L'anno scorso, durante la gita, uno dei posti preferiti miei e di M. è stato Kampot, in Cambogia. 

Kampot è un posto piccolissimo - però è anche molto vitale. Si sta bene. E' uno di quei posti dove senti il battito del cuore rallentare. Con noi, a Kampot, c'era anche un avvocato inglese che aveva appena finito di occuparsi degli elefanti per tre mesi: è venuto a Kampot con l'idea di stare un solo giorno, è rimasto anche lui molto più a lungo. 

C'è un fiume calmo e lento, con un malandato ponte per attraversarlo, e quando dico malandato, intendo con i buchi grossi abbastanza per inciamparci, e vedere la tua scarpa cadere nel fiume. Al di là del fiume, strade sterrate, risaie, qualche vacca, un tempio e persone gentili. Al di qua del fiume, il nucleo della cittadina, con altre persone gentili, e qualche decina di espatriati, alcuni a Kampot da anni.

Se prendi una barca, e ti fai un giro su per il fiume, il paesaggio è questo. 

Su per il fiume.
E se invece attraversi il ponte malandato, il paesaggio si presenta più o meno così:

Al di là del fiume / 1

Al di là del fiume / 2 (NON ho modificato il colore dell'erba. E' così di suo. Meraviglia)

Al di là del fiume / 3

E questa era la vista dal nostro balcone:

Tramonto kampottiano. 
Solo a guardare le foto ho voglia di tornarci, ragazzi. Anche perché ci sono belle persone, lì.

C'è un tedesco fricchettone, a occhio sui 45 anni, sposato con una khmer, hanno un caffè chiamato OM (nel senso di Organic Matters). Questo tedesco è stato la prima persona a raccontarmi cos'è la moringa, e perché è una cosa buona per i nostri umani corpicioni. E' anche un uomo che ama molto, moltissimo il basilico cambogiano, che è simile a quello thai ma non uguale. 

Ci sono un fratello e una sorella australiani, se ricordo bene, che hanno aperto il Cafè Espresso, e che sono dei veri nerd del caffè. Ma tanto nerd. E che hanno mantenuto la casa mezza diroccata com'era, e hanno decorato i muri con dei bei graffiti a tema cambogiano.

C'è Ecran, proprietà di un francese ma gestito da cambogiani a cui qualcuno, forse il francese, forse una famiglia sino-cambogiana di Phnom Penh, ha insegnato a fare i pulled noodles, praticamente degli spaghettini freschi sottili sottili, che poi si mangiano in una zuppa con gli wanton. E' una cosa cinese, ma a Phnom Penh era molto comune, deliziosa. Il posto si chiama Ecran perché sotto fanno le zuppe, e sopra hanno una sala per vedere i film. Hanno un programma, ma puoi anche noleggiare la sala e i DVD con i tuoi amici.

C'è  Kepler's Books, (video) dove ho trovato con M dei libri fighissimi, per una cittadina così piccola. Uno, mai sentito prima, si chiamava The Geography of Thought, e ve lo consiglio, specie se lavorate in Asia, con asiatici, o se anche solo siete curiosi. Scoprirete che molti europei, secondo alcune ricerche, hanno una mentalità esattamente a metà tra quella individualista dei nordamericani e quella collettivista di queste parti. Bel libro, e bella libreria, che vende anche delle krama cambogiane prodotte in zona. Libraio gentile. 

C'è Daniel di Bocatattoo, nostro compagno di autobus con polli verso il confine thai, che alla fine è tornato a Kampot, e ha aperto uno studio di tatuaggi lì. Personaggione, lui: portoghese, ha studiato arte a Londra, poi ha lavorato con le comunità indigene in Brasile, e viaggiato in Sudamerica. Sta con una palombara inglese, e ora vivono entrambi felicemente a Kampot.

E poi, ci sono i ragazzi di Epic Arts Cafè. Trattasi di una ONG inglese, che si occupa di disabilità di vario genere. Nel caffè, lavorano solo persone sordomute, e quindi il menù è un foglio dove ordini facendo le crocette. Sono gentili, lavorano bene, e cucinano da dio. Epic Arts organizza anche corsi di educazione all'arte, cucina, lingua dei segni cambogiana e non, insegnano l'artigianato ai ragazzi disabili del posto, così che non debbano dipendere da nessuno e possano avere una propria attività. E' un'iniziativa lodevole, e funziona. 

