poco sane di zucchero, e non ho i soldi per il latte di soia importato, e poi come fai a sapere che non è latte di soia ottenuto distruggendo le foreste brasiliane, e mi manca il latte di soia austriaco fatto di soia austriaca senza distruzioni di foreste pluviali in Sudamerica. Mi manca il controllo sul cibo che mangiavo che avevo in Europa. Mi stanca la ricerca costante della mia nicchia di calma in una città che calma non è.

Mi stanca poter parlare con I. e F. solo su skype, che una è a Trinidad e l'altra a Vienna. Mi stanca la mia mente che mi chiede come staresti ora, se vivessi a Montevideo o Barcellona? E io a risponderle, Di sicuro sarei più povera e mi dovrei ingegnare di più per fare soldi. Che è il motivo per cui abbiamo scelto Bangkok. Però potrei di nuovo parlare con tutti, dal presidente Mujica al muratore che si fa il mate in pausa sul mare. E non dovrei fare un lavoro che mi sta sulle palle perché mi dà un visto. Mi stanca non avere tutto il tempo che mi va con l'Asburgico. Mi stanca sapere che la prossima volta che potremo fare un viaggio insieme sarà in primavera prossima, perché a Natale devo tornare in Italia. Perché della mia famiglia, come al solito, non è che verrà a trovarmi qualcuno. 

Probabilmente sto così perché non sto bene, perché ho passato tre giorni a lottare con la burocrazia italiana e quella thai, perché oggi doveva essere una giornata piena e bellissima e divertente, e invece delle cose che volevo fare ne ho fatta solo una, purtroppo. Perché ho perso uno dei miei orecchini turchi, camminando verso casa, e lo so che è solo un cazzo di orecchino. Ma viene da Istanbul e a me piaceva. E ora chissà dov'è. 

Umore grigio perché ripenso ad alcuni posti del mio viaggio e penso che ci vorrei tornare, perché ci sono stata bene. Perché ho visto l'Asburgico in uno stato di calma in cui l'ho visto poche altre volte. I ricordi funzionano a cascata, e da un chattare su facebook con una ragazza conosciuta in Ecuador, si arriva in fretta a ricordarsi della finca dove io ho scavato trincee e brandito machete, e l'Asburgico, che odia le pulizie, ha fatto le pulizie per giorni quasi senza lamentarsi.

foto: Nat
Pensi a quello e pensi alle persone che vivevano lì, che erano gentili, al cane Cejas, al fiume che scorreva dietro la casa, alla stanzetta condivisa con l'Asburgico. Alla biblioteca con vista sulla giungla dove tutti si addormentavano dopo il lavoro. A quella ragazzina francese innamorata di un cinese, che ora vive in Cina, e sta pure per sposarselo, il cinese. Passava pomeriggi interi a imparare caratteri, paziente, in silenzio. Un'altra persona gentile e dolce che ho incontrato nel mio viaggio. Giovanissima, ma matura, ed intelligente.

foto: Nat. La vista dalla sala di lettura. 
Pensi a tutte quelle persone, luoghi e cose, e ti chiedi che cavolo ci fai in una metropoli di dodici milioni di persone, dove ti appresti a fare un lavoro che non ti piace, con una giunta militare al governo. 

Pensi alla ragazza con cui parlavi prima su facebook, dolce e interessante anima con sangue francese, basco e kabyle, che finito il suo dottorato è rimasta in Ecuador e ora vive in un paesino vicino a Quito. Ha aperto un caffè con negozietto, insieme a quell'artigiano catanese di cui si era appena innamorata, o si stava innamorando, quando l'hai incontrata tu. Anche lui dal cuore morbido, avevi comprato i suoi orecchini a forma di luna, fatti con materiali di riciclo, e quando ha visto il tuo amore per le spirali, ti ha fatto un anello di rame nel giro di due minuti, seduto sul sagrato di una chiesa nel sud dell'Ecuador, con le sue scarpe fatte a mano, fatte da lui. Uno degli incontri più piacevoli, stimolanti e che ti sono rimasti in quindici mesi di viaggio, questi due. 

Probabilmente starò meglio domani, se riesco a fare le cose che ho in mente di fare, se mi smettono i crampi e la nausea e la debolezza. Però... A volte me lo chiedo, che cavolo sto facendo. 

