Vita da frilèns

Insomma, a sedici, diciotto anni voi dicevate: io non starò mica sempre qua.
Io esplorerò il mondo, almeno un po'.
Io non voglio avere un capo. Come faccio?
Mi piacciono le lingue, i libri e le persone.
Non mi piacciono gli uffici.
Ci ho l'ansia, a stare con le chiappe sulla sedia per otto ore al giorno.

Poi un giorno, al secondo anno di uni, arriva sulla tua strada una persona a cui dovrai essere sempre grata, che ti dice: al centro di formazione dove insegno sono in crisi perché non hanno l'insegnante d'inglese. Ci vai tu?
E tu: oddionononcelapossofare. Macomehosolo23anni. Nonmiprenderannomaisulseriomai.
E quindi, giustamente, il giorno dopo ti svegli e vai al centro di formazione, e ti prendono. E cominci a insegnare a un gruppo di persone in cerca di lavoro dall'aria scettica, tutte naturalmente di almeno cinque anni più grandi di te, per sentirti tranquilla e a tuo agio.

Così sono diventata insegnante di lingue come lavoretto durante l'università. E dopo che ho finito, ho deciso di continuare perché è un lavoro bellissimo.

Solo, ragazzi, se state prendendo in considerazione di farlo, sappiate una cosa - è instabile. Non hai contratti, ore fisse, tante volte lavori quando gli altri si divertono e non hai mai tempo per seguire corsi tu stesso.

Io, personalmente, ho sempre voluto lavorare con le lingue e ho sempre pensato che sarebbe stato fantastico riuscire a lavorare come frilèns. Di solito la situazione del frilèns (freelance, per chi è moderno e parla inglese) non è il massimo della vita: se ti ammali, fatti tuoi. Se non hai studenti, arrangiati. Mòri. Affamate. Non c'è nessuno che ti aiuta, se sei italiano forse la mamma o la nonna, mosse a pietà, ti allungano una banconota blu. Non hai la tredicesima o la quattordicesima, ma chi sotto i 30 anni ce l'ha, in Italia??


Io lavoro bene qui, solo i primi mesi sono stati duri, e sono sempre in giro. Prendo la metro millemila volte al giorno, e qualche volta mi trovo seduta in un caffè pieno di camerieri tatuati a fare traduzioni. Di sicuro l'ultimo dei miei problemi è la noia.


Un'ultima considerazione, perché se no siam troppo seri. Per le giovani donne che come me si guardavano Sex and the City sulla 7, nottetempo: ogni tanto, almeno, potrete sentirvi come lei. Cojone come lei. Solo che io non spendo soldi in puttanate. O meglio, dipende dai punti di vista: il mio equivalente delle sue Manolo Blahnik sono i biglietti aerei.

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