Italiani con Zainetto / 2

Dario, che gode di mia grande stima perché pubblica post con titoli come questo, tipo che non l'ho letto ma già mi piace, ha raccolto il mio appello agli altri italiani con zainetto perché condividano la loro esperienza come miei ospiti qua. Che mica solo i bloggher ammericani possono fare i guest post. Li possiamo fare anche noi, e li chiameremo ghest pòst. Dario è un uomo di scienza, mica uno sfigato umanista come me, e abita in Messico. Ora è pure mio collega, vedi un po'!

Dunque, non mi dilungo in boiate, anche se so che mi viene bene, e lascio la parola a lui: grazie Dario per la condivisione! Ora pubblico e vado a leggermi il tuo decalogo, che sono schiappa dentro, io. Cercherò anche io di morire un po' meno crétina di come sono nata. Buona idea, sai. 

Perché sono finito in Messico?

Prima del Messico, da laureato in scienze forestali e ambientali,svolgevo un lavoro, definiamolo, multi task.Ero stato assunto presso una piccola associazione di volontariato diVerona che si proponeva di valorizzare alcuni parchi pubblici conl'ausilio di squadre di volontari.
Ero l'unico stipendiato e quindi responsabile di tutto: dallacontabilità, alla gestione dei progetti, dall'organizzazione dellesquadre di volontari, alla manutenzione delle macchine.Quel lavoro mi piaceva molto; mi dava opportunità di conoscere personeinteressanti, lavorare all'aria aperta e fare progetti. Avrei voluto chel'associazione con il tempo crescesse e si professionalizzasse fino adessere un punto di riferimento nel suo settore (ambizioso, vero?) peròil volontariato veronese è una realtà più dilettantistica, cheprofessionale.
Ben presto scoprii che in quel contesto sarei stato più utile comeoperaio semplice che come tecnico forestale e organizzatore. Gli episodidi tensione con il direttivo si facevano sempre più numerosi ed intensi.
Quando mi comunicarono che la convenzione con il comune sarebbe statadimezzata e di  conseguenza anche il mio stipendio capii che si stavachiudendo un capitolo. Dove andare?
Rimanere in Italia era una delle ipotesi, solo che non avevo proprioidea di dove cominciare. Non conoscevo nessuno e, presentarsi adun'impresa per chiedere lavoro, sembrava un gesto quasi maleducato, comeauto invitarsi a pranzo a casa di uno sconosciuto.
La seconda ipotesi era quella di andarsene ma il mondo era grande e ilfatto di andare incontro all'ignoto mi dava un gran senso di angoscia.Pensai allora al Messico, paese povero e afflitto da una guerra dinarcotraffico ma allo stesso tempo dinamico e affascinante. Conoscevocirca una decina di ragazzi messicani che avrebbero potuto darmi unamano ad inserirmi nel loro Paese.
Di fronte alle grandi decisioni della vita, non sono mai statorazionale; non penso analiticamente ai pro e ai contro, prendo ladecisione d'istinto. D'istinto non vuol dire “a caso”, significameditarci un po' sopra, fare dell'altro e poi un giorno “senti” cosavorresti veramente fare.
Se escludi “te stesso” dalle tue scelte e ti basi solo su statistiche,previsioni, e consigli degli altri non stai facendo quello che vuoi,bensì ciò che la società si aspetta da te e, alla lunga, potrestisoffrirne.
Agli inizi del 2011, mi trasferii in Messico. Passai attraverso unaserie di esperienze brutte e belle, come c'era da aspettarsi.
I dettagli li potete leggere sul mio blogwww.dalleforestemessicane.com”. Adesso sono diventato un promettente
profe di biologia, di educazione ambientale e d'italiano. Non mi sentoarrivato ma sulla via giusta.

Nel mio ambizioso intento di morire un po' meno stupido di come sononato, in Messico sono riuscito ad imparare anche qualcosina. Banalità.

Per esempio:

La vita: la vita, non è precisamente un'autostrada asfaltata con segnalidi indicazione, autogrill e servizio di carro attrezzi come cipiacerebbe che fosse, o ce lo hanno voluto far credere. E' piuttostocome un'imponente e meravigliosa onda oceanica completamenteindifferente a noi.Se però la cavalchiamo con destrezza e coraggio ci può regalare grandiemozioni e ci fa fare anche tanta strada.

La realtà: ci hanno insegnato a murarci in una fortezza di preconcetti.La maggioranza di essi è inutile, tipo quello di aver paura del futuro.C'è una falsa credenza che dice che la nostra generazione èinaspettatamente in guai seri. E quelle prima? Chi farebbe cambio con lacatena di montaggio, la campagna di Russia, la trincea della primaguerra mondiale, la povertà contadina di inizio secolo e via via piùindietro? Quante sono le generazione a cui è andata veramente bene?Eppure, in ogni epoca, c'è chi è riuscito a realizzarsi. Come diavoloavrà fatto?

Insoddisfazione: quanto mi lamentavo ogni giorno? Decisamente troppo. Maora, quando guardo il cielo stellato e penso in anni luce, o raccolgo unsasso e mi chiedo di quanti millenni è vecchio l'angoscia esistenzialesi calma. Il nocciolo della questione pare essere oltre alla carrieralavorativa.

Buona fortuna a tutti!






2 comments:

  1. quanto mi piace 'sta cosa della Milanviennese che mi ospita il Forestale Bighellone! :-D vi leggo entrambi con ammmòre, lo sapete (lo sapete?) anche se come commentatrice di post sono scrausa come poche

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  2. Grazie Natalia di ospitarmi nel tuo bel blog. Uomo di scienza? Veramente nelle mia carriera lavorativa ho visto più badili che microscopi...eh, eh, eh!
    Un abbraccio a te e tutti i tuoi aficionados!

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