Già a vedere sta foto mi sto riprendendo. Anche le metropoli hanno fascino. Tanto. In effetti.
Domani vedrò una delle sole due donne in questa città che posso considerare una specie di amica, e ne sono contenta. Mi manca. Se c'è una cosa di cui mi sto rendendo conto, è che io, dei conoscenti, non me ne faccio proprio un cazzo. Sono allergica al chiacchiericcio, che non è da me, ma tant'è. Ho già detto che negli ultimi mesi sono in una fase piuttosto introversa, o quantomeno dove cerco calma e faccio yoga come non ne ho fatto mai prima. Accetto questa fase e spero che passi... Perché vivere a Bangkok senza darsi al chiacchiericcio è difficilissimo. 
Foto: Mamchiloe.cl
Sto leggendo Francisco Coloane. Vi ho detto tutto.
Ora, molti di voi che non mi conoscono probabilmente pensano che io sia una tipa intrepida e coraggiosa, che va e viene senza paura. In realtà: no. Per niente. Me la faccio sotto.
Avrei sempre voluto viaggiare da sola, ma tra amici vicini che venivano con me, amici lontani da andare a trovare, e fidanzati zingari come o più di me, alla fine, da sola, ho viaggiato pochissimo. Giusto un poco quando vivevo in Turchia, e neanche tanto, perché non avevo molti soldi da spendere, all'epoca.

Quindi.
La mia settimana da sola a Bali è stata una delle prime volte che sono stata a spasso da sola molto lontano da casa, senza l'Asburgico. Ho passato il primo giorno a riprendermi da questo concetto, perché nonostante siamo insieme da sei anni e nonostante mi tiri fuori dagli stracci, talvolta, io l'Asburgico lo amo, e mi mancava, e mi sentivo perduta come la prima volta che i miei mi hanno abbandonata nella perfida, piovosa Albione, dicendomi: impara l'inglese, ciao. 
Almeno ho compiuto le mie elucubrazioni con questa vista dal mio ostello a 10 euri a notte:

La vista dall'ostello dei Fratelli Grugno, gli uomini meno sorridenti di tutta Lembongan.
Poi ho conosciuto le ragazzette brasiliane che dicevo qualche giorno fa, che mi hanno tenuto compagnia e che, avendo dieci anni in meno di me, e venendo da lontanissimo, mi hanno tempestato di domande sul viaggiare e sull'Asia e sulla vita, facendomi sentire a) vecchia ma b) anche una donna molto saggia e piena di esperienza delle cose. Una donna di mondo, ecco. 

Che cazzo, in effetti dopotutto sono stata in quasi trentacinque paesi diversi, però poi mi concentro sul fatto che faccio male le divisioni per calcolare le valute, e mi sento come una sbarbata che verrà fregata ad ogni passo, anche se poi non succede (ma questa insicurezza è il motivo per cui non sono ancora andata in India, sapevatelo.)

Insomma, dopo il primo giorno in cui le brasileñe ed io prendiamo un barchino per fare snorkelling, finiamo in un canale burrascoso che decoriamo del nostro vomito, per poi non vedere neanche quelle cazzo di mante giganti, decido che ora basta. Mi prendo una bicicletta, e vado almeno alla spiaggia vicina, senza benzina e senza finanziare il nemico (gli autisti balinesi.)

Inizio a pedalare, e prima finisco in un villaggio di simpatici pescatori e coltivatori di alghe, e poi in un bosco di mangrovie.

La gente del villaggio di pescatori e coltivatori d'alghe è la più carina dell'isola.
Esco da quello e finisco in una strada che attraversa le discariche dell'isola, per poi arrivare a una spiaggia bellissimissima ma senza ombra, praticamente dall'altro lato dell'isola, sentendomi Natalia Cipollini perché che cazzo, mi ci sono volute tre ore di bici con salite, per arrivare lì. La condizione delle strade, per darvi un'idea della situazione:

Discarica intorno e strade curatissime. L'interno di Lembongan.
Sulla scogliera, ho incontrato un americano che sosteneva che dovrei essere rinchiusa, perché mi rifiutavo di avere un motore sotto il culo. Mi sono sentita come una delle Spice Girls, cioè molto girl power. Tanto che quando l'americano mi ha detto, ti faccio una foto, ho preso subito la posa da girl power delle ragazze thai: sorriso siemo, e segno della vittoria. Segue una diapositiva, strappo alla regola che di foto mie qua non ce ne sono mai.

