Sono queste le parole che mi vengono in mente, quelle nel titolo.
È stato facile, tornare a casa. Ci hanno cambiato di volo e siamo finiti su un volo Qatar mezzo vuoto, con servizio eccellente, e io stravaccata mi sono guardata Harry ti Presento Sally e una commedia francese. Guardare Harry ti Presento Sally da adulta è stato geniale: Nora Ephron era una grande, davvero. Perché io a volte mi sento come la Sally anche se un uomo ce l'ho... Per altre ragioni, ecco!
Siamo arrivati a Malpensa. Per la prima volta in molti anni, ho aspettato meno di quaranta minuti perché arrivasse il bagaglio.
Ho parlato e sto parlando tanto, tanto italiano. I primi due giorni, facevo fatica, e la gente lo notava, e lo trovava buffo. Ora sta ingranando di nuovo.
Ieri è stata una settimana che sono qui, e oggi vedo per la prima volta il sole (grazie, signore, o chi per lei.)
Mia nonna è triste perché ha un braccio rotto; mia madre è stressata perché si deve prendere cura di lei e ha meno tempo di quel che credeva per stare con me; mio cugino si sta per laureare, e io mi chiedo cosa gli succederà una volta che starà cercando lavoro in questa gabbia di matti; l'altro cugino, il fratello maggiore, è diventato papà e ha un bambino gorgogliante e felice, dai grandi occhi nocciola, come suo padre e come suo zio. La moglie cerca lavoro, non lo trova, sono preoccupati.
Storie italiane, no? Storie di famiglie legate, legatissime, quasi troppo legate, a mio avviso, e di soldi che mancano, o lavoro che manca, e di arrabbiature in serie.
Che dire. Io vorrei davvero vedere e sentire cose diverse, quando vengo qui. Ma non cambia. Un anno e mezzo quasi, che non vengo qui, e la gente è ancora arrabbiata, frustrata, preoccupata, forse ancora più di un anno fa.
Alcuni amici miei resistono risolutamente e cercano di non farsi acchiappare da questa carogna che è sulle spalle di tutti, no? Ma quando gli fai domande più specifiche, vedi che anche loro, i più solari, i più forti, i più agguerriti, iniziano ad essere stanchi. Gli si annebbiano un po' gli occhi, e ti dicono: raccontami del tuo viaggio, invece, dài.
L'altro giorno ho visto N., l'amico "londinese" che da qualche mese londinese non è più: dopo un intermezzo berlinese, ora va a vivere nel deserto. Lui è di Verona, ci siamo visti al volo prima del suo ritorno in Veneto, e lui ed io, come sempre, ci troviamo a pensare e vedere ed avere esperienze molto, molto simili. Esperienze e sensazioni che ti fanno essere contento, tutto sommato, di essere qui solo di passaggio.
Io sono di passaggio, naturalmente. Io, qui, non ci resto. Ormai sono abituata ad essere la straniera, e non mi pesa, perché anche quando vengo qui, mi sembra di essere un'altra specie da chi ho intorno: e non lo dico per snobismo, assolutamente. È che più sto via, e più la mia vita è diversa da quella di chi vive qui, e quindi i rapporti che resistono, al di fuori della famiglia, sono quelli che ho con gli amici che dicevo prima: quelli che resistono, quelli che sorridono nonostante tutto o ci tentano, quelli solari, quelli che tentano di non lasciarsi soffocare, e che hanno ancora l'energia di essere curiosi e di gioire con gli altri, per esperienze che non hanno avuto di prima persona.
Pensavo al post che ha scritto la Smila Blomma in UK sul concetto di casa (da mobile non posso mettere link, ma cercatelo, è un bel post). L'ho letto in Sri Lanka e mi chiedevo come mi sarei sentita io, dopo quasi un anno e mezzo via, no? Per alcune cose, è stato come tornare a casa. In particolare con la Mater e con il mio appartamento. Quello è davvero il mio nido, il posto dove sono stata per tantissimo tempo, dove ho avuto 4 anni, poi 15, poi 20... Ma non 25. Ormai è un po' che sono via.
Tornare qui è come rivedere una versione precedente di me, è buffo, è straniante, non necessariamente triste.
Mi piace andare in quello che era lo studio di mio padre. Ci sono ancora tutti i suoi libri, con le note, le sottolineature. Guardo i suoi libri, li annuso, non guardo le sue foto, ma chiudo gli occhi e cerco di ricordarmi la sua voce. A volte ci riesco, e quando ci riesco, è bello. Poi vado in camera mia e guardo i miei, di libri. Mi ricordo di come e quando li ho letti. Ogni libro è come una madeleine che mi riporta a una fase di me differente.
Quando esco, a volte incontro i miei vicini, il mio vicino turco che mi abbraccia sempre e mi dice ahnnò, ti stai dimenticando il turco! ogni volta che mi vede, e la signora del quinto piano, che ogni volta mi abbraccia come se fossi sua nipote.
Insomma... L'appartamento lo sento come casa mia, la città meno, perché è cambiata, perché non so quali sono i posti per uscire, non so niente, ormai, della città, ed è divertente per me, guardarla come la guarda una turista, non mi pesa.
Credo che avrò la botta di casa tornando a Vienna, invece, perché è quello l'ultimo posto dove ho fatto la mia vita di persona normale, con le lezioni, lo yoga, il caffè con le amiche e la palestra quando non ero pigra. Nonostante tutte le madonne che tiravo, mi rendo conto che casa è quella, non questa. Come lo era Istanbul quando ero appena tornata, ed ero a Milano e mi sentivo fuori posto.
Da quel punto di vista sto diventando brava: ci metto un po' ad adattarmi, ma una volta che mi adatto, casa mia diventa il posto dove faccio la mia vita quotidiana. Casa mia è quello, e poi la piccola bolla dell'appartamento di Milano, e mia madre.
Casa possono essere benissimo le persone, più che i posti. Casa a Vienna sono le mie tre amiche Effe, l'italo-viennese, Vi, la franco-viennese, e A., l'unica austriaca che ha fatto breccia nel mio cuoricino (e non perché gli autoctoni sono il male, ma perché anche lei è "immigrata", da un'altra parte dell'Austria, e come noi è arrivata senza amici.)
Sto qui fino a metà gennaio, e poi vado a Budapest per qualche giorno, da P., l'amico francese di cousinade e vino rosso... Poi vi dico cosa succede, dopo Budapest.
Una cosa per volta.
Suspense. :)