A Kampot sono stata benissimo. Ci siamo rimasti per una settimana, e in quella settimana il tempo è scorso lento, lentissimo. Voglio tornarci, anche M. ne parla in continuazione: è il genere di posto ottimo per diventare il pazzo vecchietto occidentale con il cane e il bastone, praticamente. Magari finiremo lì, un giorno. 

Perché mi sono ricordata di Kampot proprio in questi giorni? Perché Daniel, il tatuatore, ha messo online un video realizzato dai ragazzi di EpicArts, dove alcune delle persone aiutate dalla ONG, come anche alcuni membri delle loro famiglie, ballano al ritmo di Happy di Pharrell Williams. E' un video meraviglioso, i sorrisi che vedrete vi faranno mettere tutto in proporzione, vedrete, anche se avete avuto una giornata storta. Almeno, questo è quello che è successo a me qualche giorno fa. Vi metto il video qui:


Sono bellissimi, o no? 

In Cambogia ho visto che ci sono un sacco di stranieri orrendi e un sacco di stranieri magnifici, intendo dire, stranieri che si adoperano per dare ai cambogiani strumenti per risollevarsi con le loro mani. E se cercate un po' di informazioni su chi era Pol Pot, chi erano gli Khmer rossi e che hanno fatto, capirete perché la Cambogia abbia ancora bisogno di aiuto, anche se sono passati più di 30 anni. Io di questi figuri avevo già sentito parlare a scuola, ma se non ne sapete niente, anche solo la pagina di Wikipedia sul tema è un buon posto dove cominciare. Mi sconvolge che non ci sia una versione italiana -- cosa che dice molto su quanto ne sappia, l'italiano medio, degli Khmer rossi (poco, o nulla.) Consiglio anche Fantasmi, il libro di Tiziano Terzani che raccoglie i reportage dell'epoca. Un calcio nello stomaco, ma chiaro ed efficace nel rendere le proporzioni dell'orrore. 

Oltre ai ragazzi di Epic Arts, mi vengono in mente anche il caffè e co-working space Kinyei a Battambang, messo in piedi da degli australiani ma ora gestito da cambogiani, che l'anno scorso sono stati così bravi da vincere la gara dei baristi nazionali, e che organizzano tour in bicicletta di Battambang e dintorni. 

O ancora, quelli di Peace Cafè a Siem Reap, che cucinano vegetariano, organizzano la monk chat per gli stranieri (incontra un monaco buddhista e chiedigli tutto ciò che vuoi sapere sul buddhismo, e che non hai mai potuto chiedere) e il doposcuola in inglese una volta alla settimana per i bambini e gli adolescenti di Siem Reap. A uno di questi doposcuola siamo andati anche io ed M., e vi dico solo che con una ragazzina delle campagne lì intorno ci scriviamo ancora le mail, quando riesce ad andare in biblioteca.

Se mi fermo a pensarci, mi rendo conto che la cosa che mi è piaciuta di più della Cambogia, insieme agli scalpellini di Angkor, sono stati i cambogiani stessi. Quando parli a quelli con lo zainetto da queste parti, in tanti ti dicono che la Cambogia è piena di stronzi imbroglioni... Per me non è stato affatto così. Ma d'altra parte, io mi sono trovata bene pure in Vietnam, che è l'altro posto che quelli con lo zainetto detestano (credo che sia tutto una questione di come ti approcci tu, uomo o donna con lo zainetto, nei confronti del mondo. Ma di questo discuterò un'altra volta.)

Conosco molte persone a Bangkok che lavorano nella cooperazione, e mi dicono che purtroppo in molti vedono la Cambogia come una causa persa, perché lo stato è corrotto, perché i vietnamiti hanno le mani in pasta in troppe cose, perché... Boh. Non lo so, sta di fatto che molte agenzie e ONG puntano sulla Birmania ora, lasciando perdere la Cambogia. 

Io ho avuto esperienze splendide in ambo i paesi, e spero che possano risollevarsi entrambi. Devo confessare che ho un debole per i cambogiani, però. Forse è perché ammiro la loro resilienza, il fatto che in così tanti di loro abbiano perso così tanto durante il regime degli khmer rossi, e che nonostante ciò non si siano persi in un pessimismo cosmico totale, nonostante i loro due grandi vicini, Thailandia e Vietnam, cerchino di fotterli praticamente ad ogni passo. Non lo so. Io, quando ho visto questo video, ho avuto subito voglia di tornare... Magari ci riuscirò alla prossima pausa estiva. Speriamo! 
Oggi, torno dal lavoro, dopo una pioggia che lévate. Ha piovuto tanto, tantissimo, genitori in ritardo a scuola che arrivavano con espressione biblica. Finito tutto nel giro di un'ora, ma quando piove qui, veramente, la butta
Quest'anno siamo al finire della stagione delle piogge, però ogni tanto fa questi colpi di coda pazzeschi... Ciononostante, non siamo ancora arrivati ai livelli del 2011:


Insomma, torno a casa, trovo il cortile allagato con acqua fino a un po' sopra le caviglie. Melrose Place è un bel posto, ma non è nuovo, e il cortile è costruito, come tante cose in Thailandia, un po' alla cazzo, quindi, se piove forte per più di venti minuti, è subito tempo di canotti. 