Impolverata, conciata, ma felice. Se ce la faccio io, ce la fate pure voi. 
Continuo e continuo, scendo dalla bici per salire a piedi sull'unica montagna di tutta l'isola, in cima alla quale incontro un signore indonesiano che ha aperto un baretto con del caffè divino per tutti quelli come me, e un graphic designer tedesco che ogni giorno lavora nel bar dell'indonesiano col suo computer. Dico al tedesco di andare in Birmania, la prossima volta che deve lasciare l'isola per il visto, e scendo. La sera, esausta, guardo il tramonto e mangio nel tendone di una signora che fa un sambal così piccante da farmi tossire abbastanza da intrattenere tutto il tendone, finché un signore di lì non si preoccupa, e inizia a percuotermi sulla schiena, per salvarmi la vita, dice.

Ecco a voi Azzurra. Il bolide senza freni. 
Il giorno dopo, giro all'inverso. Colazione con spremutona gigante di bacche e muesli al baretto del francese, e parto su per la montagna. La prima spiaggia a cui scendo, orrenda, rovinata. Arranco su per il crinale per tornare alla strada smadonnando, e incontro due danesi che, mossi a pietà dai loro motorini, mi regalano una salviettina umida, e mi dicono di una spiaggia un po' più in là che hanno trovato, di difficile accesso, ma bellissima. Seguo le loro indicazioni, e trovo la spiaggia giù da un crinale verticale. Scendo praticamente di culo, e mi ritrovo davanti a una spiaggia bianca, bellissima, con solo due (2) altre persone sopra, una coppia franco-inglese con cui chiacchiero per ore, condividendo disperazioni apocalittiche sul destino del pianeta invaso dal pattume, e consigli su come imbucarsi negli alberghi di lusso fingendosi ospiti (lui è un professionista di quest'arte.) La spiaggia, però, valeva la pena di quasi fracassarsi rovinosamente giù per il crinale: 



Lascio la spiaggia, e decido di tornare. Risalgo l'ormai famosa montagna per andare dal mio amico del baretto, dove divoro due toast, un brownie e un caffè, perché la spremutona col muesli non era molto grande, e incontro un graphic designer neozelandese, che pure lui lavora lì (il caffè Two Towers ha anche ottimo internet, per quello vanno tutti lì, questi che fanno il telelavoro.)

Inizio a scendere, e mi accorgo che non mi funzionano i freni. Molto bene. La discesa è ripidissima, quindi inizio a camminare. Sulla strada, incontro un gruppo misto italo-franco-austro-tedesco, che mosso a pietà, mi ripara almeno uno dei due freni, e mi dice, vieni a cena con noi, stasera? Ci sono andata e il giorno dopo ho girato tutto il giorno con loro in motorino, impolverata ma non sfiancata, ma quella è un'altra storia. 

Insomma, in due giorni e mezzo, io che sono francamente una persona fuori forma o comunque molto normale, ho fatto circa 9h in bicicletta, su sterrati, salite, e strade di qualità come quella che avete visto. Sono arrivata alla spiaggia dove non pensavo sarei arrivata, da sola, incontrando due serpenti, vari granchi giganti che vivono nel fango e attraversando discariche, tutto da sola. Quindi...




Ma il numero di pagine viste fino ad ora, con tutti quei tre? Sarà la botta di sonno di metà pomeriggio, ma a me sembra una figata pazzesca. 

Vado a lavorare. Ieri ha piovuto per dieci ore di fila, a catinelle. Ora è grigio e minaccia pioggia.

Una delle cose che ho fatto a Bali è stato trovare delle ballerine Crocs, che sono molto più belline di quanto immaginiate, molto popolari in SE asiatico perché anche se hai l'acqua alla caviglia non devi preoccuparti se ti si rompono, poi le lavi, e sei carina lo stesso.

Ne ho comprate tre paia di colori e modelli diversi... Mi sa che ora mi tocca inagurarle, e portare con me le scarpe phighe per la lezione.

Uff. La stagione delle piogge è l'inverno di queste parti... Quando uscire di casa diventa difficile e vuoi restare sul divano :)
Eccomi, dunque. Tornata in quel di Bangkok, mi rallegro della ritrovata varietà alimentare. Il cibo indonesiano è buono, certo, ma la varietà non è il loro forte, e venendo da una delle città più ossessionate dal cibo al mondo, alla quarta volta che mangi nasi goreng o satay, dici, vabbè, ora datemi altro, però. 

