Vi scrivo dal mio balcone. Il mio balcone è piccolo, ma io lo amo tanto. Lo amo come amavo il mio balcone di Milano - neanche lui era tanto grande, ma io e la mia famiglia ci passavamo un sacco di tempo. Dava sul giardino del condominio, quindi era tranquillo. Noi mettevamo fuori tre sedie pieghevoli, e passavamo le serate a chiacchierare, quando ero più grande anche fino a molto tardi. Una delle foto che mi piacciono di mio padre, che mi sono rimaste, è una delle prime che ho fatto in digitale, ed è lui, con aria meditabonda, sul balcone.
Ecco, io i balconi e i terrazzi, li adoro. Mi piace da matti questo essere fuori e dentro casa allo stesso tempo. Non ho mai avuto un giardino, quindi non posso dire di amare i giardini come amo i balconi. A Vienna e Istanbul non avevo un balcone, e mi mancava da matti. A Istanbul, rimediavo passando la maggior parte del tempo buttata da qualche parte vicino al Bosforo, e quindi riuscivo a mettere una toppa. A Vienna, lavoravo assai, quindi non avevo il tempo di rimediare - e non avete idea di quanto ne soffrissi. Questa cosa del balcone, tra parentesi, la capisci solo se cresci con un balcone e poi ti ritrovi senza: quindi è un concetto che a mezza Europa manca.
Comunque.
Sono sul mio balcone bangkokiano, che dà sul cortiletto interno di Melrose Place.
Sento: il fischio lontano del treno per l'aeroporto che sta passando in questo momento. O forse quello per il nord, uno dei due. Sento: il ronzio dell'aria condizionata di due degli appartamenti vicino al mio. Sento: rumore di traffico, per fortuna in lontananza, come un rumore bianco. Sento: uno dei vicini che sta suonando il piano (o l'amico austriaco di M, o quell'altro che non ho ancora identificato.) Sento: un rumore di televisione, non molto alto. Sento: le cicale. Tantissime. La sera, e ancora di più all'alba e al tramonto, sembra di stare nella giungla, anzi no, che nella giungla senti ben più delle cicale. Sento: rumore di posate di qualcuno che mangia tardi. Forse il signore argentino che sta pensando di mangiare presto?
Vedo: gli abiti stesi ad asciugare dalle signore delle pulizie, quelli che non si sono ancora asciugati in giornata, quindi pochissimi. Le ombre della nuova coppia dei nostri vicini, lui giapponese, lei tedesca, con bimbina carina e quieta, muoversi dietro le tende del loro appartamento. Sei piante di oleandro, numerose piante verdi, un paio di palmette. Due pneumatici contro il muro, che servono a fermare le auto quando parcheggiano, ma con cui giocano anche i bambini del palazzo. Non vedo molto altro, oltre al tavolino su cui appoggio le gambe, l'altra sedia sul mio balcone, la cima del palazzone che sovrasta Melrose Place, e un bel tocco di cielo, che non è blu ma violetto, come accade spesso nelle grandi città molto illuminate.
Amo, adoro Melrose Place e il mio appartamento. Davvero. Finalmente ho di nuovo una casa. Questa casa la amo come non ho mai amato quella di Vienna. La amo come la mia casina dal parquet scricchiolante a Istanbul, che era il mio guscio di calma, insieme al coinqui curdo che mi faceva da fratello maggiore. Adoro tornare a casa e camminare nel mio vicolo, riconoscendo tutti i gatti che lo abitano e che scappano come dei ninja. Amo riconoscere il vecchietto scampanato che vedo alle sei del mattino, appena sveglio, coi pantaloni da pescatore arancioni, che fa gli esercizi per le spalle, da bravo vecchino asiatico. Amo il signore di mezza età, panzone, probabilmente di origine cinese, che lava i piatti del bugigattolo all'angolo, sigaretta in bocca, e mi saluta ogni volta che passo: anche quando passo sette o otto volte al giorno, lui mi sorride e mi saluta. Amo addentrarmi nel vicolo e sentire il traffico sparire, vedere gli alberi spuntare dai cancelli, le buganvillee pendere dai rami, i fiori di frangipane sparsi a terra sotto un albero particolarmente grande. Il vecchietto della zuppa, anche se ha il grugno. Le guardie della casa, che dormono, giocano a dama, leggono il giornale, mangiano, e in generale sembrano molto meno necessarie dei loro colleghi sudamericani (deo gratias). Amo sentire gli uccellini, che sia abbastanza silenzioso da sentire il fruscio delle palme vicino alla finestra della camera da letto, che la mattina a volte vedo gli scoiattoli rincorrersi tra i rami... E che camminando trecento metri, ritrovo una città pulsante e vitale, se mi va. Ma se non voglio, posso rifugiarmi a casa mia. Meraviglia.
E' una bella giornata, oggi. Sono stanchissima perché sono tornata al lavoro dopo la malattia, ma i bambini sono stati bravi e tranquilli, oggi, e in più, sono anche stata pagata, che è una gran figata dopo non aver lavorato per così tanto. Sono fiera e perplessa di quanto sono sveglia, se penso che questa mattina sono emersa dal sonno alle cinque e mezza, prima della sveglia.
Vi lascio con una diapositiva esplicativa di uno dei motivi per cui i thai mi stanno simpatici: perché anche se ci hai trent'anni suonati, ti servono il curry con il riso in questa forma:
Come si fa a non amarli, almeno un po'? |
orsetta!
ReplyDeleteDai però loro sono troppo bell con questo lato cazzaro che non cresce mai... Sono buffi, i thai. Tra le varie popolazioni della regione, sono quelli che oscillano di più tra l'essere conservatori e l'essere eccentrici. Cioè, a scuola tutti in uniforme e ben puliti, ma fuori ci sono i ladyboys che lavorano alla cassa del super senza che nessuno batta ciglio -- neanche le nonnine.
DeleteBello questo angolo di tranquillità e vite che scorrono, mi ricorda il mio balconcino a Lubiana. Anche qua in Spagna ho il balcone, anzi la veranda, che da sul mega cortile interno, ci abbiamo anche piazzato un divano fuori, e in primavera ci facciamo gli aperitivi ...
ReplyDeleteBalconi e verande sono un'idea geniale. Se si abita in un posto col clima mite... Sono una cosa che ti riappacifica col mondo, credo!
DeleteBellissima descrizione, sembra proprio che tu abbia trovato il tuo angolo di paradiso.
ReplyDeleteDiciamo che ho trovato un angolo di mondo che mi calma molto. Fa ridere, se pensi che Bangkok è una città di 12 milioni di persone... Ma l'importante è trovare il proprio cantuccio di pace. Istanbul era ancora più grande, eppure aveva lo stesso effetto su di me. A Vienna, che è molto più piccola, e in teoria vivibile, ero inquieta, di fondo. Misteri della psiche umana. Boh :)
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