Entro nel cortile con zaino, casco, caffè e merenda in mano e non so bene come tenermi su i pantaloni. Inizio a zompettare senza preoccuparmi delle scarpe, che erano le Crocs-ballerine che mai prima di vivere qua avrei contemplato, e che ora contemplo come tante donne che vivono qua e non vogliono girare in ciabatte, né danneggiare delle belle scarpe in pelle.

Mentre io zompetto come una scema in giro per il cortile, creando simpatici rumori di sciacquettio, arriva una vicina di casa in motorino, neanche una dei miei vicini preferiti, non un'amica o che so io, no? Ad ogni modo, da lontano vede la mia difficoltà: fende l'acqua sul suo motorino, mi si accosta con uno sciacquettio, e mi dice: I take you to there! (sic) Lei è una dei miei cari giapponesi insubordinati, la conosco poco, ma so che è qui da tanto, che ha un bambino chiamato L. e che L. ha i riccioli, perché il babbo, anche lui abitante a MP, è israeliano. So anche che sono fotografi, e amici della coppia giappo-tedesca con pupa che mi vive a fianco. 

Io adoro vivere a Melrose Place. 
Questo appartamento mi piace tantissimo. 
Quello di Vienna mi piaceva perché era la mia cuccia con M, e ci ho passato tanti bei momenti, ma anche alcuni periodi inzomma. Non era silenzioso, o meglio, i vicini non lo erano, ma dava su un cortile senza vita, triste, una rimessa grigia, e siccome non c'erano alberi, non c'erano cinguettii né animaletti di alcun tipo.  
Quello a Milano, zona Tortona, era costosissimo, e vintage, diciamo vintage. Lì sentivo gli uccellini, nei giorni di sole vedevo le Alpi, e sempre potevo vedere le guglie del Duomo, in lontananza. E' stata la prima casa mia e di M., quindi anche se un po' scrauso resterà sempre speciale.
Quello di Istanbul mi piaceva perché era il mio primo appartamento da grande, senza mamma e papà. A Istanbul sentivo i gabbiani, i bambini che giocavano in strada, e le chiamate alla preghiera dalle tre o quattro moschee dei dintorni. 

Questo appartamento mi piace perché mi ci sono sentita bene subito, perché ho un balcone fiorito con un tavolino e due sedie, una poltrona che amo, delle beanbags e fuori, nel cortile, una piscina con il bordo di ceramica. Sdraiarsi su quel bordo di ceramica, in una giornata di sole, fa passare tutti i dolori alla spina dorsale.

Questo appartamento, e questo edificio, mi piacciono moltissimo. Come avevo scritto all'inizio, mi piace qui perché rende Bangkok un posto più facile per vivere. Melrose place ha quattro piani, tante terrazze e un po' di ruggine addosso. 

Viviamo tutti sempre con le finestre aperte, quindi magari di privacy ce n'è poca, ma non mi importa -- mi piace che casa mia sia aperta sul mondo. Mi piace sentire l'eco soffice dei dischi jazz del mio vicino argentino, che ascolta il pomeriggio quando arrivo a casa. O la bambina della mia vicina ridere e giocare (o piangere quando si schianta.) Mi piace salutare le signore delle pulizie, le guardie e l'omino della manutenzione quando arrivo, tanto che ho comprato una torta da dividere con loro il giorno del mio compleanno. Mi piace che ogni tanto si facciano le cene tra vicini, quando arriva qualcuno di nuovo, magari. Mi piace che il nostro edificio abbia una squadra al pub quiz del lunedì sera. La mattina presto vedo gli scoiattoli, e al pomeriggio sento gli uccellini cinguettare. 
Non credo sia un caso che molti abitanti di MP vivano qui da tanti e tanti anni, e non si schiodano, nonostante ci sarebbero edifici molto più chic e moderni in cui vivere.