Adesso vado controcorrente, e vi racconto perché NON dovreste andare a Bali, e perché tutte le cose che vi dicono sul paradiso terrestre sono vere solo se vi chiudete in un resort (che quindi potrebbe pure essere a Diano Marina, visto che siete chiusi in un resort, e potete anche risparmiare i soldi del biglietto. A meno che non andiate in un resort dall'architettura molto balinese, nel qual caso, vi perdono, perché almeno ha un aspetto diverso. Siete anche giustificati se fate surf: allora andateci, prendetevi un motorino, spegnete il cervello e salite sulla tavola. A voi piacerà.)

Dunque, Bali. È bella, ma le isole intorno ad essa lo sono di più. Considerato l'entusiasmo di molti, quando dicevo che sarei andata a Bali, mi aspettavo di meglio. Mi spiego: Bali è l'esempio dello scempio che il turismo può compiere, almeno nel sud e nelle zone più vicine all'aeroporto, complice la vicinanza all'Australia che la rende praticamente la loro Ibiza (rabbrividiamo.)

Ubud, ad esempio, è trafficatissima, e infestata di autisti rompicoglioni, che una volta interpellati sul prezzo per tornare al paesello dove stai tu, sparano cifre ridicole per il sudest asiatico. Da quelle parti, dire: stai scherzando, vero? non porta al passo successivo, che è la contrattazione, come altrove. No. Perché sanno che arriverà un australiano pieno di soldi che pagherà senza chiedersi se lo stanno turlupinando o meno. La verità è che per questa parte del mondo, questi autisti praticano una cresta pazzesca, avvantaggiandosi del fatto che a Bali non c'è trasporto pubblico, e che se non sei un australiano cotto dal sole e con la birra in corpo a partire dalle ore 12, non avrai voglia di prendere un motorino su quelle strade schifose per andare da una città all'altra, senza casco e con i balinesi che guidano a 200km all'ora. Quindi: i trasporti sono il tasto dolente di quest'isola. Che infatti ha traffico come Bangkok alle sei del pomeriggio, perché c'è un motorino per abitante, e un'automobile ogni due turisti, più o meno. Bravissimi. Tutto molto sostenibile, tutti con lo sguardo al futuro del turismo sull'isola, vedo. (Perché come ha detto un inglese perplesso quanto me, se la continuano a sputtanare così, tra dieci anni verranno solo gli australiani tonti, e il resto del mondo andrà a Sulawesi.) Sgrunt.

Foto: Pinn
Cioè: il traffico è tale, in alcune zone, che addirittura un surfista portoricano mi ha detto: io, prima di attraversare la strada, mi faccio il segno della croce. E non è che Porto Rico sia la Svizzera, quanto a sicurezza stradale, quindi nonsosemispiego.

Molti, quando a Bali cominciavo il mio lamento di donna infastidita da questi problemi, mi dicevano: esci da Ubud, ci sono le risaie ed è calmo. 

Esco quindi da Ubud, a piedi con l'Asburgico. Entrambi già estremamente perplessi da Baliilparadisocheparadisoneanchetantodevodire. Passeggiamo, e vediamo risaie. Però: so' risaie. Coi terrazzi. Eh, e quindi? Ce le hanno anche in Vietnam. Ce le hanno anche nelle Filippine, che non ho visto ma lo so che le hanno anche loro. Sono risaie, perdiàna. Da qui la teoria dell'Asburgico: Bali è fighissima se non hai mai visto altre parti dell'Asia. Teoria confermata dai miei incontri successivi, ad esempio con una ragazza americana, viaggiatrice piuttosto esperta delle Americhe dal Canada alla Patagonia, ma alla sua prima volta in Asia: a lei, 'ste risaie fuori da Ubud, ovviamente sono piaciute un sacco.

foto: Nat. Una risaia. 
Non è snobismo, ma veramente, risaie e colline verdi sono paesaggi che potete trovare in tanti, tantissimi altri posti, e come ha detto un altro insegnante che ho incontrato sulla mia isolina dove sono fuggita dopo una settimana, lui che abita in Vietnam: le risaie balinesi non sono niente rispetto a quelle del nord del Vietnam. Eh. Quando ha detto così lo volevo abbracciare (sull'isolina ho poi incontrato un sacco di gente che la pensa come me riguardo a Bali come troiaio sopravvalutato, almeno parzialmente, il che è ottimo perché mi ha fatto sentire meno stronza snob.) 

I templi: sono belli, niente da dire. Ma tu, straniero, non ci puoi entrare. Il che è un bene perché evviva che proteggono la loro religione, però per gli amanti dell'architettura è un peccato, chiaramente. Almeno, hanno delle belle porte. 


foto: mia. Una porta, ad Ubud. Occhèi, è bella, sono d'accordo. Mica tutto male, lì, eh.

