La straniera

Non è solo il titolo del bel libro di Younis Tawfik pubblicato qualche anno fa. E' anche quello che sono io, qui. Ne parlavo con l'amica V., che è straniera pure lei, francese, quindi più sfigata di me: qua gli italiani hanno un bonus. Sono i vicini caciaroni col vino e il cibo buono, quelli che vai a trovare con tante ore di macchina ma che vale tanto la pena. I francesi, invece, sembra che agli asburgici qui stiano abbastanza sui cojones. V dice, forse per ragioni storiche, che ne so, forse perché per qualche motivo i francesi stanno sui maroni a tanti, dico io, ma a me non interessa questo, perché tanto come sapete credo nel concetto di cuginitudine, da quando abito nel mondo germanico, come un pesce fuor d'acqua. 
Insomma, V ed io qualche tempo fa discutevamo di come, anche se lavoriamo entrambe nel mondo delle scuole di lingue, prima che come Natalia o come, che so, Violette (non il suo nome), siamo quelle lì che vengono dalla Francia/dall'Italia. Quindi, se io per esempio faccio casino in pausa, non è perché sono caciarona di carattere, ma è perché sono italiana. Se lei ha una bella gonna, non è perché ha buon gusto, ma perché è francese. E allo stesso modo, se io arrivo a scuola vestita come una fricchettona con gli straccetti, come direbbe la Niki, mi dicono eh, ma come, un'italiana come te che si veste così? Che sei di Milano, pure?? E io che gli dico eh cosa vuoi, chissà come mai a Milano non ci abito più. Mi sto adeguando ai vostri canoni di sciatteria, così mi mimetizzo meglio, sgrunt. Violette sente la cosa molto più forte di me, perché è qui da più tempo, perché ha due bambini e si sente intrappolata qui, forse. Dice che quando torna in Francia è contenta perché torna ad essere solo Violette, e non la francese.

Talvolta è fastidioso, essere definiti prima dalla propria nazionalità che dall'essere Natalia o Violette. D'altra parte, ormai, quando vado in Italia, molte delle cose che dico o faccio sono viste dai miei amici di là come il prodotto di troppo tempo all'estero (perché oltre a questi quattro ultimi anni austro-istanbulioti ci sono da aggiungere i tempi della perfida Albione, di cui non parlo mai.)

Boh. Il fatto è che alla gente piace incasellare le persone, non c'è niente da fare. Se vado avanti di questo passo, comunque, un giorno mi verrà una crisi di identità. Vediamo cosa succede quando comincio a viaggiare di nuovo. 

2 comments:

  1. Ciao! Ti seguo da un paio di giorni, sei simpatica! ;) Volevo commentare il post dell'italiano "burino" in trasferta, ma la foto mi ha fatto retrocedere a questo post... :P tanto, un po' c'entra anche questo!
    Anch'io, come te, ho insegnato italiano all'estero per un periodo (sono rientrata per terminare questa beneOmaledetta specialistica) e mi ritrovo un po' in quello che scrivi. A volte in aeroporto mi distaccavo dalla massa di zotici che tentava di mettersi in mostra e snocciolare tutte le località visitate - mi sono sempre chiesta: "Ma per quale cavolo di motivo dovete farlo proprio in aeroporto? È proprio necessario farlo? È proprio necessario prendere in giro l'hostess? È proprio necessario portare gli occhiali da sole anche in aereo?" - e mi sono sentita un po' "la straniera" della situazione, nonostante mi trovassi tra i miei connazionali.
    Poi sì, mi è capitato di essere etichettata per via della nazionalità anche fuori, perché ero l'unica italiana. A seconda del paese ero "l'italiana, figlia del popolo di simpaticoni" oppure ero "l'italiana, chi? Dov'è l'Italia? Esiste ancora?", però vabbè, dai, chissene! Per noi è una ricchezza comunque!
    Buona permanenza, ciao!
    Cris

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  2. Sorellina, io giro in biken, pantaloni larghi e magliette/maglioni a collo alto da una vita. Straniera lo ero anche a 15 anni, nella mia città, quando i miei compagni di liceo mi hanno fatto il processo perché: "tu sei diversa, non ti vogliamo". E i professori chiamavano mia mamma e le dicevano, signora, la Nicoletta ha un'intelligenza fuori del comune ma è una disadattata, la classe non la accetta.
    Allora ne soffrivo. Da morire. Oggi ho capito che è una marcia in più, essere stranieri. Anche nel proprio paese.
    p.s. Sai che mi hai fatto venire in mente un bel post sul Bodhisattwachariavatara?

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