Non ho mai vissuto in un posto così, prima. A Istanbul non conoscevo nessuno, tranne il mio coinquilino, e a Vienna conoscevo solo un paio di persone, ma c'era un grosso turnover di gente, l'unica costante era il notaio al piano di sopra, un signore austriaco dagli occhi azzurrissimi, cordiale ed educato. 

Credo che in parte la simpatia della popolazione sia dovuta al fatto che MP non si trovi su internet: ci arrivi solo se conosci qualcuno che già ci vive, e questo ovviamente seleziona magari un certo tipo di persone piuttosto che un altro, insieme al fatto che la casa non è moderna, e non si confà a chi vive sempre con l'aria condizionata accesa. 

E poi, siamo tutti dei randagi, qui. Di thailandesi, praticamente, non ce ne sono. Chi abita qui è europeo, giapponese, indonesiano, vietnamita, australiano... Ci sono anche un argentino e un colombiano, qualche nordamericano sparso. Quello che abbiamo in comune, tutti, è che siamo lontani dalla famiglia. E quindi, nella mia mente, alcuni abitanti di MP sono parte della mia famigliola bangkokiana, e quando li vedo, mi sento a casa. 
Ieri sera siamo andati in un bar nella mia amata città vecchia. E' una zona della città dove c'è spesso musica live, e anche un sacco di soggetti strani, che trovi molto di più in questi posti piccoli, che sarebbero fumosi se i gestori lasciassero fumare, e dove la birra e i cocktail costano poco.

Mi piace andare nella città vecchia, anche se non lo faccio spesso, perché è diametralmente opposta alle altre zone dove vanno spesso gli espatriati stranieri. 

A Thong Lo, per esempio, che è una zona moderna e a) cara b) abitata perlopiù da stranieri e c) fighetta, di solito ci sono stranieri bellocci, in camicina ben stirata, con gnocche di vario tipo sottobraccio: thai o straniere, ma tutte vestite bene. Truccate come auto rubate se thai, truccate più leggere se straniere, ma tutte con il vestitino, e la borsettina, e i tacchettini perché tanto, vanno e vengono in taxi, che camminare è da pezzenti, o matti.

Ora: io è raro che vada da quelle parti. E' piuttosto snob. Ricordatevi che io sono quella che si è presentata a un matrimonio in DocMartens, da giovane. E anche alla discussione della tesi. Quindi, a Thong Lo ci vado se mi invitano, o se c'è un buon ristorante da provare, e lì ce ne sono molti, anche se costa tanto a volte lo faccio, o... Non ci vado, semplicemente. Per me è pure lontano, e i posti non hanno molta... Anima, ecco. 

Poi, abbiamo la città vecchia. Che è un mix molto più eclettico, di sicuro con più carattere, almeno secondo me. Quando esci nella città vecchia, incontri:
  1. espatriati che non amano la fighetteria in stile Thong Lo
  2. espatriati che amano la musica live
  3. artistoidi di tutto il mondo
  4. turisti con lo zainetto vestiti con quei tremendi pantaloni con gli elefanti e altri orrori simili
  5. turisti con lo zainetto messi malissimo: ubriachi, drogati, o entrambi all'unisono, o intrappolati a Bangkok perché hanno finito i soldi e devono fare volantinaggio e similia
  6. hippie giapponesi
  7. hipster thailandesi
  8. vecchi occidentali rovinati che vivono qui da trent'anni (ne parleremo dopo)
  9. thailandesi eccentrici di varie fasce d'età
  10. thailandesi più amichevoli della media thai, perché a forza di stare a spasso coi farang, gli occidentali, hanno capito che europei e americani non sono la stessa cosa, e che in Europa si parlano un sacco di lingue e che siamo molto diversi gli uni dagli altri. Questi thai sono i miei preferiti perché sono quelli che fanno un sacco di domande sensate.
Ma veniamo a noi, all'acquerello.



Interno, notte. 
Sono con M. e un gruppo di amici, per salutare uno di noi che se ne torna in Australia. Gruppetto di sei persone circa, bar minuscolo, bellissimo, vecchio, con le sedie spaiate al di fuori e decorazioni a dir poco eclettiche dentro -- si va dal poster del New Orleans Jazz fest 2003 alle foto del re, passando per foto delle starlet thai degli anni '60. 

C'è anche un gruppo che suona musica blues: musicisti thai, cantante occidentale, vecchio, stramiciatissimo e con anni di alcol addosso, ma con una voce fighissima. E una maglietta con una colomba che dice peace and love. 
Ecco la diapositiva:

Adhere13 Blues Bar, Samsen Rd.



