Presa blu.

Non so cos'ho oggi. O meglio, lo so. E' il lato b dell'estate - ho meno lavoro, sono meno esaurita, e penso di più. Molto di più. 

Sto per lasciare Vienna dopo quasi tre anni, dove sono arrivata con pochi soldi, zero studenti e zero contatti. Mi sono sbattuta, ho sorriso, insegnato, sorriso ancora, insegnato sempre di più e sempre meglio, e sono arrivata a una situazione ottimale.
Situazione che, giustamente, durante una crisi economica senza precedenti dal dopoguerra, adesso prendo e interrompo, perché ho voglia di avere di nuovo un periodo meno strutturato, come prima di qui.

Penso perché tra pochi giorni ci saranno due anniversari. Tutti e due quattro anni. Uno bello e l'altro orribile. Inizio agosto è quando a Kathmandu mi sono messa con l'Asburgico. E questo è bello, bellissimo, io sono una sbarbata e non ci sono mai stata, per quattro anni, con qualcuno. Neanche tre. Mi stupisco da sola, praticamente. 

Ma all'epoca, a Kathmandu, ero anche vagamente sotto shock, a inizio agosto. Perché due giorni prima che partissi per il Nepal, il mio ex, uno dei tre uomini che ho amato di più nella mia vita, si è suicidato. E io l'ho saputo da un blog, una mattina. Ho passato due giorni sul divano, senza preparare lo zaino, senza fare niente. N., uno dei miei migliori amici, era a New York e non poteva aiutarmi, io ero in quella fase scema di transizione tra Turchia e Nepal, e non credevo a quello che era successo. Non potevo credere che G aveva fatto questo, dopo aver visto me guardare mio padre crepare a poco più di cinquant'anni. Ero triste per lui, e mi sentivo anche presa per il culo. Incredula. Un groviglio di indignazione e tristezza per quel che aveva fatto.

Non ne ho mai parlato qui, perché non voglio far del male a nessuno, ma oggi questa cosa mi pesa addosso, e la butto fuori, almeno qui. In realtà credo che sia questo uno dei motivi per cui lavoro sempre così tanto - perché quando sono sola, e tranquilla, poi rifletto troppo sul passato, sulla gente che ho perso per strada, e mi viene questa tristezza pesantissima addosso. Molto più controllabile ora di qualche anno fa, ma c'è. Sta lì, aleggia, si apposta dietro le giornate libere, quelle dove dici fiiiico, ho un sacco di tempo libero, che ne faccio? E poi ti accorgi che la I. è nei Caraibi, K. è in Croazia, F. a Berlino, insomma, o lavorano, o sono via, e tu sei qui come una cojona a pensare, perché non fa abbastanza caldo da andare a stordirsi di sole.
L'estate scorsa sono riuscita a passarla quasi indenne. Credo sia anche l'imminente partenza da Vienna che mi agita oggi, e che rivanga tutte queste cose. 

Quel che ha fatto lui, G., non sono neanche mai riuscita a elaborarlo del tutto. Neanche a capirlo. Lui, non l'ho capito. L'ho perso mentre mio padre era in ospedale, malato di leucemia. Non ce l'ho fatta, ad avere forza ed energie per entrambi. Ho cercato di essere forte e brava a gestire entrambe le situazioni, e se ci penso bene mi sento di aver fatto abbastanza cagare con entrambe. Sarà perché avevo poco più di vent'anni e fino ad allora avevo avuto una vita sana, pulita, felice e senza traumi. Se passi da zero traumi a due casini grossi da gestire in contemporanea, o sei un grande e ce la fai, o sei normale e fai un poco schifo. Come me. Perché in tutto ciò avevo anche un po' paura, pensate un po'. 

Quando penso a G., sono ancora arrabbiata, perché mi ha preso un sacco di energie, perché mi ha tenuto via da mio padre, e il risultato di tutto questo sbattimento è che alla fine se ne sono andati tutti e due. Uno lottando con le unghie e coi denti, smadonnando, quasi fino alla fine, quando poi mi ha guardato e mi ha detto, sono stanco. Basta. E l'altro se n'è andato che già non era più parte della mia vita, ed è per questo che la sua figura ancora mi disorienta, mi agita, mi fa pensare così tanto. Non ho mai capito cos'avesse nella testa, e prima che le acque potessero calmarsi, dopo la furia e la tristezza e il panico, dopo che io me n'ero andata a Istanbul e lui da qualche parte in Nord Europa, tutti e due con l'obiettivo di staccare e riprendersi, se n'è andato anche lui. 

Se ci penso bene, è una specie di mazzata sulla nuca. Tutto, tutto quello che è successo. Ed è per questo  che sto bene via. Via, con una persona che non mi ha conosciuto Prima, che mi ha già preso così, con tutti i miei pensieri e le mie cicatrici assortite, e che mi ha visto arrivare ancora scossa da quello che avevo scoperto appena prima di partire per il Nepal, rincoglionita e traumatizzata con un viaggio di tante ore e una notte insonne a Delhi alle spalle, passati tutti da sola, cercando di tenere l'immagine che il mio cervello perverso tentava di produrre al bordo della mia coscienza, e non nel mezzo, perché non lo volevo immaginare. 

Non ci vado a yoga, oggi. Finisce che mi vengon giù le lacrime durante la lezione. Mi è successo, una volta, a Milano, tanti anni fa, durante il delirio. La mia maestra lì mi aveva detto, Natalia, hai un padre in ospedale e un ragazzo problematico, è normale. Ma il mio maestro qui, mica lo sa, perché sono messa così male.

I cambi di scenario mi fanno sempre pensare. Sono qui a scrivere e a leggere, invece che a cominciare a fare valigie e scatoloni come dovrei. Crétina, proprio. In teoria dovrei andare a Londra, settimana prossima, con M, a festeggiare il suo compleanno e il nostro anniversario numero quattro, da uno dei miei più cari amici N, quello che era a New York e che ora è a Londra. E invece che essere contenta, la cosa mi agita. Boh. Non capite? Eh, neanche io. 

Quindi ora, doccia, e poi passeggiata, che è uscito il sole. Scusate, eh. Ma oggi sono proprio giù, non so da dove arriva questa cosa, e magari mettere il tutto in parole aiuta. La scrittura come terapia, sapete, quelle robe lì. 

Uff. Vado. 

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