Le spiagge: sono zozze, perché i balinesi lasciano le offerte per gli spiriti, i quali, essendo spiriti, non è che si vanno a prendere il pacchetto di cracker. Quindi: gli uccelli rompono la plastica, mangiano il cracker, e le cartacce volano felici, o si arenano sulla spiaggia, o soffocano una tartaruga. Io lo dico sempre che dalla religione non viene niente di buono, e sono sicura che le tartarughe soffocate dal pattume delle offerte sarebbero d'accordo con me. 
Ah, e vi dico anche che sulla spiaggia vicino al nostro villaggio abbiamo, purtroppo, trovato il cadavere di un cucciolino di cane. Su questa spiaggia abbiamo passeggiato per tre giorni, e il cucciolino era sempre lì a decomporsi. Come dire. Mi mancava, il canino morto ignorato da tutti quelli che stanno lì a fare le donazioni al tempio. Gulp. 

Il discorso cambia sulle isoline al largo di Bali: è almeno un po' più tranquillo che a Bali, nel senso che giacché sei su un'isola, nessuno cerca di spillarti 20€ per andare alla città vicina. Manco fossero le limousine di Uber, no? 

Insomma, partito l'Asburgico, io spazientita dalla folla me ne sono andata a Lembongan, e ci sono stata benissimo. All'improvviso, gli altri viaggiatori hanno ricominciato ad essere soggetti con cui puoi attaccare bottone e poi andare a farti un giro, e non importa dunque se viaggi da sola o meno, invece che i turisti violacei che se gli parli ti guardano come a dire: cazzovuoi? Lì ho incontrato un sacco di altri prof d'inglese del sud-est asiatico in gita, un cuoco italiano emigrato da un sacco di anni, un cuoco québécois in libera uscita, un'insegnante di yoga tedesca e tre ragazzette brasiliane, tutti perplessi da Bali, tutti a dire: da qua non mi muovo, se non per andare a Lombok, l'isola vicina, a Flores, Sulawesi, o alle Gili, che sono pezzetti di terra piccini e tranquilli, a parte metà di una delle tre che è anche quella la Ibiza d'Australia, ma facilmente evitabile.

Anche su Lembongan il pattume regna sovrano, ma lo nascondono nella giungla. Io l'ho visto, perché non volendo motorizzarmi, ho preso una bicicletta, e mi sono detta: faccio un girellino intorno a casa, e poi sono tornata dopo sei ore, impolverata, zozza e felice: questo è successo per due giorni di fila, e alla fine conoscevo tutta l'isola, e anche la piccola Ceningan che è connessa a Lembongan da un traballante ponte sospeso. Alle mie avventure da Natalia ciclosofica magari dedico un altro post. 

Sono certa che avendo più tempo a Bali si possa scappare dal circuito degli autisti avidi e dei turisti alcolici... Ma purtroppo l'Asburgico aveva solo una settimana a disposizione, e con lui non ho potuto farlo. 
Concludendo: se state prendendo in considerazione una gita in Asia, se non è la vostra prima volta, Bali lasciatela perdere. Avrete molto déjà vu e un bel po' di delusioni. Basta aver visto un po' di Asia per trovarsi a dire: embè? Sfatiamo il mito, per favore. 

Una bella fetta di Bali è l'esemplificazione del male che il turismo può fare a un'economia agricola: riduce gli uomini ad autisti, le donne a bottegaie, il posto a un luogo che vive di turismo e basta: la gente non si pone limiti fino a sputtanare tutto completamente. E poi sapete cosa succede? Che se il posto si sputtana troppo, autisti e bottegaie si ritroveranno senza lavoro, perché in tanti cercheranno altri lidi meno rovinati. Fossi l'organizzatrice di un master in turismo, manderei gli studenti nella parte meridionale di Bali per fargli vedere cosa NON si deve fare. L'Asburgico, esasperato, ha più volte detto, forse i bhutanesi hanno capito tutto, tenendo noi fuori con una tassa da 200$ al giorno. Forse hanno ragione, è vero.

Sono certa che andando a nord e a ovest il panorama sia diverso, ma so che in molti non lo fanno e mi secca da morire la pubblicità che viene fatta a Bali come un paradiso in terra, anche grazie a Eat Pray Love e tutto il resto. 