Il barista, oberato dalla quantità di gente, non ce la fa. Quindi vado a prendere io le birre per me e M. Al bancone, uno dei suddetti thai curiosi attacca bottone mentre aspetto, ci facciamo due chiacchiere e mi regala una patatina di gamberi. Simpatico, paffuto, gli dico che torno al mio tavolo perché gli amici mi aspettano e lo scarico con grazia.

Una mezz'ora dopo, torno al bancone per una birra e un mojito, che ci vuole un attimo per prepararlo. Il mio amico thai paffuto è stato raggiunto da un suo amico occidentale. Età, sessant'anni o forse di più, secco, capelli bianchi e lunghi, spettinato, camicia nera a pois bianchi, occhi azzurrissimi. Segue la conversazione tra noi tre.

Thai Paffuto: Nat, questo è il mio amico. E' francese.
Amico Francese (alticcio, in inglese) ciao, mi chiamo Jean. E tu?
Io: Natalia, piacere.
AF: cosaaaaa?
Io: NATALIA!
AF: eeeeeeh?
TP: Natalia! Jean, ma sei proprio un vecchio, eh!
Io (in francese) Sono Natalia. Mi chiamo Natalia. Capito?
AF: AH! Sei francese?
Io: No, italiana.
AF: Ah, meno male. 

Mi stringe la mano, trasforma la stretta in un baciamano.
Mi tiene la mano. La gira. Mi annusa il polso. Mi guarda, e 

AF: profumi di vaniglia.
Io: eh già. 
AF: meraviglioso. 
Io: grazie! 
TP: Jean, eeeh come al solito eh..
AF, ignorando TP: I'll make love to youuuu (cantando)
Io: ...
AF: with the vibrations of music... 
Io: sollievo.
AF: Don't worry. Ballerai con me, dopo?
Io: mah, guarda, vediamo, dai. 
TP: ma dove sei seduta? Resta con noi!
Io: eeeeh, ma il mio amico torna in Australia, domani...
TP: oh, occhèi, allora ci vediamo dopo.
AF: a dopo, ma belle. 

Mi riprende la mano, la fissa, l'annusa, mi guarda con i suoi occhi azzurrissimi, tenendomi la mano, e mi dice: tes mains. Tes mains.

Mi sa che gli piacevano le mie mani. 

Io adoro incontrare questi soggetti. Ed è nella città vecchia, che li trovi, i soggettoni, mica nella fighetteria in vetro e acciaio di Thong Lo... 
Non sono esaltata. Deppiù. 

Andrò al paese da cui provengono alcune delle mie persone preferite qui. Due dei miei bambini preferiti a scuola. Alcuni dei miei cibi preferiti, e uno scrittore, anzi due, che mi piacciono un sacco.

Sono esaltata, anche se mancano mesi e mesi e mesi e mesi e non ho mai comprato un biglietto così presto, tipo che mi sento pure un po' sfigata da quanto presto l'ho comprato: ma dovevamo battere sul tempo tutti i giappo-thailandesi che vogliono tornare a casa per il capodanno buddhista, come non si stancava di ripeter la nostra amica Y.... Quindi, abbiamo scucito i talleri, ma il biglietto è nostro! Non è economico, affatto. Ma costa comunque la metà che andarci dall'Europa, e sono comunque otto ore d'aereo, da qui.
Quindi...
Va bene così!
日本は私が来ています!
Che per quanto ne so io, magari vuol dire mangerò tua madre a colazione. O forse, Giappone, arrivo! Figata, figata assoluta. Speriamo che mi piaccia, se no sapete che delusione?

Siccome sono nerd dentro, ieri sono già andata in libreria, alla ricerca di una guida. Mi piace la parte generale delle guide, dove praticamente ti danno capitoli tipo "Storia giapponese per idioti." Però avevano solo guide per Tokyo, e io a Tokyo non ci andrò, ho invece comprato questo, e scusate se non ci ho voglia di andare a stanare il telefono, uso la webcam del computer e pazienza se è in negativo:


Per il resto: sono viva, lavoro assai, i bambini mi danno ggioie e dolori, dormo troppo poco, e quando arrivo a casa, mannaggia, non ho mai voglia di scrivere. Cosa che mi scoccia perché di cose buffe o interessanti o riflessive da scrivere ne avrei... E poi si accumulano, e non sai dove cominciare, e domani e domani, mañana, e finisce che non scrivo mai. La mente debole è debole assai, al momento. Mancanza di sonno e di tempo. Uffa.