Non è un paradiso, è un bazaar. Se volete il paradiso, siate pronti ad allontanarvi dall'aereoporto di almeno un'ora e mezza, pagando prezzi ridicoli. Allora, poi, una specie di paradiso forse lo troverete... Ma allora perché non andare in altre parti del sudest asiatico, dove si può fare la stessa cosa per meno soldi e con meno australiani panciuti e tatutati intorno?
Tanti auguri, blogghe!

Ancora qui, nonostante sia stato impolverato, ignorato e tutto il resto, il blogghe è comunque sopravvissuto a 15 mesi di viaggio, un trasloco intercontinentale, e varie menate, seghe mentali e deliri per già tre anni.

Mica me n'ero accorta, io, ve lo dico.

Tra l'altro non so neanche quale sia il compleanno esatto del mio blog, perché il mio ottimo template attuale non mostra le date. Utilissimo. 

In ogni caso, se volete dare un'occhiata a come e perché ho cominciato questo blog (era luglio a Vienna, e faceva un tempo di merda, banalmente) potete guardare qui

Quasi quasi quando torno da Bali me li leggo pure io sti post vecchi, così mi ricordo di perché sono partita. Perché nonostante le madonne, ora che vivo in un posto più conservatore anche dell'Italia, rimpiango il menefreghismo viennese in fatto di stile. E' vero, poi a volte vedi certe donne che sembra che invece che al lavoro stiano andando a scalare il K2, ma hai molta meno pressione di essere phiga a Vienna che a Bangkok. E' anche vero che però qui è molto più facile essere femminile, perché fa caldo e quindi non mi si congelano i piedi ogni volta che metto le ballerine. A Vienna neanche lo possedevo, un paio di ballerine.

Vabbè, ogni posto ha i suoi pregi e difetti. Suonerà come uno stereotipo, ma è la pura e semplice verità. Devero.
Torno a girellare. 
Bali bellissima eh. Poi vi dirò. 
(pubblico questo post da Bali, perché sono rincoglionita e l'ho lasciato lì scritto senza pubblicarlo. Ma ha una decina di giorni. Ma continuo la dieta da internet, una volta cliccato "pubblica.")

Vi ricordate che quando vivevo a Vienna, ogni tanto postavo foto di posti che volevo vedere (li trovate tutti cliccando sulla tag wanderlust)? 
Pensavo che fosse perché ero circondata dal grigiore viennese, che a volte non riuscivo a sconfiggere neanche in estate.

Invece no, la wanderlust non mi abbandona neanche vivendo a 12h d'aereo da casa. E' un problema cronico. Il problema, signore mie, è che io sono affascinata da quel che è diverso da quel che mi circonda di solito. 

E siccome il 27 giugno è stato l'anniversario del mio atterraggio a Shanghai dopo l'avventura in Latinoamerica, adesso l'Asia è diventata la (affascinante, colorata, indecifrabile e quindi ancora interessante) norma. Quindi: ora sono affascinata dall'Europa, ma quello già lo sapete. E poi ora ho visto queste foto meravigliose di una cittadina in Marocco chiamata Chefchaouen. Mai sentita? Neanche io, nonostante voglia andare in Marocco da che avevo sei o sette anni (colpa del solito padre vagabondo.) 

Perché ci voglio andare, dite?

Per questo. 









(foto: Mario Tome, Claude Renault, Beum Photography, Cherry Bharati, Oneworldtwoexplorers, Olga Osipova)

Io, che ora vivo in un paese dove le cose vecchie sono solo templi o palazzi coloniali del diciannovesimo secolo, se vedo cose del genere, prima svengo, e poi mi dico che devo assolutamente rifare un viaggio come quello che ho già fatto. Tanto non sarò mai ricca, tanto vale almeno essere ricca di esperienze nel cuore, no?
Ciao amichètti e amichètte.

Scrivo questo post con una settimana di anticipo per dirvi che non sono scomparsa di nuovo nelle strade di Bangkok, troppo sovrastimolata da tutto per scrivere perché non so dove iniziare.

Sono scomparsa, ma in un posto un bel po' più pacifico. Sono a Bali. Torno l'11 luglio.

Amazingpics.com
Mi hanno detto che a Bali internet fa schifo, e quindi mi premunisco, anche perché sinceramente non vedo l'ora di leggere tanti libri e camminare per le risaie o che so io.
Quindi voi commentate pure e andate sereni che pubblico tutto quando vado su internette. Occhèi?

A presto. Vi lòvvo molto e cercherò di mantenere questo blog in vita, anche se non fa freddo come a Vienna.